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Appunti
per La prima notizia riguardante
interventi di ammodernamento dell’altare vergiatese risale al 1680 ed è
tramandata da don Enrico Locatelli nella sua Cronaca parrocchiale: il 2 maggio
1680, il curato di Vergiate Giobatta Daverio aveva ottenuto dalla Veneranda
Curia Arcivescovile di Milano licenza di rinnovare l’altare maggiore della
chiesa e ampliarlo, in modo tale da dare maggior adito al coro, «per passarvi
dietro a comodo delle cerimonie». Più avanti don Locatelli afferma che nel 1689
Bernardino Castelli fece il nuovo altare maggiore della chiesa di S. Martino,
per il quale la Fabbriceria in diverse volte pagò 2000 lire milanesi, con il
contributo del Comune. Mentre rimane ignota la fonte di questa seconda
informazione, la notizia riguardante il permesso di ampliare l’altare trova
conferma in un registro dell’Archivio parrocchiale, datato 1792. Le indagini
condotte presso l’Archivio della parrocchia e presso l’Archivio storico
diocesano, ove si conservano le pratiche relative all’edilizia religiosa, non
hanno permesso di rintracciare copia del documento citato. Una notizia più
precisa riguardo al manufatto in esame proviene dal verbale della visita
condotta il 26 maggio 1689 dal Vicario foraneo Domenico Ferioli, su mandato del
cardinale Federico Visconti. Tra i decreti promulgati in quell’occasione dal
Ferioli si legge: «Si costruisca il nuovo tabernacolo
per la cappella maggiore, secondo il disegno già realizzato». Il 26 maggio
1689, dunque, i lavori per la costruzione del nuovo altare non erano ancora
iniziati, ma era già stato presentato un progetto. Ciò che ancora non sappiamo
sono i motivi che portarono a questa commissione, chi fu il promotore
dell’iniziativa e perché si affidò il lavoro a Bernardino Castelli. Gli
elementi noti sono ancora molto pochi, però è possibile cercare di formulare
qualche ipotesi. Varrà innanzitutto la pena
di ricordare che l’altare commissionato a Bernardino Castelli non fu progettato
e realizzato per la sede nella quale oggi si trova, ma per la vecchia chiesa
parrocchiale. Essa sorgeva nell’area adiacente alla chiesa attuale, lungo il
lato meridionale della stessa. Benché non sia possibile
conoscere il testo completo del permesso del 1680, la nota conservata nel
registro parrocchiale del 1792 lascia intuire lavori di una certa portata, che
dovettero interessare l’intera zona absidale. Nel caso in cui l’altare
preesistente fosse stato addossato alla parete di fondo, come sembra intuirsi
da una pianta della chiesa di S. Martino, non datata, ma collocabile alla fine
del XVI, all’epoca delle prime visite pastorali di s. Carlo, la costruzione di un nuovo altare poteva
rivelarsi non solo opportuna, ma anche necessaria. Tuttavia studi compiuti sul
fondo Spedizioni diverse dell’Archivio
storico diocesano, in cui sono raccolte le pratiche relative al rinnovo degli
edifici di culto, hanno evidenziato numerosi casi in cui a fronte di una
richiesta di rinnovo di un altare non si riscontrano apparenti motivazioni
negli atti di visita. La richiesta poteva quindi nascere da un’esigenza
concreta, come quella di sostituire un arredo ormai inadatto ad assolvere le
proprie funzioni, oppure dal semplice desiderio di abbellire la chiesa. Il fatto che sia la Fabbriceria, affiancata
dal Comune, a sobbarcarsi le spese per il pagamento dell’intagliatore sembra
escludere, almeno allo stato attuale delle ricerche, l’iniziativa di qualche
privato nella commissione dell’opera. La scelta di affidare il lavoro al Castelli
poté invece maturare in seguito alla conoscenza di opere dello stesso artista,
che negli anni immediatamente precedenti aveva lavorato in chiese vicine. I primi anni del Settecento
ci riservano una gradita sorpresa. Nel verbale della visita pastorale condotta
nel 1707 troviamo una particolareggiata descrizione dell’altare, nella quale si
legge: «Sull’altare vi sono due gradini in legno, cesellati e dorati, sopra i
quali si trova un ciborio in legno dorato, elegantemente cesellato, ornato con
vari misteri, immagini del Santissimo e angeli. [...] Da una parte e dall’altra
dell’altare si trovano due angeli in legno, cesellati, dorati e in parte
dipinti. Da una parte e dall’altra dell’altare si trovano due porte in legno,
cesellate, in parte dipinte, in parte dorate. Dietro l’altare vi è un piccolo
spazio che funge da coro». Gli atti delle visite
successive non permettono di aggiungere ulteriori particolari a quanto già
detto. La Cronaca parrocchiale ci informa però del fatto che nel corso del
secolo altri lavori interessarono l'area presbiterale: nel 1726 venne
construito un gradino all'altare maggiore e nel 1777 fu ampliato il coro;
inoltre la copertura esistente fu sostituita da una volta. Per trovare altre
informazioni dobbiamo attendere il 1868. Le scritte dipinte dietro l'altare
testimoniano un restauro avvenuto in quell'anno, effettuato da Costante Bianchi
di Como e Romano Luigi di Rebbio. La cronaca parrocchiale non riporta però
alcuna notizia relativa a questo intervento, che non risulta registrato tra le
spese sostenute dalla parrocchia e dalla Fabbriceria in quegli anni. In assenza di documentazione possiamo solo sottolineare un fatto che potrebbe gettare qualche luce sulle motivazioni che portarono a intraprendere questo lavoro. La chiesa di Vergiate subì nel 1861 un grave furto, nel quale venne sottratto quasi completamente l'apparato di suppellettili e paramenti necessario alle quotidiane celebrazioni. Don Locatelli ricorda nella sua cronaca che il 12 settembre 1866 la Prefettura di Milano accordò alla Fabbriceria di Vergiate d'impiegare una certa somma avute dalla Società Strada ferrata per pagare un debito a Filippo Giussani di Milano «pel paramento in terza[1] stato fatto dopo l'invasione dei ladri venuta nell'agosto 1861, quando tutto fu derubato o stracciato, sicché non rimase neppure il sufficiente per potervi celebrare Messa al mattino seguente». Le note di spesa registrate dopo il 1861 testimoniano effettivamente l'acquisto di numerosi oggetti destinati al culto e riparazioni a suppellettili. Nulla viene detto riguardo l'altare e forse esso non riportò alcun danno. Tuttavia sollevare il dubbio è legittimo. Il 1888 segna uno
spartiacque nella storia dell'altare di Bernardino Castelli. Il 19 marzo di
quell'anno vennero tracciate le fondamenta della nuova chiesa parrocchiale. La
costruzione fu condotta in modo tale che si potesse continuare a celebrare le
funzioni nella vecchia parrocchiale il più a lungo possibile. L'altare venne
trasportato probabilmente nel mese di agosto del 1889, come previsto da don
Locatelli in una lettera alla Giunta municipale, di cui si conserva la minuta. Dopo la collocazione nella
nuova chiesa, Giuseppe Tosi, doratore e verniciatore di Busto Arsizio, effettuò
alcuni lavori di verniciatura e indoratura: dorò i «lazzi ad oro fino posto
sulla lesena dell'altar maggiore», accomodò due angiolini, fece un agnello con
libro, lo Spirito Santo con raggi e altri elementi ornamentali. Una trentina d'anni più
tardi una sciagura si abbattè sull'intero paese di Vergiate: il 26 novembre
1920 lo scoppio del locale Polverificio costrinse la popolazione a lasciare il
paese per alcuni giorni. I danni furono ingenti, non soltanto in Vergiate ma
anche nei paesi limitrofi. La chiesa di S. Martino rimase chiusa sei mesi per i
lavori di restauro. Non si conserva purtroppo un elenco dettagliato dei danni
occorsi agli edifici, elenco che ci permetterebbe di comprendere meglio una
notizia riportata dalla Cronaca parrochiale: l'8 luglio 1923 mons. Antonio
Videmari, vescovo dell'Ogliastra in Sardegna, consacrò la nuova mensa
dell'altare, in sostituzione di quella spaccata dallo scoppio del polverificio.
Sembra improbabile che si tratti dell'unico danno riportato dall'altare, quando
la navata sinistra fu quasi completamente scoperchiata, le finestre in ferro
furono divelte e le porte laterali sfasciate. Una decina d'anni dopo don
Rizzi intraprese nuovi lavori di restauro, in occasione del proprio 25° di
sacerdozio. La cronaca parrocchiale ricorda i nomi di coloro che condussero
l'opera: un certo Cribbio, intagliatore di Milano, e un certo Malcovati,
indoratore e decoratore. Il lavoro di restauro, sempre stando ai dati forniti
dalla Cronaca, si svolse nel giro di una ventina di giorni, per una spesa
complessiva di circa L. 2.000. Una scritta dipinta dietro l'altare tramanda un
terzo nome: «Enrico Gobetti di Vergiate, restauratore del altare, 1932». Il penultimo atto della
nostra storia data al 1977. Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre dei ladri si
introdussero nella chiesa, rompendo una delle finestre che danno sul
presbiterio. Asportarono poi dall'altare otto pezzi: due putti-cariatidi
poggianti sui pilastrini che sorreggono la mensa, due putti-cariatidi collocati
sui pilastri esterni che sostengono i gradini sporgenti fuori dalla mensa, due
angeli a tutto tondo di un gruppo mobile al centro sotto la mensa e due
statuette di vescovi (s. Ambrogio e s. Agostino). Altri due piccoli
cherubini-cariatidi che reggevano il tabernacolo, già staccati, furono
abbandonati nella fuga. L'ultimo atto, per ora, di
una storia che non può dirsi conclusa, è il restauro che ha restituito alla
chiesa di Vergiate un gioiello d'arte barocca, ridonando luce e splendore alla
sede del Santissimo Sacramento. · Pubblicato con il titolo Appunti per la storia dell’altare di Vergiate, in L’altare di Bernardino Castelli nella chiesa parrocchiale di Vergiate, a cura di S. Carraro-F. Peruzzo, Casorate Sempione 2004. [1] Il paramento in terza comprende le vesti per il sacerdote, il diacono e il suddiacono. Esso veniva usato in celebrazioni di particolare solennità, nelle quali il celebrante era assistito dagli altri due ministri. |
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