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Federica Peruzzo

 

Orrico Scaccabarozzi:

un arciprete poeta nella Milano del XIII secolo

 

 

Orrico Scaccabarozzi, arciprete della Chiesa milanese dal 1261 al 1293 circa, collaboratore dell'arcivescovo Ottone Visconti, attento alle realtà dei nuovi Ordini religiosi, manifestò il proprio amore per la tradizione liturgica ambrosiana componendo Uffici ritmici in onore della Vergine Maria e di alcuni santi, conservati in un codice allestito dall’autore (Milano, Cap. Metrop. II.F.2.1). Da documenti di archivi di Milano se ne ricostruisce la biografia e si datano alcune sue poesie.

 

1. La vita

 

Nel 1893 Guido Maria Dreves pubblicò sotto il titolo complessivo di Origo Scaccabarozzi's Liber Officiorum una raccolta di Ufficiature ritmiche  in onore di santi tràdita da un manoscritto conservato nella Biblioteca del venerando Capitolo Metropolitano di Milano[1]. Nella concisa introduzione ai testi lo studioso non nascose la propria soddisfazione per la scoperta: le numerose rubriche presenti all'interno del codice permettevano infatti di attribuire con assoluta certezza l'intero corpus poetico ad un unico autore, Orrico Scaccabarozzi, arciprete della Chiesa Maggiore di Milano dal 1261 alla morte, avvenuta presumibilmente nel 1293[2]. Il Dreves lamentò il fatto che, nonostante il ruolo di primo piano occupato dallo Scaccabarozzi all'interno della gerarchia ecclesiastica della città, fosse possibile conoscere poco della sua vita e raccolse le scarse notizie biografiche che potevano essere desunte dal codice o dalle compilazioni del Muratori e dell'Argelati[3]. Anche in età più recente gli studiosi di storia milanese hanno ricordato la figura dello Scaccabarozzi soprattutto per il ruolo da lui ricoperto in un periodo particolarmente delicato per la Chiesa milanese, legato alla lunga vacanza della sede arcivescovile che seguì la morte di Leone da Perego e all'ancor più lungo esilio del successore designato Ottone Visconti. Proprio tracciando la figura dell'arcivescovo Ottone, il Cattaneo ricorda come egli, nell'opera di ricostruzione della diocesi, si sia servito di ottimi collaboratori, primo fra tutti lo Scaccabarozzi, "ille qui dignus esset fieri papa" secondo la voce dell'autore del Liber Notitiae Sanctorum Mediolani[4].

Un contributo sostanziale alla ricostruzione della vita dell'arciprete viene dalle pergamene provenienti dall'Archivio del Capitolo Maggiore del Duomo di Milano e dall'Archivio di S. Stefano in Vimercate, ora presso l'Archivio di Stato di Milano. In esse è conservato un discreto numero di documenti che testimoniano la sua attività quale guida del Capitolo Maggiore e alcune sue disposizioni personali, oppure consentono semplicemente di registrare la sua presenza a Milano e a Vimercate. Raccogliendo i dati contenuti in questi e alcuni altri documenti si possono quindi fissare con esattezza o buona approssimazione le tappe della sua carriera ecclesiastica, gettando qualche luce sull'opera di un uomo che seppe agire con decisione nel tutelare gli interessi del Capitolo Metropolitano, intervenne con fermezza in materia di disciplina ecclesiastica e non mancò di attenzione nei confronti dei bisognosi, guadagnandosi la stima del suo arcivescovo e dei pontefici.

 

Figlio di Algisio delle Cinque vie, della parrocchia di S. Maria Podone[5], e di Pietra di Ostiollo, Orrico nacque, probabilmente a Milano, agli inizi del Duecento[6]. La famiglia, di antica e provata nobiltà, annoverava tra i suoi avi personaggi che avevano ricoperto importanti incarichi politici in città e nelle vicinanze[7]. Dei genitori di Orrico possediamo scarse notizie, sappiamo solo che il 2 febbraio 1212 Algisio fu nominato procuratore nella prebenda vimercatese[8] dal fratello Lanterio, canonico di S. Stefano in Vimercate[9]. Lanterio dovette avere parte fondamentale nella formazione culturale e religiosa del nipote, che più tardi ne avrebbe seguito le orme: ordinario della Metropolitana[10] e canonico di S. Nazaro in Brolo[11], fu prevosto di S. Stefano in Vimercate dal 1227 al 1234[12]. Il 28 novembre di quell'anno il capitolo si riunì e i canonici, con i cappellani della chiesa, nominarono il prevosto di Pontirolo[13], magister Albrico de Opreno, magister Uberto Tagliacarro, Guglielmo Ellene, Azzone Guarmasio e il presbitero Guiberto di Carugate messi sindaci e procuratori perché si recassero dall'arcivescovo e chiedessero di confermare l'elezione di Guglielmo di Goldaniga a prevosto della canonica di S. Stefano[14]. La carica non era però rimasta vacante per la morte di Lanterio, che risulta tra i canonici presenti alla nomina di messi: questi aveva dovuto rinunciare al suo incarico per essere incorso in scomunica per eresia[15], ma rientrò nella chiesa e nel 1252 fu inviato dai milanesi come legato al papa per chiedere la canonizzazione di fra Pietro da Verona[16], ucciso insieme ad un compagno in territorio milanese. Tra i membri del capitolo riunito, ricordati nel documento, compare per la prima volta anche Orrico Scaccabarozzi. Non siamo in grado di stabilire con precisione la data del suo ingresso tra i canonici di S. Stefano, ma possediamo un'interessante cartula prebendae[17], priva di indicazioni cronologiche, che conserva l'elenco dei terreni che facevano parte della sua prebenda, permettendo di conoscere l'entità dei possedimenti legati al suo titolo canonicale: terreni con vigne in Vimercate, Marcusate, Barazia, Sabionera, Soltina, Tresolzo, Caponago, Albaro, Rigerano[18], per un totale di circa 97 pertiche e 43 tavole, oltre a fitti da riscuotersi in vino, cereali e capponi.

Il 22 marzo 1239, nell'abitazione di Lanterio presso la canonica di Vimercate, il capitolo si riunì per accogliere undici nuovi chierici, tra i quali incontriamo un altro membro della famiglia Scaccabarozzi, Beltramo, fratello di Orrico; nel corso della stessa seduta quest'ultimo fu ricevuto tra i canonici come rappresentante di Visconte Bernareggi, nobile vimercatese la cui candidatura era stata avanzata dallo stesso arcivescovo[19]. Qualche mese dopo, il 6 novembre, il preposito Guglielmo di Goldaniga, a nome della chiesa di S. Stefano, investì Martino Maguzzano di un terreno con vigna e Orrico è nominato tra i canonici "presenti e approvanti"[20].

Dieci anni più tardi, il 29 novembre 1249, fu nominato dal fratello Guido, colpito da malattia, erede universale insieme a Beltramo. Guido stabilì inoltre che ogni anno fossero pagate alla chiesa di S. Maria in Vimercate[21] dieci staia di biada di segale e miglio, quattro delle quali fossero distribuite in pane ai poveri e sei trattenute per le celebrazioni annue in suffragio del defunto[22].

 

A partire da questa data i documenti provenienti dall'archivio di S. Stefano non nominano Orrico per diversi anni, durante i quali egli cominciò la sua ascesa agli onori ecclesiastici nella città di Milano. Il 25 febbraio 1256 era prevosto della chiesa di S. Nazaro in Brolo, titolare di altri benefici e cappellano papale: lo testimonia una lettera di papa Alessandro IV che lo autorizzava, nonostante il divieto posto dalle Costituzioni del Concilio generale e di papa Celestino IV, ad assumere "aliam dignitatem vel personatum sive officium in Mediolanensi provincia"[23]. Come preposito di S. Nazaro, il 22 gennaio 1268, ricevette, presso l'altare del santo nella chiesa omonima, il giuramento di quattro conversi dell'ospedale di S. Nazaro che sorgeva nei pressi della basilica[24].

Dal 1261 alla morte Orrico Scaccabarozzi fu archipresbyter Ecclesie Mediolanensis. La  sua elezione avvenne prima del 14 ottobre[25]: nell'atto, rogato in quella data, che attesta uno scambio di beni tra i canonici di S. Giorgio in Legnano e Raimondo, Napoleone ed Erreco della Torre, compare insignito della dignità archipresbiteriale e come Vicario generale del capitolo sede vacante.  Gli stessi titoli sono a lui attribuiti in un documento datato 3 dicembre 1261, che attesta un provvedimento di Pagano Mora "subdelegatus a domino Orrico Scacabarocio sancte Mediolanensis ecclesie archipresbitero et Capituli sede vacante vicario generali"[26] nei confronti dei monaci di S. Celso[27].

Nel 1286 lo Scaccabarozzi era anche cappellano di S. Maria Podone: il titolo compare nel Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 142v, in una rubrica al termine dell'Ufficiatura in onore di s. Eugenia:

 

Millesimo ducentesimo octuagesimo sexto, ultimo die mensis iunii, die dominico. Ego Orricus Scacabarosius, Sancte Mediolanensis Ecclesie archipresbiter et prepositus ecclesie Sancti Nazari in Brolio et capellanus ecclesie Sancte Marie Pedonis, dono pro remedio anime mee ipsi ecclesie Sancte Marie Pedonis ad honorem sancte virginis Eugenie cuius festum in ipsa ecclesia celebratur, presentem librum, in quo sunt passio ipsius beate Eugenie et officium festivitatis ipsius quod ego compilavi tam in dictamine quam in cantu. Ora pro me, sancta Eugenia.

 

1.1  Scaccabarozzi arciprete

 

Benché siano scarse le carte che permettano di comprendere quali fossero i poteri ordinari e straordinari del Capitolo Maggiore, sappiamo che nei casi di sede vacante questo assunse sempre parte dei poteri dell'arcivescovo[28]. Importante dovette quindi essere il ruolo giocato dagli Ordinari, guidati dall'arciprete Scaccabarozzi, anche nei primi anni dell'episcopato visconteo, durante i quali essi esercitarono un controllo costante sulla gerarchia e la disciplina ecclesiastica.

Tra i diritti del Capitolo rientrava l'elezione di nuovi lettori, per questo motivo, rimasti vacanti sei posti nel collegio per la morte dei titolari, gli Ordinari e l'arciprete si riunirono il 2 novembre 1263 ed elessero come nuovi lettori il chierico Omodeo de Uglono, Giustamonte Cavazza a nome di Beltramo di Apiano, Giacomo detto Puscha, Giovanni de Glaxate e Anrico Fexiano. L'arciprete Scaccabarozzi, secondo la volontà espressa dagli Ordinari, li investì della carica di lettori "cum libro uno quem in suis tenet manibus, ad honorem Dei et Beate Virginis Marie". Dopo l'investitura i membri del capitolo concedettero all'arciprete facoltà di ordinare al primicerio minore di installare i nuovi eletti negli scanni del coro loro deputati e di riceverli nel collegio[29].

Nel 1267 sorse una controversia tra i custodi maggiori e minori della cattedrale[30]. La contesa venne risolta dal vicario dell’arcivescovo[31], che si pronunciò in favore dei primi, e la sentenza fu approvata in data 5 giugno dal custode minore Ambrogio di Vimercate: per ordine dello Scaccabarozzi furono eseguite due copie del testo della stessa. La prima fu stesa dal notaio Beltramo di Giovanni de Castronovo, lettore della chiesa milanese, sulle pagine di un codice di Beroldus oggi perduto[32]; da questo codice Giovanni Boffa, rettore e beneficiale della chiesa di S. Vito[33] la trascrisse nella copia del Beroldus, nota come Beroldus novus[34], conservata nella Biblioteca del Capitolo Metropolitano (1269 ca.). Il Boffa, sempre "de mandato domini Orrici Scacabarotii archipresbiteri" trascrisse dal Beroldus perduto nel novus anche una sentenza emessa il 16 giugno 1206 circa una contesa tra l'arcivescovo e il cimiliarca[35] e un decreto dei custodi della Chiesa milanese, riguardante i beni dei custodi defunti[36]. Il nuovo codice contenente le opere beroldiane, altri testi liturgici, narrativi e documentari fu compilato nei primi anni dell'episcopato di Ottone, del quale contiene anche una biografia[37]. Forse fu proprio lo Scaccabarozzi a commissionare, in un periodo così difficile per la città e per la chiesa milanese, la copia di un testo che poteva essere considerato autorevole testimonianza di una tradizione a cui richiamarsi[38]. La lontananza forzata di Ottone Visconti dalla propria sede arcivescovile sottraeva infatti la chiesa ambrosiana al diretto controllo episcopale e contribuiva ad acuire una situazione di degrado che doveva essersi fatta critica anche all’interno della gerarchia ecclesiastica, se gli Ordinari venivano meno ai loro obblighi di officianti. L’arciprete Scaccabarozzi, l’arcidiacono Conte Casati[39] e i membri del Capitolo Metropolitano stabilirono perciò che gli ordinari dovessero

 

in matutinis, missis, vesperis, letaniis in dicta ecclesia Mediolanensis et extra ipsam ecclesiam pro tempore celebrandi vices et hebdomadas suas scilicet tres singulis hebdomadis personaliter per se vel per alios socios et choordinarios suos dicere et facere.

 

Riservarono inoltre all’arciprete, arcidiacono e capitolo stessi piena autorità di infliggere le pene che ritenessero opportune agli inadempienti. Inoltre gli Ordinari non avrebbero avuto diritto a uno stallo nel coro, alla scelta delle prebende, non avrebbero avuto voce in capitolo e non sarebbero stati ammessi alle riunioni dello stesso e alle distribuzioni quotidiane prima di aver ricevuto almeno il suddiaconato[40]. Simili provvedimenti appaiono ben comprensibili se consideriamo i danni provocati alla vita religiosa della città dal perdurare di correnti ereticali e dai dissidi che travagliavano il clero milanese. Senza entrare nella questione relativa alla Matricula delle famiglie nobili[41], i cui membri avrebbero avuto diritto all'elettorato passivo del Capitolo Maggiore, ricordiamo che in questi anni si rileva un'effettiva tendenza da parte degli Ordinari a precludere l'accesso al Capitolo ad esponenti di famiglie non nobili: lo testimonia una formula di giuramento che gli Ordinari dovevano prestare prima di entrare in possesso di una prebenda, trasmessa dallo stesso Beroldus novus[42], nella quale si ribadisce l'obbligo di osservare le consuetudini e gli statuti della Chiesa milanese e la necessità, per poter accedere al Capitolo, di appartenere a nobile famiglia.

 

*

 

Fin dai primi anni del proprio mandato il nuovo arciprete cercò di provvedere al riordino delle finanze del capitolo, attraverso una serie di azioni volte al controllo dei beni posseduti dal capitolo stesso e al recupero dei crediti insoluti. Per questo motivo ordinò la ricognizione e consegna dei beni situati nei territori di Paninsaco e Borghetto[43] del vescovato di Lodi, che venne eseguita dal vicario di Martino della Torre, allora podestà di Lodi, ed è testimoniata da un documento datato 9 giugno 1262[44]. L'anno successivo, sempre dietro richiesta dell'arciprete, Bassiano de Falce, servitore del comune di Lodi, e Giacomo da Monza, servitore del comune di Milano, si recarono "in locis de Orio et de Vipizolano et de Burgeto et de Graffignana et de Sancto Collumbano[45], episcopatus et districtus de Laude" e nelle località della diocesi nelle quali si trovavano possedimenti della chiesa milanese per costituire una commissione locale con il compito di determinare, misurare e consegnare tutti i beni e i diritti spettanti al Capitolo metropolitano. L'instrumentum consignationis porta la data 14 ottobre 1263 ed è seguito da un documento redatto lo stesso giorno in cui Orrico Scaccabarozzi vietava a Guinizus  di tenere porto e navi sul fiume Lambro, presso Graffignana, nel luogo in cui si trovavano un porto e un ponte di proprietà della Chiesa milanese[46]. Nel 1264 Bassiano de Falce si recò a Borghetto - ancora su richiesta dell'arciprete - per determinare, misurare e consegnare i beni e i diritti spettanti agli Ordinari nei territori di Borghetto e Vigarolo[47]. Un provvedimento simile fu preso per i beni siti in loco de Fossato alto48]: l'atto che registrava i possedimenti e i diritti del capitolo e  la carta consignationis furono stilati il 26 marzo 1264[49].

Il 31 maggio dello stesso anno gli ordinari della Chiesa milanese, detentori della metà del diritto di patronato, conferirono all'arciprete Orrico facoltà di eleggere il beneficiale della chiesa di S. Bartolomeo di Fossadolto, in diocesi di Lodi, la cui sede era rimasta vacante per la morte del titolare[50]. L'arciprete avrebbe avuto inoltre licenza di presentare il prescelto, in accordo con gli altri patroni della chiesa, al vescovo di Lodi per la conferma dell'investitura. Il 10 giugno seguente Orrico Scaccabarozzi, rappresentante del Capitolo Metropolitano, e frate Martino della Domus Omnium Sanctorum, rappresentante degli altri patroni della chiesa di S. Bartolomeo, ne elessero beneficiale il chierico Giovannino, figlio di Uberto Madoni[51].

Nel 1268 l'arciprete si trovò a dirimere alcune questioni riguardanti la chiesa di S. Giorgio o S. Primo[52], sottoposta alla giurisdizione della chiesa milanese. I visitatori Lusco de Terzago ed Eriberto avevano rilevato l’esistenza di un debito di £ 900 di terzuoli, contratto dalla chiesa medesima con Andrea Mazali, tutore di Gabrio, figlio ed erede di Pagano Mazali, estinto in parte negli anni precedenti la visita. Per liberare la chiesa di S. Giorgio del debito i due visitatori avevano stabilito che la cifra rimanente fosse saldata entro i cinque anni successivi, in rate annuali di £ 100 di terzuoli, e imposto che nessun nuovo chierico fosse accolto tra i canonici se non in caso di stretta necessità e comunque dietro l’obbligo di osservare la Regola agostiniana. Gli Ordinari, riuniti nella casa dell’arciprete, approvarono i provvedimenti presi da Lusco ed Eriberto[53].

Il 10 marzo 1282 lo Scaccabarozzi investì, a nome degli Ordinari, Tibaldo Conte, canonico di Castelseprio, della quarta parte della decima di Tradate, dietro il pagamento annuo di tre moggia di fave, tre di frumento, sei di segale, cinque di miglio e tre di panico[54]. Il 5 giugno dell'anno successivo, sempre a nome del Capitolo Metropolitano, l'arciprete investì Billiano Pusterla di un prato in Tradate, dietro il pagamento annuo di 11 lire imperiali[55].

Il 25 giugno 1284 “de mandato domini Honrici Scacabarozii dicte ecclesie archipresbiteri” gli Ordinari investirono Citella Covreno di parte di una vigna sita nel territorio di Salvano[56].

 

1.3 La fondazione dell'Ospedale Nuovo

 

Orrico Scaccabarozzi dedicò parte considerevole delle sue attenzioni a coloro che godevano di sorte meno fortunata: poveri, orfani, malati e pellegrini. In favore di costoro egli diede il proprio appoggio spirituale ed economico alla fondazione di un ospedale, chiamato Ospedale Nuovo o spedale di Donna Buona, dal nome della benefattrice che affiancò l'arciprete[57].

Gli Statuti della nuova istituzione furono fissati il 15 ottobre 1268 dall'arcivescovo Ottone Visconti, chiamato dagli stessi fondatori a dirimere una questione sorta tra le parti[58]. L'ospedale, eretto in onore della Vergine Maria, fu sottoposto alla Regola agostiniana e affidato all'amministrazione di un magister, mentre un collegio di tredici decani ebbe il compito di sorvegliare l'operato dei conversi e delle converse. Questi dovevano assistere gli ospiti e accogliere nell'ospedale i malati privi di mezzi e gli orfani trovati in città; particolare attenzione era inoltre dedicata ai pellegrini. In caso di discordia tra il magister e i decani, l'arcivescovo avocò a sé diritto di giudizio inappellabile. Una posizione di particolare privilegio è riservata dagli Statuti alla religiosa mulier donna Buona, cuius studio dictum hospitalem suscepit initium et incrementum:

 

in dicto hospitali, dum vixit, remaneat decana et pauperum egrotantium et expositorum infantium et hospitalitatis procuratrix, et bona mobilia que sibi de elimosinis vel oblationibus fidelium conferri contigerit magistro vel cellarario hospitalis ipsius vel alii assignare minime teneantur, set ea expendere fideliter in usum pauperum egrotantium et expositorum infantium et hospitalitatis, prout Dominus sibi duxerit inspirandum.

 

In caso di morte della fondatrice, Ottone Visconti proibì l'elezione di un successore, affidando l'incarico di supremo controllo a Orrico Scaccabarozzi

 

qui in inventione ipsius hospitalis initiator extitit et promotor, per cuius bonam operationem et exercitium et presertim ex verbo predicationis ipsius in quo laudabiliter est instructus multa bona eidem hospitali hactenus pervenerunt et pervenire, fatiente Domino, poterunt in futuro[59].

 

Il ruolo di initiator et promotor che lo Scaccabarozzi ebbe nella vita dell'ospedale è testimoniato da una serie di documenti che rivelano la sua sollecitudine nei confronti del nuovo ente. L'ospedale, nova plantatio, doveva trovarsi ad affrontare alcune difficoltà finanziarie e l'autorità ecclesiastica intervenne per cercare di porre rimedio alla situazione. Il 12 gennaio 1268 l'arcivescovo di Ravenna Filippo[60], legato pontificio per la Lombardia, concedette un'indulgenza di quaranta giorni a coloro che avessero sostenuto con la loro generosità la comunità di frati, monache e infermi, e fu seguito a distanza di qualche mese da Ottone Visconti con un provvedimento analogo[61]. Lo Scaccabarozzi fece redigere copia della lettera dell'arcivescovo Filippo che inviò a sua volta al clero e ai fedeli della diocesi, autenticandola con il proprio sigillo[62]. Dal testo dello Statuto apprendiamo che per l'opera dello Scaccabarozzi e soprattutto per la sua predicazione molti beni erano giunti e giungevano all'Ospedale. Non sarà quindi azzardato pensare che nelle sue omelie in cattedrale l'arciprete abbia cercato di sensibilizzare i fedeli nei confronti della comunità ospedaliera, invitandoli a sovvenire alle sue necessità materiali. Egli stesso fu tra i principali benefattori dell'ente, donando in più riprese terreni e cospicue somme di denaro[63]. L'ultima donazione dello Scaccabarozzi all'Ospedale Nuovo porta la data 14 giugno 1290 e consiste di 22 pertiche di terreno del valore di  137 lire e 6 soldi di terzuoli, acquistate da Pinamonte Oldegardi,[64] e delle decime ad esse pertinenti. L'arciprete dichiara di avere stabilito questa donazione nel timore che le precedenti, per la diminuzione del loro valore, non fossero sufficienti a garantire all'ospedale la possibilità di effettuare quanto richiesto nei legati[65]. La donazione è legata alla celebrazione degli annuali di Lanterio, giorno nel quale saranno distribuiti denari ai maestri di coro e ai fanciulli cantori, e di Orrico: in questa seconda circostanza il magister  dell'ospedale dovrà dare ai frati, alle suore e ai malati, fatibulam unam cum oleo et piperrata, mangiata la quale ciascuno dovrà recitare un "Pater noster" per l'anima dell'arciprete e il rettore, se sacerdote, reciterà l'orazione "Absolve, Domine, animam famuli tui".

Donna Buona morì nel 1284[66] e possiamo immaginare che Orrico sia subentrato al suo posto, secondo la volontà di Ottone. Non possediamo alcuna testimonianza relativa a questo periodo che permetta di conoscere l'opera svolta dall'arciprete all'interno dell'ospedale, tuttavia egli doveva godere di una certa autorità presso i decani. Quando il magister Vincenzo Lazzaroni morì, i frati dell'ospedale e i decani riuniti per provvedere alla nomina di un successore concedettero piena facoltà di scelta a Orrico e a Pietro Villano, preposito della chiesa di Corbetta[67]. I due incaricati elessero, il 29 luglio 1288, Belloto Martini di Paderno, che il 3 agosto successivo fu confermato all'arcivescovo e solennemente investito della carica di rettore[68].

 

1.4 L'amicizia con il cardinale Conte Casati e la sua famiglia

 

Durante l'arcipretura di Orrico Scaccabarozzi, fu arcidiacono della Chiesa Milanese Conte Casati[69]. Sotto il pontificato di Innocenzo IV intraprese la carriera curiale che lo portò a diventare "advocatus": in tale veste accompagnò Gregorio X al II Concilio di Lione. Divenne poi cappellano papale di Niccolò III ed esplicò un'importante attività giuridica in qualità di ‘auditor’; fu inoltre membro della commissione incaricata dell'esame e revisione della Regola francescana. La sua carriera ecclesiastica culminò con la nomina a cardinale titulo sanctorum Petri et Marcellini, il 12 aprile 1281, ma egli mantenne sempre anche il titolo di arcidiacono milanese[70]. Quando Conte Casati ricevette la porpora cardinalizia o negli anni seguenti, Orrico offrì come omaggio all’amico un ufficio da lui composto more romano, in onore dei santi martiri[71]. Il dono dell'arciprete è probabilmente segno della continuità di una consuetudine tra i due ecclesiastici che si era stabilita in virtù della comune appartenenza al Capitolo maggiore.

Pochi anni prima, Orrico aveva inoltre ricevuto in cattedrale un giuramento solenne da parte dei nipoti di Conte, Marzio e Filippino[72]. Il 16 settembre 1270 il Casati aveva dettato un primo testamento, in cui aveva nominato i suoi nipoti Marzio e Filippino eredi universali ed esecutori testamentari e disposto che fossero restituite le usure alla cui restituzione era tenuto personalmente, per conto del padre Giordano, dello zio Ruggero o di altri e stabilito che Marzio e Filippino o chiunque fosse giunto in possesso dei suoi beni non ne potesse godere fino alla restituzione delle predette usure. L’arcidiacono fissò con minuzia le clausole che avrebbero regolato il passaggio dei beni ai suoi eredi e ai loro legittimi discendenti: nel caso in cui entrambi fossero morti senza eredi legittimi sarebbero dovute pervenire al Capitolo Metropolitano, ai lettori e agli ospedali milanesi in parti uguali. Conte proibì ai nipoti di alienare, obbligare, trasferire ad altri la parte che spettava alla chiesa milanese e di ricevere denaro a usura: se alla sua morte fossero stati trovati colpevoli di tale reato, sarebbero stati privati - e con essi i loro discendenti - di ogni diritto sull’eredità, che sarebbe passata direttamente al Capitolo, ai lettori e agli ospedali di Milano, compresi l'Ospedale Nuovo di S. Maria e l'Ospedale dei lebbrosi[73]. Il Capitolo Metropolitano cercò quindi di tutelare i propri interessi chiedendo a Marzio e Filippino una garanzia circa le disposizioni testamentarie dello zio. Per questo motivo, il 2 agosto 1276,  essi giurarono sui Vangeli, davanti all'arciprete Orrico Scaccabarozzi, che non avrebbero prestato denaro o altro a usura e avrebbero restituito quanto avevano ricevuto o sapevano essere stato ricevuto ingiustamente dai rispettivi padri, Ottone e Manfredo, e che simile giuramento sarebbe stato prestato dai loro eredi[74]. Essi giurarono inoltre che avrebbero rispettato le volontà testamentarie dello zio[75] e le donazioni da lui disposte[76] a favore dell’arcidiaconato milanese, della sacrestia della chiesa di Milano, delle chiese di S. Giorgio in Casate[77] e S. Faustino in Marisio[78], della canonica di Missaglia[79] e della congregazione dei lettori della chiesa di Milano.

 

1.5 Scaccabarozzi e gli Umiliati

 

La discrezione e la prudenza dell’arciprete, tanto apprezzate da Ottone Visconti, non erano note solo entro i confini della diocesi milanese. Papa Martino IV gli affidò l’incarico di sanare una contesa sorta tra i frati Umiliati del convento Domus nova di Milano e Bonaccorso, Zersono Ferrario e Germanello Marchisio[80]. Pochi mesi dopo, il 16 ottobre, il nostro arciprete dovette occuparsi di beni controversi a Cernusco sul Naviglio. I rapporti dello Scaccabarozzi con gli Umiliati sono testimoniati anche dalla composizione di un’Ufficiatura in onore di s. Olderico, effettuata dietro richiesta di fra Michele, preposito della Domus nova umiliata di Borgo Ticino pavese[81]: ce ne informa lo stesso arciprete nella lettera, rivolta al committente e datata 23 giugno 1282, che accompagnava l’Ufficio[82]. Ricordiamo che una chiesa in onore del santo era stata fondata nell’Oltreticino da Rainerio de Sancto Naçario, vescovo di Maina in Grecia[83]; con atto del 16 dicembre 1267 questi aveva costituito eredi dei propri beni la chiesa stessa e l’ordo seu mansio degli Umiliati di Domus nova de Ultra Ticinum: tra le clausole del testamento fu posto l’obbligo agli Umiliati di tenere tre sacerdoti nella cappella che garantissero l’ufficiatura della stessa. Il testamento indicava anche i nomi dei frati prescelti, tra i quali lo stesso Michele, esecutore testamentario[84]. Non è da escludere che proprio a causa di quest'obbligo fra Michele avesse deciso di chiedere un Ufficio in onore del santo. Lo Scaccabarozzi si occupò ancora della Domus nova di Borgo Ticino nell'ottobre e novembre del 1287, quando il pontefice lo incaricò di comporre una causa tra la Domus e i monaci di S. Pietro in Ciel d'Oro: i documenti non ci hanno trasmesso l'oggetto della contesa, tuttavia essa doveva essersi protratta per un lungo periodo o si annunciava di difficile soluzione poiché lo Scaccabarozzi desiderando "parcere laboribus et expensis ipsarum partium" affidò l'escussione dei testimoni ad un uomo di sua fiducia, Corrado de Betana, preposito della Chiesa Maggiore di Pavia[85].

 

***

 

Numerosi altri documenti vedono Orrico Scaccabarozzi presente in qualità di testimone o di esecutore delle volontà del proprio arcivescovo.

Il 26 gennaio 1267 Orrico presenziò al giuramento prestato nel palazzo del comune dal nuovo console Bartolomeo de Grecis, che promise, in conformità all’operato del proprio predecessore, di obbedire ai mandati del papa e della chiesa romana[86]. Il 22 giugno fu nuovamente presente, in qualità di testimone, alla stesura di un “rescriptum” di papa Clemente IV[87], allora a Viterbo, fatta eseguire dal vicario di Ottone, Bonifacio arciprete di Vico.

Il 23 maggio1283 Ottone concedette alle monache di S. Caterina Vecchia di costruire una chiesa in un terreno di loro proprietà: il mese successivo Orrico Scaccabarozzi pose la prima pietra e tracciò il perimetro del cimitero[88].

Lo Scaccabarozzi[89] fu ancora a fianco del proprio arcivescovo il 3 aprile 1286, quando venne stipulato il trattato di pace tra Milano e Como[90]con il quale i due Comuni si impegnarono a sospendere le azioni militari, seguite all'abbandono da parte di Ottone Visconti della lega ghibellina.

Il 18 gennaio 1288 lo Scaccabarozzi sottoscrisse come testimone una concessione di Ottone Visconti, con la quale l'arcivescovo consentiva ai frati dell'ospedale del Brolo di costruire un oratorio con altare e di provvedere per un sacerdote che la officiasse[91].

Il 19 novembre 1289 l'arciprete e il Capitolo confermarono, su richiesta dell'arcivescovo, l'elezione del canonico Tisio de Bimio della chiesa di Varese in preposito della stessa e il 1 dicembre Orrico figura tra i testimoni che presenziarono alla stesura di un "instrumentum protestationis"[92].

Nel 1291 assistette all'investitura solenne di Fazio Ferrario abate di S. Ambrogio[93] e il 5 novembre fu tra i testimoni presenti alla donazione di un terreno all'Ospedale Nuovo, da parte di Antonio Carnixio, ordinario della chiesa milanese[94].

Orrico partecipò probabilmente anche al Concilio provinciale convocato da Ottone Visconti il 27 novembre di quell'anno, su invito del pontefice Niccolò IV. L'aggravarsi della situazione dei cristiani d'oltremare dopo la caduta di Tolemaide aveva reso urgente un intervento militare in Terra Santa e per questo motivo il papa aveva richiesto la mobilitazione di tutto il clero. Le deliberazioni del concilio milanese furono raccolte il giorno 29 novembre e, tra gli altri provvedimenti, si stabilì anche che a partire dal giorno successivo fosse introdotta nelle messe speciale orazione[95]. Il Tamborini[96] pensò che le orazioni inserite nella liturgia quotidiana per volere del Concilio provinciale fossero state composte dallo Scaccabarozzi; il codice metropolitano che conserva l'opera poetica dell'arciprete contiene infatti a f. 58r una Missa pro Terra Sancta, ovvero la serie completa di orazioni per una messa ambrosiana il cui contenuto presenta un legame strettissimo con gli eventi che abbiamo ricordato: in esse si invoca il perdono divino sul popolo che offre le proprie persone e i propri beni in soccorso della Terra Santa e si implora benigna accoglienza presso Dio per queste offerte e la salvezza eterna per coloro che si accingono a liberare la terra su cui mosse i suoi passi terreni il Salvatore.

L'anno successivo 1292 l'arciprete e gli Ordinari vennero chiamati a dare la loro approvazione a una pia providencia con la quale Ottone Visconti dispose a spese proprie l'istituzione di una cattedra di teologia nella cattedrale milanese e una cappellania intitolata a s. Agnese, affidando l'esecuzione delle prorpie volontà al rettore dell'Ospedale Nuovo[97].

Il 2 giugno 1293, Orrico Scaccabarozzi e gli Ordinari investirono Lanfranco di Rho di un sedimen sive hospitio in Pusterla degli Azi, presso il ponte della S. Trinità, dietro la pensione annua di £ 10 di Terzuoli[98].

 

1.6 Scaccabarozzi canonico di S. Stefano in Vimercate

 

Gli impegni legati alla carica di arciprete non impedirono allo Scaccabarozzi di rimanere membro del capitolo di Vimercate e di essere presente alle riunioni dello stesso. Dopo un silenzio durato poco più di un decennio i documenti provenienti dall'archivio di S. Stefano ricordano nuovamente Orrico tra i canonici. Il 10 maggio 1262, a nome proprio, del preposito di S. Stefano e dei canonici Omodeo de Uglone e Supermontino Scaccabarozzi, investì per quattro anni Bassano da Lodi, Giacomo Pozzobianco e Giovanni Pagano di Carugate dei proventi delle decime spettanti a sé e ai predetti canonici dai territori lavorati dagli abitanti di Carugate e Bussero e dalle cascine di Rovoredo, Vincemoro e Robecco[99], dietro il pagamento di quattordici moggia di segale  e altrettante di miglio ogni anno[100]. Il 14 giugno i canonici di S. Stefano si riunirono per la scelta e assegnazione di alcune prebende: Orrico chiese ed ottenne, a nome di Supermontino Scaccabarozzi, la prebenda lasciata da Giustamonte Cavazza[101].

L’8 novembre 1270 Orrico legò alla chiesa quattro lire e mezza di denari a lui dovuti come fitto annuo da Guglielmo di Tegniono per il terreno di cui era stato investito il 12 gennaio 1265[102]. Lo Scaccabarozzi dispose che dopo la sua morte tale cifra fosse pagata al suo "familiaris" Giustamonte Cavazza, il quale avrebbe provveduto a distribuirla ai poveri e ai custodi incaricati di suonare le campane nel giorno anniversario della sua morte e in quello anniversario dello zio Lanterio. Stabilì inoltre le modalità con cui doveva essere celebrato il proprio suffragio annuale: il preposito, i canonici, i cappellani e i custodi della chiesa e i rettori e beneficiali della pieve riuniti nella chiesa di S. Stefano avrebbero dovuto cantare i tre notturni con salmi, responsori, lezioni e antifone; si sarebbero poi recati processionalmente, al canto di antifone, alla chiesa di S. Maria fino al cimitero dei canonici e qui avrebbero terminato l’ufficio con il canto delle litanie; avrebbero quindi celebrato la messa per i defunti con diacono e suddiacono, durante la quale il sacerdote avrebbe recitato la prima orazione a suffragio di Orrico, la seconda pro anima Lanteri e la terza pro anima Petre de Hostiollo, madre dell’arciprete.

Il 21 dicembre 1274 Orrico, desiderando onorare Dio, la Vergine Maria e le sante Sofia, Fede, Speranza e Carità, legò alla chiesa di S. Stefano una vigna sita nel territorio di Vimercate, in località Cerredo[103], acquistata il 28 ottobre da Geroviso, vedova di Germano Corrente[104], e dispose che i proventi della stessa venissero distibuiti annualmente, dopo la sua morte, ai canonici, cappellani e custodi della chiesa purché celebrassero la festa delle sante Sofia e figlie, cantando l’ufficio composto in loro onore tam in dictamine quam in cantu dallo stesso Scaccabarozzi[105]; il legato fornisce un’accurata descrizione delle celebrazioni previste: i canonici e i cappellani nel giorno precedente la festa avrebbero dovuto cantare vespri e vigilie, mentre il giorno della commemorazione, terminato mattutino e cantata terza, si sarebbero recati in processione al canto del sallenzio dalla chiesa di S. Stefano alla chiesa di S. Maria; qui avrebbero celebrato la messa con diacono e suddiacono all’altare della Beata Vergine o, nel caso fosse stato edificato un altare in loro onore, all’altare di s. Sofia e figlie. Lo Scaccabarozzi stabilì anche i criteri con cui dovevano essere divisi i proventi del terreno da lui donato: una parte sarebbe stata destinata a coloro che avrebbero cantato i vespri, una seconda parte a coloro che avrebbero cantato le vigilie, una terza a coloro che avrebbero cantato mattutino e l'ultima a coloro che avrebbero cantato terza, il sallenzio e la messa. Se le circostanze avessero impedito la recita dell'Ufficio in ciascuna delle sue parti, i proventi spettanti ai canonici e ai cappellani dovevano essere destinati alla sacrestia per l'acquisto di olio da ardere. L'arciprete vietò ai canonici di vendere il terreno o di dividerlo in prebende: nel caso in cui avessero contravvenuto al divieto posto i proventi sarebbero dovuti pervenire al Capitolo Maggiore di Milano. Al termine dell'Ufficio i canonici, custodi e cappellani si sarebbero dovuti recare al cimitero dei canonici, dove avrebbero recitato tre orazioni: una per l'anima del donatore, la seconda per Lanterio Scaccabarozzi e la terza per tutti i defunti. Il testo della donazione si rivela di straordinaria importanza, se consideriamo che l’opera poetica dell’arciprete era nota solo grazie alla testimonianza del Codice Metropolitano che ne conserva i testi. Questo documento permette infatti di stabilire un terminus ante quem per la composizione dell’Ufficiatura citata. Inoltre le clausole del legato sembrano suggerire la motivazione che portò lo Scaccabarozzi a scrivere questo ufficio: la progettata costruzione di un nuovo altare poteva fungere da impulso ad una celebrazione di particolare solennità[106].

Altri tre uffici ritmici composti dallo stesso Scaccabarozzi sono nominati in un legato di due anni posteriore: con esso Orrico, in data 8 agosto 1276, donò alla chiesa di Vimercate un terreno con vigna giacente in località Costa de Tresolzo  e dispose che i proventi della stessa venissero distribuiti annualmente, dopo la sua morte ai canonici, cappellani e custodi della chiesa, sotto l’obbligo di recita delle ufficiature da lui composte per le vigilie e feste dei santi Barnaba, Anna e Galdino[107]. Le condizioni poste per il godimento dei beni e le modalità secondo le quali dovevano essere celebrati gli Uffici sono le stesse del legato precedente. Anche questo documento consente di fissare un terminus ante quem per la compilazione delle tre Ufficiature in esso citate: Orrico dichiara che i tre uffici sono stati da lui composti noviter, termine che potrebbe riferirsi sia all'originalità della sua opera, sia al fatto che si tratti di lavori recenti.

Il 5 maggio 1279 Orrico effettuò con il capitolo di S. Stefano in Vimercate uno scambio di beni: il preposito Obizzone de Bernadigio e i canonici liberarono le terre che Guido aveva lasciato in eredità ai fratelli da ogni fitto dovuto alla chiesa, prelevando le dieci staia di mistura che spettavano alla canonica secondo le ultime volontà di questi dal fitto percepito da Orrico per un terreno in località Camerada[108].

Il 31 agosto 1283 legò alla chiesa di S. Stefano di Vimercate alcune terre che possedeva in Desio e Omate, perché fosse istituita una cappellania a ricordo del suo nome[109]. Le terre avrebbero costituito un beneficio da assegnare ad un sacerdote che non fosse già in possesso di una prebenda; nel momento in cui titolare avesse ottenuto un altro beneficio, la cappellania sarebbe stata considerata vacante e il capitolo di Vimercate avrebbe provveduto a eleggere un successore. Se il capitolo non fosse giunto ad un accordo circa l'elezione entro tre mesi, il diritto di elezione sarebbe passato al Capitolo Metropolitano e i proventi del terreno nel periodo di vacanza sarebbero stati assegnati ai poveri dell'Ospedale Nuovo di S. Maria di Milano. Il titolare del beneficio avrebbe servito i divini uffici nella chiesa di S. Stefano e celebrato tre volte alla settimana la messa per i defunti all'altare di S. Sofia nella chiesa di S. Maria in Vimercate, recitando tre orazioni per l'anima di Orrico, di Lanterio Scaccabarozzi e di Giustamonte Cavazza, canonico di Vimercate e familiare dell'arciprete.

 

Altri documenti attestano la presenza dello Scaccabarozzi nel Capitolo di Vimercate. Nel 1265, il 26 gennaio, assistette all’investitura di Gandolfo Formento e Giacomo suo figlio di un terreno, effettuata da Guglielmo di Goldaniga voluntate capituli[110]. Due anni dopo, in data 12 gennaio, acquistò a titolo personale da Guglielmo de Temono un terreno di undici pertiche, con viti e alberi, giacente in Vimercate in località “al prato del fu Pietro Alamanni”, altrimenti detta “alle fornaci” e lo cedette a titolo di livello allo stesso Guglielmo[111]. E' presente inoltre alla riunione del 5 aprile 1269 in cui il capitolo di S. Stefano ricevette due donazioni da parte del canonico Manfredo Cavazza e del preposito Guglielmo di Goldaniga[112]. Il 6 settembre 1272 assistette, insieme al preposito Guglielmo di Goldaniga e ai canonici Giovanni Fedeli, Pietro Corrente, Marchisio Ferrario, Giustamonte Cavazza, Lodorengo de Lambro e Ambrogio Umano, alla consacrazione del nuovo altare di s. Stefano nella chiesa omonima da parte del vescovo di Accia Imerio Mariani da Cremona[113], che vi ripose le reliquie dei santi Andrea apostolo, Cosma e Damiano, Taddeo apostolo, Quirino e Nicomede. Il giorno seguente, alla presenza degli stessi canonici, il vescovo consacrò l’altare di S. Maria, nel quale furono poste “reliquias sancti Eustachii martiris et de cingulo sancti Francisci et reliquias Undecim millium virginum et sancti […] confessoris archiepiscopi Mediolanensis”, e l’altare del battistero, dedicato a s. Giovanni Battista, anche questo sede di reliquie: sono ricordate quelle di s. Cristoforo, s. Dionigi confessore e vescovo di Milano e dei martiri Vitale e Agricola[114].

Il 13 febbraio 1274 Orrico, presenziando alla seduta che si tenne in quel giorno, diede il suo assenso all’investitura di un terreno effettuata dal preposito Pietro de Opreno a favore di Boldo de Boldi di Rozenello[115].

Il 3 luglio 1274 assistette alla stesura del documento con il quale il canonico Manfredo Cavazza stabilì un legato in favore della chiesa di S. Stefano per la celebrazione delle sue esequie[116].

L' 8 agosto 1276 il capitolo di S. Stefano si riunì per provvedere alle necessità dell’ospedale di S. Maria ad Morgulam, gravato da molti debiti. I canonici, tra cui lo Scaccabarozzi, stabilirono all’unanimità che il predetto ospedale non dovesse accogliere altri frati finché il numero dei frati e conversi presenti non fosse sceso ad otto o meno e che analogo comportamento fosse da tenersi nei confronti delle monache e converse[117]. Il capitolo stabilì inoltre che i fitti e i proventi di due appezzamenti di terreno, siti nel territorio del borgo, fossero destinati all’acquisto di paramenti, ornamenti, vasi ed altri utensili per la chiesa e la sacrestia[118].

L' 11 aprile 1277 il preposito Obizzone Bernareggi, preposito di S. Stefano, i presbiteri Zanone Fedeli, Orrico Scaccabarozzi, Manfredo Cavazza, Pietro Corrente, Petrazzo de Opreno e i canonici Marchisio Ferrario, Ambrogio Umano, Giovanni Cassina e Lodorengo de Lambro investirono Filippo di Villanova di un terreno sito in Rozenello, in località ad Molliam[119].

Nel 1290 Orrico era ancora canonico di Vimercate: un documento di quell'anno contiene un elenco di pegni depositati a nome del capitolo e tra essi sono ricordate coppe di sua proprietà[120].

 

***

 

L'ultimo documento in cui compare Orrico Scaccabarozzi porta la data 2 giugno 1293; l'arciprete morì probabilmente entro l'anno e venne tumolato in S. Francesco Grande[121].

La sua tomba fu vista dal Giulini, che ne diede una particolareggiata descrizione, accompagnata da un disegno[122]:

 

Vi si mira al di sopra scolpita a basso rilievo l'immagine di un ecclesiastico col capo scoperto [...]. Sotto al coperchio dell'arca vi si legge la seguente iscrizione, da cui si raccoglie che dieci anni prima Olrico Scaccabarozzo aveva fabbricate le scuole ai frati Minori, de' quali era molto divoto, ed avea loro fatto molti altri beneficj spirituali e temporali:

IN ISTO SEPVLCHRO IACET R. P. D. HENRICVS SCACCABAROZZVS

ARCHIPRESBYTER MAIORIS ECCLESIAE MEDIOLANI QVI FVIT MAGNVS DEVOTVS ORDINIS MINORVM ET ISTIVS CONVENTVS

BENEFACTOR NAM IN ANNO DOMINI MCCLXXXVII SCHOLAS

NOBIS CONSTRVXIT ET MVLTA ALIA TAM SPIRITVALIA QVAM

TEMPORALIA VT PIVS PATER CONCESSIT.

Sotto alla iscrizione poi v'è una croce nel mezzo, e due insegne gentilizie ai lati. Nell'arma posta a destra si vedono tre fasce per lungo; e nell'altra a sinistra un carro di due ruote, con riparo assai alto all'intorno formato di vimini, e con alcuni raggi o merli al di sopra. Simili carri da noi chiamansi Barozzi, o Barozze, e da tal voce ha preso il cognome verisimilmente la famiglia degli Scaccabarozzi, che ha voluto uno di que' carri nella sua insegna. Mi hanno raccontato alcuni religiosi di quel convento, che quando fu trasportata la descritta arca, fu anche aperta, e dentro di essa oltre il corpo del nostro arciprete, vi si sono ritrovati alcuni altri corpi con armature di ferro, probabilmente di militi della stessa nobil famiglia […].

 

Il coperchio dell'arca portava scolpita l'effige dell'ecclesiastico, contraddistinta dalle insegne proprie della dignità archipresbiteriale. Un altro epitaffio è ricordato dal Muratori[123]:

 

Orricus dictus cognomine Scaccabarozus, Mediolanensis tunc Archipresbyter urbis, arca de petra jaceo qui clausus in ista, sanctorum studui cum cantu scribere laudes nomina sunt quorum: Nazarius atque Sophia et Marcellinus, Petrus, Maurilius, Anna, etc.

 

Il Muratori afferma che l'epigrafe si trovava nel manoscritto che contiene gli Uffici scritti da Scaccabarozzi, ma l'assenza della stessa dall'unico codice noto, il Cap. Metrop. II.F.2.1, fece ipotizzare al Dreves l'esistenza di un altro testimone forse perduto[124].

 

2. L'attività poetica

 

Orrico Scaccabarozzi è autore di diciannove Ufficiature ritmiche per feste di santi, due Uffici dedicati alla Vergine Maria e destinati alle solennità dell'Assunzione e della Natività, una Missa pro Terra Sancta[125] composta delle sole orazioni per il celebrante e prefazio, dodici inni, antifone e responsori, probabilmente primi lavori in vista di opere cui l'arciprete intendeva dedicarsi e che non furono portate a compimento o che non ci sono pervenute. Tutti i testi sono conservati dal codice metropolitano II.F.2.1, tranne l'Ufficio in onore di s. Olderico, trasmesso da un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, il codice miscellaneo P 165 sup[126].

 

2.1 I manoscritti

 

1] Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano, II.F.2.1, sec. XIII2 area milanese. Membr., ff. I-162-I, ff. 1-150 mm. 283 x 177 (215 x 135-145)[127], ff. 151-161 mm. 250 x 180 (175 x 130); numerazione araba di età moderna in inchiostro nero nell'angolo superiore destro di ogni foglio. Irregolarità di numerazione tra f. 25 e f. 26 corretta in 25-25bis-26; due cedole di pergamena inserite tra ff. 32-33 e tra ff. 87-88, numerate a matita rispettivamente 33 e 88, ciascuna contenente una riga di testo con relativo tetragramma. Nel margine superiore destro di f. 1r annotazione a matita RG 3611. Rigatura a secco, nell'ultimo fascicolo a piombo. Ogni foglio è scritto a piena pagina con un numero di righe oscillante attorno a 52. L'ultimo fascicolo, di dimensioni inferiori, contiene un minor numero di righe, circa trenta per foglio. Il numero di linee di testo per pagina non è uniforme a causa dell'alternarsi di brani con musica e testi privi di melodia. Fascicoli 14 (ff. 1-8), 21+3 (ff. 9-15), 32 (ff. 16-19), 42 (ff. 20-23), 53+1 (ff. 24-30), 64 (ff. 31-38),  712 (ff. 39-62), 84 (ff. 63-70), 94 (ff. 71-78), 104 (ff. 79-86), 114 (ff. 87-94), 124 (ff. 95-102), 133 (ff. 103-108), 141 (ff. 109-110), 154 (ff. 111-118), 164 (ff. 119-126), 174 (ff. 127-134), 184 (ff. 135-142), 194 (ff. 143-150), 206 (ff. 151-162). Parola di richiamo orizzontale, nel margine inferiore verso destra, con cornice in bruno ripassata in rosso a fasc. 4, 6, 8, 10, non ripassata a fasc. 1, 7, 9, 11. Il fascicolo 20 presenta segnature in numeri romani (da VIII a XIII) nel margine inferiore di ogni foglio recto, probabilmente apparteneva in origine a un'altra raccolta.

Sono riconoscibili le mani di tre copisti[128]: A (ff. 1-134v), gotica italiana del secolo XIII estremamente regolare, in inchiostro bruno chiaro[129]; B (ff. 135-150v) gotica italiana dello stesso periodo, in inchiostro nero, vergata con una penna dalla punta particolarmente larga; C (ff. 151-162r), gotica italiana, in inchiostro nero, ancora sec. XIII[130], più angolosa rispetto alle precedenti.

Il fascicolo 14 (ff. 109-110) è aggiunto e non è stato compilato dal copista A, la grafia sembra piuttosto da accostare a quella della mano C (ff. 151-162), cronologicamente vicina.

Si incontra frequentemente nel manoscritto una scrittura più corsiva sempre della stessa mano (= A?), che interviene nei margini e nei fogli lasciati bianchi dal lavoro di compilazione (tav. I). La tipologia delle aggiunte è estremamente varia: si va da semplici nota bene o croci apposti nei margini laterali a veri e propri testi. Sono presenti inoltre rinvii interni e annotazioni che hanno tutto l'aspetto di progetti redazionali. Il confronto con una sottoscrizione apposta dallo  Scaccabarozzi, come testimone, a un diploma di Ottone Visconti conferma l'ipotesi che queste aggiunte siano autografe[131] (tav. II). Tutti i fascicoli che compongono attualmente il codice devono quindi essere stati compilati prima della sua morte ed essere stati in suo possesso.

La prima sezione del manoscritto (fasc. 1-12, mano A) sembra essere stata concepita come una compilazione unitaria; doveva presentare originariamente una sola intestazione iniziale, di cui si conserva traccia nel margine superiore di f. lv, e l'explicit di f. 102v: "Explicit liber officiorum quem compillavit dominus Orricus Scacabarocius sancte Mediolanensis ecclesie archipresbiter et prepositus basilice apostolorum seu ecclesie sancti Naçarii in Brolio Mediolani". I fascicoli 13-17 (A), 18-19 (B) e 20 (C) contengono ciascuno l'Ufficio per una sola festività. 

Notazione musicale ambrosiana a punti collegati ai ff. 1-134 (stessa mano del testo). Tetragramma con linea del Do in giallo e linea del Fa in rosso, chiave di Do e di Fa, il Si bemolle è segnalato da una linea rossa, custos sempre indicato.

L'ultimo fascicolo (mano C) presenta una grafia musicale perfettamente quadrata, su tetragramma a linee rosse[132].

 

1] ff. 1r-7v, Officium s. Galdini (AH XIVb, 163; 183-186; 245)[133]

2] ff. 7v-14r, Officium s. Barnabae (AH XIVb, 163; 186-189; 245-246)

3] f. 14v, Hymnus s. Barnabae (AH XIVb, 164)

4] f. 14v, Hymnus s. Iohannis apostoli et evangelistae (AH XIVb, 164), Alius

     hymnus in eodem festo (AH XIVb, 164)

5] f. 14v, Hymnus de s. Thecla (AH XIVb, 165)

6] f. 15r, Hymnus s. Mathei apostoli et evangelistae (AH XIVb, 166)

7] f. 15r-v, In s. Petro martyre, hymnus (AH XIVb, 166) antiphona ad

    Magnificat (AH XIVb, 154), responsorium (AH XIVb, 155)

8] f. 15v, Hymnus s. Margaritae (AH XIVb, 167), Prefatio de s. Margarita

    (inedito)

9] f. 15v, In ss. Nabore et Felice antiphonae (tre, di cui solo la prima edita in

     AH XIVb, 156)

10] f. 15v, In s. Victore antiphona (inedita)

11] ff. 16r-22v, Officium ss. Naboris et Felicis (AH XIVb, 167-68; 189-92;

      246-47)

12] ff. 23r-29v, Officium s. Annae (AH XIVb, 168-69; 192-95; 247)

13] ff. 29v-35v, Officium s. Perpetuae (AH XIVb, 169; 195-97; 248)

14] ff. 35v-43r, Officium Assumptionis Beatae Mariae Virginis (AH XIVb,

      170; 198-200; 248-49)

15] ff. 43v-50r, Officium Nativitatis Beatae Mariae Virginis (AH XIVb, 170-

      71; 201-203; 249-50)

16] f. 50v, Hymnus in Annuntiatione sanctae Mariae (AH XIVb, 171)

17] f. 50v, Hymnus s. Quirici (AH XIVb, 171)

18] f. 50v, In ss. Nabore et Felice antiphona (AH XIVb, 156, è la stessa che

      compariva, senza melodia, a f. 15v)

19] ff. 51r-58r, Officium s. Maurilii (AH XIVb, 172-73; 204-206; 250-51)

20] f. 58r-v, Missa pro Terra Sancta (Tamborini, La Messa, 99)

21] f. 58v, In s. Nazario, in vesperis, antiphona in choro (AH XIVb, 156)

22] f. 59v, Prefatio in s. Francisco[134]

23] ff. 59r-66v, Officium s.Sophiae (AH XIVb, 173-74; 207-209; 251)

24] ff. 66v-73v, Officium sanctarum undecim milium virginum (AH XIVb, 174;

      210-12; 251-52)

25] ff. 73v-81v, Officium omnium sanctorum (AH XIVb, 174-75; 213-16; 252-

      53)

26] ff. 82r-90r, Officium Beati Eustachii (AH XIVb, 175; 216-19; 254)

27] ff. 90r-95v, Officium s. Clementis (AH XIVb, 175-76; 219-22; 254-55)

28] ff. 95v-102r, Officium beatae Luciae (AH XIVb, 176; 222-25; 255-56)

29] f. 102v, Responsorium s. Petri et Pauli (AH XIVb, 226, dove è applicato ai

      ss. Marcellino e Pietro)

30] f. 102v, In s. Laurentio antiphona (inedita)

31] f. 102v, In ss. undecim milibus virginibus responsorium (inedito)

32] f. 102v, <In festo Ascensionis> antiphona (inedita)

33] f. 102v, In s. Gaudentio responsorium et antiphona (Liber notitiae, 150B)

34] f. 102v, In s. Maria Magdalena, responsorium (Liber notitiae, 237A)

35] f. 102v, In omnibus sanctis, antiphona (AH XIVb, 228), hymnus (AH

     XIVb, 253)

36] ff. 103r-108v, Officium omnium Apostolorum (AH XIVb, 225-28; 256), f.

      109r, Hymnum "Apostolorum omnium" (AH XIVb, 176), f. 109r-v,

      Officium omnium Apostolorum: orationes (inedite)

37] f. 110r, Lauda Syon salvatorem[135]  (AH XIVb, L 584)

38] ff. 111r-117v, Officium beatae  Margarite (AH XIVb, 167; 228-30; 257)

39] f. 117v-118r, In s. Quirico, ad vesperum, antiphona (AH XIVb, 157)

      hymnus (AH XIVb, 171), responsorium (AH XIVb, 157)

40] f. 118r, In ss. Petro et Paulo, ad Vesperum, ant. in choro (inedita)

41] f. 118v, Hymnus s. Cristofori (AH XIVb, 177)

42] ff. 119r-124v, Officium s. Silvestri (AH XIVb, 177; 231-33; 258)

43] f. 124v, In ss. Nabore et Felice, antiphona in choro (AH XIVb, 156)

44] ff. 125r-126r,  I due fogli contengono stesure di prova di brani che sono poi

      in parte confluiti nell'Officium omnium Apostolorum di ff. 103r-108v (sono

      editi solo i testi accolti nella redazione definitiva).

45] f. 126v, Gloria Patri

46] f. 126v, <In s. Iohannis archiepiscopi> responsorium (variante di AH

      XIVb, 239)

47] f. 126v, In s. Margarita antiphonae (inedite)

48] f. 126v, Sequentia omnium sanctorum (AH XIVb, 253)

49] ff. 127r-134v, Officium sanctorum martirum Marcellini et Petri (AH XIVb,

      178- 233-36; 258-9)

50] f. 134v, Epistola domino Comiti Casati (AH XIVb, 158-59)

51] ff. 135r-142v, Officium sanctae Eugeniae (AH XIVb, 179; 136-39; 159-60)

52] f. 142v, Ymnus s. Bernardi (AH XIVb, 179-80)

53] ff. 143r-150r, Officium s. Iohannis archiepiscopi Mediolanensis (AH XIVb, 

      180; 239-42; 260)

54] f. 150v, Antiphona (solennità non identificata, inedita)

55] f. 150v, In s. Laurentio antiphonae (inedite)

56] ff. 151r-162r, Officium beatae Ursulae ("more romano", si veda AH XIVb,

      174; 210-12; 251-52)

57] f. 162v, In beata Virgine Maria, antiphona (inedita)

 

Il manoscritto fece il suo ingresso nella Biblioteca del Venerando Capitolo del Duomo di Milano nel 1850. Il codice apparteneva alla biblioteca di mons. Gaetano Oppizzoni, donata alla Biblioteca Capitolare dopo la sua morte[136]. Dal Catalogo de' libri acquistati dal fu monsignor arciprete Oppizzoni apprendiamo che il manoscritto era stato acquistato in data 23 gennaio 1823 "da donna M.a Arrigoni nata Manzoni, erede del fu mons. Antonio Manzoni, suo fratello" insieme ad altri cinque volumi[137]. Nel "Catalogo" il codice è registrato come Orricci Scaccabarotti Liturgica, e lo stesso titolo compare sul tassello che troviamo sul dorso della cassetta in cui il manoscritto è conservato. Il Dreves consultò il manoscritto presso l'abitazione di mons. Angelo Meraviglia Mantegazza, allora Vicario Generale per la Diocesi di Milano, e afferma che in quel periodo il codice portava la segnatura Nr. 18, di cui non rimane oggi alcuna traccia, e segnala anche una segnatura precedente, d 313 L 18[138]. Quest'ultima, insieme alla segnatura attuale (II.F.2.1), è nota anche a Huglo[139]: in effetti nel margine inferiore di f. 1r si legge d 313 L 18 vergato in inchiosto bruno da una mano ottocentesca, che non sembra quella dell'Oppizzoni. E' seguita da un'annotazione di difficile lettura e solo l'ausilio della lampada di Wood permette di riconoscere le parole sac. Eccl<esi>e Michaelis Mediolani. Se la lettura fosse corretta, ci troveremmo davanti a una nota di possesso. Potremmo anche ipotizzare che L 18 indichi un prezzo, non una segnatura, ma continua a sfuggire il significato dell'intera sigla. Purtroppo né Dreves né Huglo spiegano da dove abbiano tratto tale informazione e dobbiamo quindi supporre che abbiano semplicemente interpretato in tal senso l'annotazione a margine. Manca nella descrizione di Huglo la segnatura corrispondente all'inventario del 1920 (n. 193), riportata in un'etichetta che si trova attualmente all'interno del piatto anteriore.

Quasi nulla siamo in grado di sapere di ciò che accadde nel periodo che separa la stesura del codice dal 1823, anno in cui entrò a far parte della collezione di mons. Oppizzoni. Sempre il Dreves riporta alcune informazioni tratte dall'Argelati[140] tra cui un passo del Muratori secondo il quale il codice si trovava allora nella Biblioteca del Capitolo Metropolitano. Questi, nella Dissertazione sul rito ambrosiano[141], si sofferma a trattare dell'opera dello Scaccabarozzi ed afferma:

 

Postremo tandem loco monebo Ambrosianum Officium multa debere Orrico, sive Olrico Scaccabarozzio, qui in ejusdem Metropolitanae Bibliothecae Codice appellatur ecclesie majoris Mediolanensis archipresbyter et praepositus Basilicae Apostolorum, sive Sancti Nazarii in Brolio Mediolani. Is enim anno 1280, uti ex eodem Codice constat, multa officia sanctorum tam in dictamine, quam in cantu compilavit. Leguntur ibi eadem officia, ut ex ipsius auctoris epitaphium, nempe: Orricus dictus cognomine Scaccabarozzus Mediolanensis tunc archipresbyter Urbis, arca de petra jaceo qui clausus in ista, sanctorum studui cum cantu scribere laudes, nomina sunt quorum Nazarius atque Sophia et Marcellinus, Petrus, Maurilius, Anna, etc.

 

Poco più avanti il Muratori menziona una lettera a Conte Casati e un ritratto dell'autore, contenuti nello stesso manoscritto. La lettera al cardinale Casati non oppone alcuna difficoltà, ma Dreves, non trovando all'interno del codice che stava consultando né l'epitaffio che il Muratori dice avervi letto, né il ritratto dello Scaccabarozzi, pensò che all'epoca dovesse esistere un altro testimone della medesima opera. Un ritratto di Orrico che potrebbe corrispondere alla descrizione datane nelle Antiquitates si trova in un fascicolo dell'Ambr. P 165 sup, ma dell'epitaffio e della data 1280, riferita sempre dal Muratori, ancora nessuna traccia. Potemmo ipotizzare la perdita di uno dei fascicoli che componevano allora il Liber, sul quale dovevano trovarsi i due dati che non hanno riscontro tra quelli attualmente noti[142]. Non si tratta certo di un'eventualità remota, soprattutto nel caso in cui il manoscritto sia stato trasferito da un luogo a un altro. L'Argelati lamenta del resto l'impossibilità di consultare il manoscritto translatus alio loco, e aggiunge alcuni dati interessanti:

 

Officia sanctorum, ex codice Bibliothecae Metropolitanae olim sign. B  num. 97 in pergameno, inserto alteri codici membranaceo, in quo scripte sunt Constitutiones de Reformatione Officii Ambrosiani, ut monebat cl. Muratorius, nunc vero alio translatus diligentiam nostram non sine moerore effugit[143].

 

Non è nota la fonte da cui trasse questa segnatura, che non appartiene alla Biblioteca Capitolare, ma somiglia a segnature della Biblioteca Ambrosiana. La Biblioteca del Capitolo conserva ancora alcuni antichi inventari e in essi abbiamo provato a cercare il nostro Liber. Un'indice posteriore al 1783[144] non registra nulla che possa essere avvicinato all'opera di Scaccabarozzi e conferma quindi quanto affermava l'Argelati. Un'indizio più interessante viene però dall'Index librorum compilato nella seconda metà del Cinquecento da Alessandro Maggiolini[145]: vi sono registrate le Costitutiones che dovevano essere rilegate con il Liber Officiorum, se la notizia data da Argelati nel passo citato sopra è attendibile.

 

2] Milano, Biblioteca Ambrosiana, P 165 sup., misc. sec. XIII-XV, membr. ff. II-41-II.  Il codice è fattizio, composto da sei unità mutile, provenienti da manoscritti di diverso argomento ed epoca[146], delle quali la seconda contiene l'Ufficio per s. Olderico, composto dallo Scaccabarozzi.

ff. 1r-21v <Martirologio milanese> , acefalo

ff. 22r-29v <Orrico Scaccabarozzi, Officium beati Odelrici> Incipit offitium beati Odelrici quod compillavit dominus Orricus Scacabarotius Mediolanensis Ecclesie arcipresbiter tam in dictamine quam in cantu.

f. 30r-v <Ugo da San Caro, Expositio regulae beati Augustini> Incipit expositio regule beati Augustini episcopi edita a venerabili doctore Ugone cardinali de ordine fratrum predicatorum.

ff. 31-35 <Pontificale (frammenti)>

ff. 36-39 <Antiphonarium ambrosianum (frammento)>

ff. 40-41 <Sacramentarium ambrosianum (frammento: messa per il vescovo locale)>

 

Fascicolo 24 (ff. 22-29)[147], mm. 277 x 185 (215 x 145), rigatura a piombo, 52 righe per foglio; il numero di linee di testo per foglio è legato all'alternarsi di brani con melodia e testi privi di musica; notazione musicale ambrosiana a punti collegati, tetragramma con linea del Do in giallo e linea del Fa in rosso, chiave di Do e di Fa, custos sempre indicato. Il fascicolo presenta le stesse caratteristiche dei fascicoli 13-17 del codice Metropolitano e la sua realizzazione è da attribuirsi al copista A. Anche nei margini di questi fogli è possibile riconoscere la mano dello Scaccabarozzi. L'ultimo foglio del fascicolo è ornato da un suo ritratto, in cui è raffigurato nell'atto di offrire a s. Odelrico la propria opera[148].

Legatura ottocentesca in pergamena su cartone, cornice impressa in oro con motivi vegetali. Rimane ignota la provenienta dei frammenti che compongono il codice.

 

2.2 Le Ufficiature ritmiche

 

Presentando le composizioni dello Scaccabarozzi, Dreves affrontò alcune delle questioni relative alla composizione del Liber: non precisò il periodo in cui poteva essere collocata l'attività poetica dell'arciprete, ma intuì che gli Uffici dovevano essere destinati a chiese particolari[149]. A sostegno della sua opinione basterebbe ricordare che l'uso delle Ufficiature ritmiche era del tutto estraneo alla tradizione ambrosiana, mentre le stesse godevano di particolare favore presso gli Ordini mendicanti[150]. Proprio per questo motivo Huglo pensò che lo Scaccabarozzi avesse ricevuto suggerimento alla propria opera dai Frati minori[151], con i quali intrattenne sempre rapporti cordiali[152]. La vicinanza all'ambiente dei nuovi Ordini, presenti da tempo anche nella città di Milano[153], poté influire sulla scelta di un genere non tradizionale, ma le motivazioni che spinsero l'arciprete ad impugnare la penna per cantare le lodi della Vergine e dei santi andranno indagate caso per caso.

Gli Uffici sono composti secondo la struttura tipica della Liturgia delle Ore ambrosiana e comprendono antifone, responsori con relativi versetti, inni e orazioni[154] per le ore canoniche di Vespro, Vigilie, Mattutino. La stessa osservazione può essere estesa alle Messe, in cui sia i canti, sia le orazioni presentano le rubriche tipiche del rito ambrosiano: ingressa, oratio super populum, psalmellus, versus in alleluia, post Evangelium[155], oratio super sindonem, offerenda, oratio super oblatam, prefatio, confractio, transitorium, oratio post comunionem. Alcune festività hanno anche le parti proprie dei Secondi Vespri[156]. Tutti i testi poetici (antifone, responsori, inni e canti per la messa) sono accompagnati da melodia, che Scaccabarozzi dichiara sempre originale: "composui tam in dictamine quam in cantu"[157]. Nelle sue composizioni, non solo negli inni, per i quali rappresentava una scelta a dir poco obbligata, Orrico mostra di prediligere il verso di otto sillabe, con cadenza proparossitona o parossitona. Impiegato in brani di dimensioni variabili - si va dai 3 versi di alcune antifone ai 12 del transitorio della messa per s. Maurilio- è talvolta alternato a versi di sette e nove sillabe, raramente a versi di lunghezza inferiore o superiore; frequente è anche lo schema che vede alternati versi di sette e sei sillabe, con cadenza rispettivamente proparossitona e parossitona. I versi di otto sillabe parossitoni compaiono generalmente in unione a versi di altro tipo, principalmente versi della medesima lunghezza a cadenza proparossitona.

I brani sono composti prendendo come riferimento le leggende dei santi e le passiones dei martiri[158], come l'autore stesso spiega nelle due lettere rivolte a Conte Casati e al preposito Michele. Nella prima gioca con il proprio cognome, vedendo in esso un segno della vocazione di scrittore spirituale - il baroccio da scaricare è in questo caso "birotam scripture duorum testamentorum, scilicet veteris ac novi"- ed elenca le fonti cui ha attinto per comporre il libello che offre all'amico: oltre ai testi sacri i libri dei padri e la leggenda dei santi Marcellino e Pietro che, dichiara, "spoliavi, ex ipsis velud spolia decerpens auctoritates seu earum sententias congruas materie de qua fueram tractaturus, nec non de ipsa legenda quam plurima assummens notis digna, que ad commendationem ipsorum martirum facere non inmerito videbantur"[159]. Scrivendo a Michele, Orrico afferma di essersi impegnato nella composizione dell'Ufficio per s.Olderico confidando nella misericordia di Dio più che nelle proprie forze e cercando nella leggenda del santo poche cose tra le molte che lo rendono venerabile e intrecciandole nella "ystoria" che gli è stata commissionata[160]. Talvolta Scaccabarozzi non compone ex novo i brani per una nuova Ufficiatura, ma riutilizza versi suoi, già impiegati in un altro ufficio. I brani che maggiormente si prestano ad essere impiegati in diverse solennità sono naturalmente quelli il cui contenuto presenta meno legami coi dati biografici del santo cui è dedicato l'Ufficio. Si tratta di invocazioni, richieste di intercessione e aiuto, brani che invitano a celebrare solennemente la festa di un santo; un gruppo nutrito è composto da testi in cui i santi dedicatari vengono presentati con attributi piuttosto generici, come militi, che le più atroci sofferenze non possono costringere a rinnegare la propria fede, e ai quali Cristo garantisce la vittoria, accogliendoli nel regno dei cieli. Un altro fattore che può favorire il passaggio di testi tra Ufficiature diverse è costituito dalla presenza di tratti comuni o affinità nelle vicende biografiche dei santi dedicatari: evidenti punti di contatto presentano ad esempio gli Uffici per s. Eugenia e s. Margherita, entrambe vergini e martiri, o gli Uffici per s. Galdino, s. Silvestro, s. Giovanni vescovo e s. Olderico, vescovi e confessori. Alcuni testi vengono riutilizzati integralmente per una seconda solennità, senza alcuna modifica e conservando la stessa funzione che avevano nell'Ufficiatura di origine: sette sono antifone generiche e due responsori con relativo versus; nei rimanenti ventiquattro casi ci troviamo di fronte a un invitatorio, tre antifone ad crucem, un'antifona in choro, un graduale (e relativo versus), un'offerenda, due confractiones, tre transitoria  e undici antifone che precedono i cantici di vespro, mattutino e lodi (Magnificat, Benedictus, Benedicite, Laudate). Si tratta nel complesso di testi tematicamente condizionati dalla posizione che occupano, per la vicinanza di un cantico, o dall'azione liturgica che accompagnano: offerta, frazione, comunione. Non è esclusa inoltre la possibilità di impiegare lo stesso testo all'interno del medesimo Ufficio in ore canoniche diverse, uso ampiamente documentato dai libri liturgici ambrosiani, ma al quale lo Scaccabarozzi ricorre solo di rado: nell'Officium sanctae Sophyae et filiarum eius otto delle dodici antifone ad Psallentium compaiono già a Vespro, Vigilia e addirittura nello stesso mattutino, la psallenda in baptisterio che segue il canto del Magnificat torna anche dopo il Salmo 116 (Laudate) e il versus del resp. cum infantibus è riutilizzato come versus in alleluia. Lo stesso fenomeno compare, in misura ancora più ridotta, nell'Ufficio per s. Barnaba, dove incontriamo la stessa antifona a Vespro e Mattutino (ad Psallentium) [161].

Gli Uffici in onore dei santi Nabore e Felice, Pietro e Marcellino e Olderico sono invece composti secondo il rito romano e presentano quindi una divisione delle Ore canoniche leggermente diversa: Vespro, Mattutino (costituito dal salmo invitatorio con relativa antifona e inno), Primo notturno, Secondo notturno, Terzo notturno, Lodi, Secondi vespri. I canti della messa hanno le rubriche: introitus, graduale (o responsorium graduale), alleluia, offerenda, communio; mentre le orazioni sono indicate con oratio (senza alcuna specificazione indica la prima orazione del celebrante e corrisponde alla super populum ambrosiana), secreta o secretella (orazione sulle offerte) e post comunionem. La scelta di comporre secondo il rito romano, che potrebbe apparire strana da parte di un esponente della chiesa milanese, è pienamente giustificata dalla destinazione di questi Uffici: l'Ufficio in onore dei martiri Pietro e Marcellino è composto dallo Scaccabarozzi come omaggio al cardinale Conte Casati, ormai personaggio della curia romana, quello per s. Olderico è scritto per gli Umiliati pavesi. Nessuna indicazione precisa possediamo invece per l'Ufficiatura in onore dei santi Nabore e Felice, ma uno spunto può venire dai testi della prima antifona ai secondi Vespri "Gaudeant fratres Minores/ crucifixi zelatores/ hospites facti sanctorum/ martyrum et confessorum"[162] e del graduale della messa "Data sanctorum corpora/ sunt martirum martiribus/ minoribus divinitus/ custodienda fratribus/ dure vite martirium/ libenter amplexantibus/ ut servi Cristi humiles/ honorent sibi similes"[163]. I Francescani milanesi divennero hospites sanctorum martyrum et confessorum nel 1256, quando fu loro affidata la basilica dei Ss. Nabore e Felice, in cui erano custodite le reliquie dei martiri, chiesa che, ingrandita,  mutò poi il suo nome in S. Francesco Grande e nella quale fu sepolto lo stesso Scaccabarozzi. Potremmo immaginare che in questa importante circostanza essi abbiano chiesto all'arciprete di comporre un Ufficio che celebrasse l'evento o che Orrico  abbia loro offerto una sua opera pensata per l'occasione. Anche i Frati Minori, come gli Umiliati, conservavano la liturgia romana all'interno della diocesi milanese e la struttura dell'ufficio si conforma alla loro tradizione. L'Ufficiatura in onore di s. Orsola e delle undicimila vergini martiri è presente in doppia redazione, more ambrosiano ai ff. 66v-73v e more romano ai ff. 151r-162r. Reliquie delle sante undicimila vergini martiri erano state riposte nel 1272 dal vescovo di Accia Imerio Mariani nell'altare di S. Maria di Vimercate e la cerimonia potrebbe avere offerto all'arciprete che vi prese parte uno spunto a comporre. Più difficile è invece capire per quale motivo l'Ufficio sia stato rielaborato secondo i due riti. Un suggerimento potrebbe venire dalle caratteristiche paleografiche del fascicolo che trasmette la versione "romana": l'uso della grafia musicale quadrata, del tutto sconosciuta alla tradizione milanese, potrebbe orientare verso una realizzazione francescana del fascicolo che, collocato originariamente in un'altra raccolta, sarebbe poi stato rilegato insieme ai rimanenti. Anche questo fascicolo conserva tracce autografe dello Scaccabarozzi.

 

Per quanto riguarda le rimanenti Ufficiature possiamo osservare che lo Scaccabarozzi scelse come soggetto per la propria poesia santi che, pur venerati a Milano, non appartenevano al canone del santorale ambrosiano. La cattedrale milanese, custode di un rito antico e venerabile di cui particolare depositario era il Capitolo Metropolitano, non aveva certamente bisogno di nuove composizioni per solennità entrate da tempo nel calendario liturgico o per feste di santi il cui culto aveva radici remote nella storia della chiesa ambrosiana. Diverso poteva essere il caso di feste di nuova istituzione e questo spiegherebbe anche perché alcune composizioni dell'arciprete siano entrate nei libri liturgici ufficiali e vi siano rimaste a lungo, alcune fino ai nostri giorni, nonostante i continui tentativi di riforma[164].

Abbiamo visto come quattro ufficiature - s. Sofia, s. Galdino, s. Barnaba e s. Anna- siano ricordate tra le condizioni poste dall'arciprete in due suoi legati alla chiesa di S. Stefano di Vimercate, mentre altre due, quelle per i ss. Marcellino e Pietro e per s. Olderico sono accompagnate da lettere dell'autore che permettono di conoscere il motivo per cui furono composte. Un'ultima indicazione proviene dalla rubrica del Codice Metropolitano in cui lo Scaccabarozzi dichiara la propria volontà di offrire il libello in onore di s. Eugenia alla chiesa di S. Maria Podone, dove la santa era tenuta in particolare venerazione[165]. Per quanto riguarda le altre Ufficiature non possediamo informazioni precise, ma potremmo immaginare che anche in questi casi l'arciprete operasse in risposta ad esigenze precise e le motivazioni che lo portarono a concepire ogni singola opera potrebbero quindi essere cercate nei particolari della vita dell'autore.

 

Il Liber non può essere considerato una raccolta organica, concepita secondo un disegno unitario: ciascuna delle Ufficiature ritmiche contenute nel codice metropolitano, come anche quella conservata dall'Ambr. P 165 sup., devono essere considerate opere autonome, realizzate in momenti distinti e successivamente raccolte nel manoscritto che le conserva. Le indicazioni fornite dalle rubriche del manoscritto, pur nella loro esiguità, hanno permesso agli studiosi di collocare la composizione delle Ufficiature in un periodo compreso tra gli anni ottanta e novanta del secolo XIII, nell'ultimo decennio di vita dell'autore. Il Muratori pensò al 1280, stando a quanto indicato nel manoscritto stesso[166], e lasciandosi guidare dalla rubrica di f. 135v Huglo[167] ritenne che alcuni dei canti dovessero essere stati composti nel 1286, mentre al periodo 1281-1288 fa riferimento Tamborini[168]. Se i dati provenienti dalle epistole dell'arciprete si inserivano pienamente all'interno del decennio proposto, quasi a confermarlo, il riferimento ad alcuni di questi Uffici nei testi delle donazioni effettuate dallo Scaccabarozzi a favore della chiesa di S. Stefano in Vimercate permettono di rivedere in modo significativo la cronologia del Liber Officiorum, ampliando notevolmente il periodo in cui dev'essere collocata l'attività poetica dell'arciprete. Accostando tutte le informazioni in nostro possesso otteniamo cinque riferimenti cronologici, nel seguente ordine:

 

ante 21 dicembre 1274 composizione dell'Ufficio per s. Sofia[169]

ante 8 agosto 1276 composizione degli Uffici per s. Barnaba, s. Anna e s. Galdino[170]

circa 12 aprile 1281 composizione dell'Ufficio per i ss. Marcellino e Pietro[171]

ante 23 giugno 1282 composizione dell'Ufficio per s. Olderico[172]

ante 1286 composizione dell'Ufficio per s. Eugenia[173].

 

Il 1256, anno in cui la basilica naboriana passò ai Francescani, può esser considerato terminus post quem per la composizione dell'Ufficio in onore dei martiri Nabore e Felice. L'opera dello Scaccabarozzi non verrebbe quindi a concentrarsi in un periodo limitato della maturità dell'arciprete, ma si distenderebbe in modo più ampio lungo l'arco della sua vita. Le altre Ufficiature presenti nel codice metropolitano non offrono purtroppo appigli che permettano di formulare più che ipotesi di lavoro. L'abitudine dello Scaccabarozzi di reimpiegare materiale già composto in nuovi Uffici, insieme alla tendenza a lasciare tracce di questo lavoro sui margini del manoscritto, permette di riconoscere una rete di rapporti interni tra le composizioni e potrebbe rendere possibile la ricostruzione di una cronologia relativa.

 

 

 

 

 

 

Appendice

 

I

 

Cartula prebendae domini Onrici Scacabarotii

 

La cartula contiene l'elenco dei terreni che costituiscono la prebenda di Orrico Scaccabarozzi, canonico di S. Stefano in Vimercate.

 

Milano, Archivio di Stato, Perg., cart. 611, n° 160: non datata, copia del sec. XIII1; mm. 230 x 150, non rigato, la pergamena presenta alcuni fori dovuti alla concia.

Nel verso, di mano del sec. XVII: “secolo XIII”, cui segue, di mano del sec. XIX: “ n. 160. Nota bonorum Prebendae domini Scacabarotii”.

 

In nomine Domini. Cartule prebende domini Onrici Scacabarotii.

In primis petia I terre que dicitur in clauso Salomon pertice XIII et facit staria XIII sicali et panici per medietatem Regordus Reguzus.

Item pertice X terre in Marcusate quam vendidit Marcadus de Morgula pro libris XVIIII et solidis XVII, et cui est a mane et a monte Manfredi de Merate, a meridie via, a sero in se reservatum in parte heredum Martini de Raporta.

Item in Barazia petie II terre cum vitibus intus.

Item in Barazia pertice V terre.

Item in Sabionera pertice IX terre cum vitibus, cui est a mane Iacobi de Gradi et in parte Guillelmi de Gera, a meridie Frugerii Paste et in parte Zanebelli Rustigi, a sero Iacobi de Meda, a monte Scotti de Belusco.

Item in Sabionera pertice I et medium cum vitibus, cui est a mane et a monte via, a meridie Suzonis de Belusco, a sero Berardi Pizapochi.

Item in Barazia petia I cum vitibus pertice XII cui est a mane et a meridie Mafei de Leuco, a sero Orentis de Pissina, a monte via.

Item in Soltina pertice VI cum vitibus modio I et medium vini Bezonus Currens.

Item in Soltina pertice III et tabule XVIII.

Item in Soltina pertice VI et tabule I.

Item in Tresolzo pertice V et tabule XV in Albarotis staria XVIII et caponus I.

Item in territorio de Belusco super vallem de Amezago pertice VIIII cum vitibus.

Item in Caponago ad Boschetum petia I cum vitibus et est pertice XII.

Item in Albaro petia I pertice V et tabule IX, ficta staria XVIII et medium vinum et caponi II et ova XII[174].

Item ad Rigeranum petia I pertice IIII et medium.

 


 

 

II

 

1274 dicembre 21

Donazione di Orrico Scaccabarozzi al Capitolo della chiesa di Vimercate, in onore delle sante Sofia e figlie

 

Orrico Scaccabarozzi dona alla chiesa di S. Stefano in Vimercate una vigna sita nel territorio dello stesso borgo, in località Cerredo e dispone che i proventi della stessa vengano distribuiti annualmente nel giorno di S. Sofia, dopo la sua morte, ai canonici, cappellani e custodi della chiesa, dietro l'obbligo della recita dell'Ufficiatura composta dallo stesso Scaccabarozzi in onore di s. Sofia e delle figlie Fede, Speranza e Carità.

 

Milano, Archivio di Stato, Perg., cart. 613, n° 530, copia coeva; mm. 580 x 560, rigato a piombo; la pergamena è danneggiata lungo il margine sinistro e presenta una mutilazione nell'angolo superiore destro. I danni rendono necessaria l'integrazione di alcune lettere o sillabe, ma non ostacolano la lettura del documento. Nel margine destro alcune croci tracciate in inchiostro bruno. Sul verso, di mano del sec. XVI: “legatum domini Orici Schachabarozii”, cui segue di mano del sec. XVII: “In Ceredo […]” e di mano del sec. XIX: “n. 530 1274 21 decembris. Instrumentum donationis unius petiae terrae sitae in Territorio Vicomercati ubi dicitur in Ceredo factae Ecclesiae S. Stephani Vicomercati a d. Orico Scacabarotio Archipresbitero Mediolanensis Ecclesiae, Praeposito S. Nazarii in Brolio Mediolani ac Canonico dictae Ecclesiae S. Stephani Vicomercati cum oneribus, ut in hoc instrumento recepitum per Honricum et Gulielmum Fratres de Hostiolo Mediolani Notarios”.

 

 

(S.T.) In nomine Domini. Anno a nativitate eiusdem millesimo ducentesimo septuagesimo quarto, die veneris vigesimo primo decembris, indictione tertia.

In canonica Mediolani, presentibus Guidone de Concessa can[o]nico[175] ecclesie de Pontirollo et Alcherio, filio quondam domini Arderici de Osa, et presbitero Guilielmo benefitiali ecclesie sancti Vicentii ad Setaram et Guilielmo Scarpa custode Ecclesie Mediolanensis et Giramo de Carugo clerico, testibus rogatis, et presentibus Honrico et Guilielmo fratribus, dictis de Ostiollo, notariis.

Venerabilis et discretus vir dominus Orricus Scacabarozius, filius quondam domini Alghisii Scacabarozii archipresbiter […][176] ecclesie, prepositus ecclesie Sancti Nazarii in Brollio Mediolani ac canonicus ecclesie Sancti Stephani de Vicomercato Mediolanensis diocesis, cupiens predictam ecclesiam de Vicomercato reverenter honorari ad honorem De[i][177], Genitricis eius et beatarum Sophie, Fidei, Spei et Caritatis filiarum eius et martirum, reservatis in se fructibus infrascripte vinee donec vixerit, remitens singulas causas ingratitudinis a presenti die et hora, f[…][178] et facit donationem inter vivos, sub infrascriptis pactis et conditionibus et alias non erat donaturus, in Iustamontem Cavazam canonicum ipsius ecclesie recipientem suo nomine et nomine ipsius ecclesie et capituli eiusdem et prepositi et canonicorum ipsius et per eum dictis preposito, canonicis et capitulo et ecclesie de Vicomercato: nominative de petia una vinee  iacente in territorio dicti burgi ubi dicitur in Cerredo et est perticae [...][179] vel id circa, cui est a mane dicte ecclesie de Vicomercato, a meridie via, a sero et a monte Hospitalis Sancti Iohannis de Vicomercato; quam petiam vinee idem dominus archipresbiter emit a domina Gieroviso relicta quondam Pizi Currentis et a Belforte, dicto Rubeo, filio ipsius quondam Pizi, ut constat per publicum instrumentum traditum et subscriptum per Lombardum filium quondam Leonis de Leuco de burgo Vicomercato notarium[180] ac missum regis et scriptum per Bonum filium dicti Lombardi millesimo ducentesimo septuagesimo quarto, die dominico vigesimo octavo die octubris, indictione tertia, tali pacto et conditione et alias idem donator non erat donaturus, quod prepositus et canonici ipsius ecclesie et capellani constituti in capellaniis dominorum quondam Azonis Gualmaxii ipsius ecclesie canonici et Guilielmi de Goldaniga ipsius ecclesie prepositi et Arecordi Aicardi Arzuffi et custodes  ipsius ecclesie, qui pro temporibus fuerint in dicta ecclesia et in capellaniis predictis, teneantur et debeant post obitum ipsius donatoris, omni anno cellebrare festum sancte Sophie et sanctarum Fidei, Spei et Caritatis martirum et virginum, filiarum eius, ultimo die septembris, et facere in ipso festo offitium compilatum ab ipso domino Orrico archipresbitero tam in prosa quam in cantu ad honorem predictarum sanctarum, secundum ordinem infrascriptum, videlicet: quod in vigiliis ipsarum sanctarum fiant vespere et vigilie, in festo autem sequenti die fiat matutinum et, cantata hora tertia in ecclesia Sancti Stephani ipsius burgi, fiat salentium[181] ab ipsa ecclesia Sancti Stephani processionaliter ad ecclesiam Sancte Marie ipsius burgi et in ipsa ecclesia Sancte Marie ad altare Beate Virginis sive ad altare sancte Sophie, si altare ad honorem ipsius fuerit hedifficatum in dicta ecclesia, celebretur missa cum diacono et subdiacono, per predictos[182] prepositum, canonicos, capellanos[183] et custodes ipsius ecclesie  et in omnibus predictis vesperis, vigiliis, matutinis, salentio et missa cantetur et dicatur per seriem offitium dictatum et compillatum ab ipso domino archipresbitero, quod sic incipit: "ad vesperum lucernarium o glorio[s]a[184] femina et cetera". Hoc acto et dicto per pactum, quod fructus ipsius vinee perveniant et pervenire debeant in illum vel illos qui fuerint electi per prepositum et capitulum ipsius ecclesie ad dispensandum annualia ipsius ecclesie, [s]tatuens[185] et ordinans dictus donator quod de fructibus ipsius terre fiant quatuor partes semper, prima quarum dividatur inter prepositum, canonicos, capellanos et custodes[186] predictos tantum qui  interfuerint et fecerint predictum officium in predictis vesperis. Nam si contingeret aliquo casu quod dicte vespere non fierent per eos, tunc dicta pars perveniat in secrestiam (sic) ipsius ecclesie ad emendum oleum quod ardi debeat in cicindellis ipsius ecclesie Sancte Marie. Secunda pars distribuatur per predictos distributores annualium inter predictos prepositum, canonicos, capellanos et custodes qui interfuerint et fecerint predictum offitium ad vigilias; et si predictum offitium ad vigilias non fieret per eos, tunc predicta secunda pars veniat in predictam secrestiam ad emendum oleum ardendum ut supra. Tertia vero pars per eosdem distributores inter predictos qui interfuerint et fecerint dictum offitium in dicto matutino; et si dictum offitium in matutino predicto, aliquo casu veniente[187], tunc illa pars que distribuenda foret, si officium non[188] fieret, veniat in predictam secrestiam ad emendum oleum ardendum in predictis cicindellis ut supra. Ultima vero pars dividatur[189] inter predictos[190] per dictos distributores qui interfuerint et fecerint predictum offitium in hora tertia et in sallentio et missa predictis, quod si predictum offitium aliquo casu non cantaretur sive non fieret in predictis hora tertia, salentio processionaliter et missa, tunc ista ultima pars deveniat in secrestiam predictam ad emendum oleum ut supra. Item statuit et ordinat quod dicti prepositus et canonici non possint nec debeant ipsam terram vendere vel alienare, nec eam vel fructus ipsius dividere in prebendas singulares ipsius ecclesie, et si dividerent in prebendas singulares vel[191] deputarent prebende singulari vel prebendis, statuit et ordinat quod ipsi fructus deveniant et pervenire debeant in capitulum Ecclesie Mediolani quam diu remanebunt divisi, ita quod liceat […][192] capitulo vel sindico ipsius, sua propia auctoritate, accipere dictos fructus donec divisi remanebunt et eos disponere in utilitatem ecclesie. Item statuit et ordinat quod cantata et cellebrata missa vadant pre[dicti][193] prepositus, canonici, capellani et custodes ad cimiterium canonicorum ipsius ecclesie et ibi dicant tres orationes: [et][194] unam pro anima ipsius donatoris, aliam pro anima quondam domini Lanterii Scacabarozii pa[tr]ui[195] ipsius domini archipresbiteri, olim ipsius ecclesie prepositi, et tertiam pro omnibus deffunctis. Eo tenore quod dececom (?) dictus Iustamons, nomine ipsius ecclesie, sive dicta  ecclesia habeat, teneat et titulo donationis possideat dictam petiam terre cum vitibus et de ea faciat quicquid facere voluerit sine contradictione ipsius donatoris vel alicuius alterius persone, cedendo, dando atque mandando dictus donator eidem Iustamonti et per eum dicte ecclesie et capitulo ipsius omnes attiones, rationes, exceptiones, replicationes, retentiones, usus et deffensiones utiles et directas, reales et personales atque ypotecharias[196] et omnia iura sibi competentes et competentia modis omnibus, in ipsa et pro ipsa petia terre et contra datores et fideiussores ipsius et contra quascumque personas et res occaxione ipsius vinee, constituens dictus donator se tenere et possidere dictam petiam vinee nomine ipsius Iustamontis et dicte ecclesie, quibus dominio et possessioni idem donator renuntians, dominium et possessionem predictam in predictum Iustamontem, nomine ipsius ecclesie et per eum, in dictam ecclesiam transfert, dat et relinquit et eum nomine predicto sive dictam ecclesiam suum missum[197] et procuratorem in rem predictam facit et constituit et eum per omnia in suum locum posuit et ponit; pro qua donatione dictus donator confitetur recepisse et habuisse a dicto Iustamonte lempum supertunicalis sui, quia  sic statuit sua bona voluntas.

 

(S.T.) Ego Honricus filius quondam domini Azonis de Hostiolo, civis Mediolanensis, pro notario imperiali auctoritate, predictis interfui et subscripsi.

(S.T.) Ego Guilielmus dictus de Hostiolo, Mediolanensis civis, imperiali auctoritate notarius, predictis pro notario interfui et subscripsi.

(S.T.) Ego Marcus dictus de Ostiolo, Mediolanensis civis, imperiali auctoritate notarius, predictis omnibus interfui publicavi et rogatus tradidi et ad scribendum dedi et subscripsi.

(S.T.)[198] Ego Iacobus Carbonus, notarius civitatis Mediolani Porte Vercelline scripsi.

 

 

III

 

1276 agosto 8

Donazione di Orrico Scaccabarozzi al Capitolo della chiesa di Vimercate in onore dei santi Barnaba, Galdino e Anna madre di Maria

 

 

Orrico Scaccabarozzi dona alla chiesa di S. Stefano in Vimercate una vigna sita nel territorio dello stesso borgo, in località Costa de Tresolzo e dispone che i proventi della stessa vengano distribuiti annualmente nei giorni di s. Barnaba, s. Anna e s. Galdino, dopo la sua morte, ai canonici, cappellani e custodi della chiesa, dietro l'obbligo della recita delle Ufficiature composte dallo stesso Scaccabarozzi in onore dei santi Barnaba, Anna e Galdino.

 

Milano, Archivio di Stato, Perg., cart. 613, n° 661; copia coeva; mm. 800 x 580, rigato a piombo. La pergamena presenta una lieve mutilazione nel margine inferiore, che interessa il signum tabellionatus del notaio Giacomo del fu Anselmo Stefanoni, alcuni fori dovuti alla concia e due fori in prossimità del margine superiore sinistro che rendono necessaria l'integrazione di alcune lettere. Sul verso, di mano del sec. XVI: “Donatio unius petie vinee in Vicomercato”; di mano del sec. XVII: “1658 […] eis que dicuntur in hoc instrumento nulla amplius extat memoria”, cui segue, di mano coeva “ in […]”; di mano del sec. XIX: “ n. 661 1276. 8. Augusti. Donatio unius petiae terrae perticae 6 tabulae 3 sitae in territorio Vicomercati ubi dicitur in Tresolzio facta Venerabili Capitulo Ecclesiae Collegiatae S. Stephani Vicomercati a d. Orrico Scacabarotio filio d. Algisii Archipresbitero S. Mediolanensis Ecclesiae, Praepostito Ecclesiae S. Nazarii in Brolio Mediolani et Canonico dictae Ecclesiae S. Stephani cum onere celebrandi pre[..] annis diem festum S. Barnabae Apostoli, S. Annae et S. Galdini rogatum a Petro de Rocello Notario”.

Copia della fine del sec. XVIII in G. C. Della Croce, Codex diplomaticus mediolanensis, Ambr. I 19 suss., ff. 113r-116r.

Le parti del testo sottolineate sono sottolineate anche nel documento, in inchiostro bruno.

 

(S.T.) In nomine Domini. Millesimo ducentesimo septuagesimo sesto, die sabati octavo die augusti, indictione quarta. In canonica ecclesie Sancti Stephani de Vicomercato, in Capitulo illius ecclesie seu Canonice ibi more solito pro hoc spetialiter negotio [per]agendo[199] [con]vocato[200] et colecto, in quo aderant domini Petratius de Opreno canonicus et electus in prepositum illius ecclesie, presbiter Zanonus Fidelis, prior presbiter dicte ecclesie, presbiter  Manfredus Cavaza, presbiter Petrus Currens, Iustamons Cavaza, Bevulcus de Valle, Lodorengus de Lambro, Iohanes Cassina, Ambroxius Humanus, Marchixius Ferrarius, et Petrus de Turri omnes canonici dicte ecclesie, seu canonice Sancti Stephani de Vicomercato.

Nos in Dei nomine Orricus Scachabarozius, filius quondam domini Algisii Scachabarozii, Sancte Mediolanensis Ecclesie archipresbiter et prepositus Sancti Nazarii in Brolio ac canonicus ecclesie Sancti Stephani de Vicomercato, cupiens beatum Barnabam apostolum et beatam Annam, matrem sancte Marie virginis, et beatum Galdinum confessorem, archiepiscopum Mediolani, honorare, et in ipsis sanctis Deum honorare, reservatis semper in nos donec viscerimus (sic) fructibus et redditibus infrascripte petie vinee, donamus pure et mere et inrevocabiliter inter vivos, singulas causas ingratitudinis a presenti die et hora remittens, sub infradictis pactis et conditionibus, et alyas non donaturi, predictis dominis Petratio, Electo, et presbitero Zanono, et aliis prenominatis canonicis in eodem capitulo congregatis ut predictum est nomine et vice,  et ad partem ipsius ecclesie seu canonice et capituli ipsius ecclesie et ipsius ecclesie, petiam unam vinee, seu terre cum vitibus arborum supra, iacentem in terretorio burgi de Vicomercato, ubi dicitur subtus Costam de Tresolzo, et est pertice sex et tabule tres, et pedes decem et medium, cui coheret a mane Pagani filii condam Alcherii Alicochi in parte Iacobi Aicardi qui et alio nomine dicitur Latera, a meridie Iacobi Andree, a sero[201] consuevit esse Zanebelli filii condam Becherii Aicardi et modo est dicte ecclesie seu canonice de Vicomercato, a monte Stephani sive Petri Ferrarii. Quam petiam terre dictus Zanebellus filius condam Becharii Aicardi de suprascripto burgo dedit et vendidit et pro deffensione et evictione eiusdem terre promisit predicto Iustamonti Cavaze ipsius ecclesie canonico, recipienti nostro nomine et ad nostram partem et utilitatem, fatienda et restituenda datis inde fideiussoribus Recordo  Arzuffi de Aicardo et Inglesco filio condam Airoldi de Airoldis de dicto burgo et Belforte filio condam Germani Currentis de Vicomercato, custode predicte ecclesie seu canonice Sancti Stephani, qui se constituerunt principales debitores, deffensores et emendatores quilibet in solidum predicto Iustamonti, nostro nomine et ad nostram partem recipienti. Et pretium cuius petie terre dictus Iustamons, nostro nomine et de nostris propriis denariis, dicto Zanebello dedit et soluit sicut per omnia dictus Iustamons ibi protestabatur et asserebat et ut plenius constat per instrumentum ipsius venditionis factum hoc anno, die veneris ultimo die iullii, indictione quarta, traditum et scriptum per Petrum de Rocello civitatis Mediolani, Porte Orientalis notarium. Item de ipso instrumento et de omnibus iuribus et actionibus et rationibus et ingressibus et regressibus ipsius petie terre seu et nobis in ea et pro ea petia terre et eius occasione et per predictum instrumentum venditionis et pro omnibus promissionibus et obligationibus et iuribus in eo instrumento expositis, factis vel contentis et eorum occasione, et quolibet iure et modo pertinentibus seu acquisitis, facimus simili modo et sub eisdem conditionibus similiter donationem predictis, suprascripto nomine ut supra, talli pacto et conditione, et alyas non eramus donaturi, videlicet: quod prepositus et canonici illius ecclesie et capellani, constituti in capellaniis in eadem ecclesia constitutis per condam dominum Azonem Guarmasium ipsius ecclesie canonicum et per condam dominum Guilelmum de Goldanica ipsius ecclesie prepositum et per Recordum filium quondam Ambrosii Arzuffi de Aicardis de burgo Vicomercato, et alii capellani qui de cetero constituti fuerint in capellaniis in ipsa canonica Sancti Stephani, qui pro temporibus fuerint in ipsa canonica et in capellaniis tam factis quam futuris in ipsa canonica, et custodes illius ecclesie teneantur et debeant post obitum nostrum omni anno celebrare festum sancti Barnabe apostoli, sub ista forma et secundum ordinem infrascriptum, videlicet: quod in vigilia illius festivitatis per eos fiant vespere et vigilie, in festo autem sequenti die fiat matutinum et, cantata hora tertia in ecclesia Sancte Marie dicti burgi, fiat processio ab ipsa ecclesia ad ecclesiam Sancti Stephani illius burgi, in cuius choro et ad cuius altare fiant predicte vespere et vigilie in festo; et celebretur missa cum diacono et subdiacono; et in predictis vesperis et vigiliis et matutino et processione et missa fatiant offitium per nos noviter compilatum de ipso beato Barnaba tam in dictamine quam in cantu. Item teneantur omnes predicti post obitum nostrum omni anno celebrare festum sancte Anne matris sancte Marie Virginis, sequenti die proximo post festum sancti Cristophori, sub ista forma et secundum ordinem infrascriptum, videlicet: quod in vigilia ipsius fiant vespera et vigilie in choro ecclesie Sancte Marie illius burgi, in festo autem sequenti die fiat[202] matutinum in choro ipsius ecclesie et, cantata hora tertie in ecclesia Sancti Stephani illius burgi, fiat processio ab ipsa ecclesia ad ecclesiam predictam Sancte Marie; et celebretur missa ad altare ipsius ecclesie cum diacono et subdiacono; et in predictis vesperis et vigiliis et matutino et processione et missa fatiant offitium per nos noviter compillatum de ipsa sancta Anna tam in dictamine quam in cantu. Item similiter teneantur et debeant omnes predicti in omni anno post obitum nostrum celebrare festum sancti Galdini confessoris sub ista forma et secundum ordinem infrascriptum, videlicet quod in vigilia ipsius fiant vespere et vigilie, et in festo, sequenti die, fiat[203] matutinum in choro Sancte Marie dicti burgi et, cantata hora tertia in ecclesia Sancti Stephani dicti burgi, fiat processio ab ipsa ecclesia ad ecclesiam Sancte Marie et celebretur missa ad altare ipsius cum diacono et subdiacono, et in predictis vesperis et vigiliis et matutino et processione et missa fiat offitium per nos noviter compillatum de ipso beato confessore, tam in dictamine quam in cantu. Et in quolibet autem festo predicto, cantata missa, veniant omnes predicti in cimitorium (sic) canonicorum ipsius ecclesie et, cantato responsorio De profundis cum uno Miserere, dicant tres orationes, primam pro anima nostra, secundam pro anima condam domini Lanterii patrui[204] nostrui, ordinarii Mediolanensis Ecclesie et prepositi dicte ecclesie de Vicomercato, tertiam pro omnibus defunctis. Eo acto et dicto expressim, quod ficta et fructus et redditus et proventus ipsius petie vinee perveniant et pervenire debeant in illos vel illum qui electi fuerint per prepositum seu capitulum dicte ecclesie ad dispensandum annualia illius ecclesie; et quod de predictis fictis et fructibus et redditibus fiant tres partes annuatim, prima quarum dividatur in tres partes, quarum prima iterum dividatur inter prepositum et canonicos et capellanos et custodes tantum qui interfuerint et fecerint dictum offitium in vespere et vigiliis sancti Barnabe; et si non fieret dictum offitium in predictis vesperis et vigiliis, deveniat ista pars in utilitate sacrestie illius ecclesie. Secunda pars dividatur inter predictos tantum qui fecerint offitium predictum in matutino festi predicti, quod si non fieret, deveniat ipsa pars in utilitate dicte sacrestie. Tertia pars dividatur inter predictos qui fecerint dictum offitium in processione et missa predicti festi: quod si non fieret, deveniat illa pars in utilitate dicte sacrastie. Seconda (sic) pars dividatur in tres partes, prima quarum dividatur inter predictos qui fecerint offitium predictum in vesperis et vigiliis sancte Anne, quod si non fieret deveniat[205] deveniat[206] illa pars in utilitate dicte sacrastie; seconda pars dividatur inter predictos qui fecerint dictum offitium in matutino dicte sancte: quod si non fieret, deveveniat (sic) ipsa pars in utilitate dicte sacrastie. Tertia pars dividatur inter predictos tantum qui fecerint dictum offitium in processione et missa in festo dicte sancte Anne: quod si non fieret deveniat illa pars in uti[l]litate[207] dicte sacrastie. Tertia pars dividatur similiter in tres partes, prima quarum dividatur inter predictos tantum qui fecerint dictum offitium in vesperis et vigiliis sancti Galdini: quod si non fieret, deveniat illa in utilitate dicte sacrastie. Seconda pars dividatur tantum inter predictos qui fecerint dictum offitium in matutino in ipso festo sancti Galdini: quod si non fieret, deveniat illa pars in utilitate dicte sacrastie. Tertia pars dividatur inter predictos tantum qui fecerint dictum offitium processionis et misse in eodem festo sancti Galdini: quod si non fieret, deveniat illa pars in utilitate dicte sacrastie.  Eo  iterum acto et dicto expressim, alyas non donaturi, quod dicti prepositus et capitulum non debeant nec possint predictam terram in toto vel in parte vendere vel alienare nec eam terram vel fructus ipsius[208] dividere in prebendas singulares ipsius ecclesie vel alios usus deputare et si contra fecerint, deveniat illa petia vinee in capitulum ecclesie Mediolanensis cum predictis oneribus. Eo tenore quod de cetero predicti canonici suprascripto nomine et ipsa ecclesia seu canonica et capitulum et eorum successores debeant habere, tenere et possidere dictam petiam terre cum predictis iuribus sub predictis conditionibus et modis et formis et exinde facere cum predictis iuribus omnibus quicquid eis utile fuerit et voluerint iure et titulo donationis ut supra. Reservatis semper fictis et fructibus ipsius, quamdiu viscerimus, nos donator in nos tantum sine alicuius contradictione sub predictis formis et modis et conditionibus, preterea cedimus, damus atque mandamus predictis dominis Electo et presbitero Zanono et capitulo suprascripto nomine omnia iura omnesque actiones, rationes, exceptiones, replicationes, retentiones, deffensiones utiles, directas, reales, personales, ypotecharias et omnia iura nobis in ipsa petia terre et pro ea et eius occasione per predictam venditionem et instrumentum ipsius et pro omnibus promissionibus et obligationibus et iuribus in eo instrumento expositis seu factis et contentis et quolibet iure et modo predictorum occasione pertinentia et pertinentes contra predictos venditorem et fideiussores et quemlibet eorum in solidum et adversus eorum vel alicuius eorum heredes et res et bona et contra quascumque personas et res. Et volentes pleno iure omne dominium et omnem possesionem et quasi predicte petie terre et suprascriptorum iurium omnium, reservatis semper quamdiu viscerimus tantum in nos fructibus et fictis et redditibus ipsius terre, in predictos Electum et presbiterum Zanonum et  capitulum et eorum successores suprascripto nomine et in ipsam ecclesiam seu canonicam transferre et dare et eos suprascripto nomine et suprascriptam ecclesiam seu canonicam et capitulum nostro ministerio facere possesores, secondum predictos modos et formas et conditiones constituimus nos predictam[209] petiam terre nominibus suprascriptis tenere et possidere cum predictis iuribus omnibus; cui dominio et possessioni et quasi ilico renuntiamus et in predictos suprascripto nomine transferimus et deserimus[210] et eos suprascripto  nomine et sub predictis modis, formis et conditionibus procuratores in rem nostram facimus et constituimus, ita quod proinde in locum et ius nostri pro predictis et singulis donatis et cessis ut supra suprascripto nomine sint et succedant ipsi et eorum successores et dicta ecclesia seu canonica et capitulum, et esse debeant pro predictis et singulis eorum occasione, et proinde possint agere et experiri et omni iure et retentione uti modis omnibus, sub predictis modis, formis et conditionibus et reservatione sicut nos actenus poteramus vel possemus. Rursus promittimus dantes guadiam et omnia nostra tam ecclesiastica quam paterna bona pignore obligamus predictis Electo et presbitero Zanono et predictis canonicis in ipso capitulo[211] congregatis ut supra recipientibus nomine et ad partem predicte ecclesie et capituli ipsius, ita quod eis et eorum successoribus suprascripto nomine, seu et ipsi ecclesie seu canonice et capitulo ipsius, dictam terram donatam cum predictis omnibus iuribus deffendemus et guarentabimus ab omni homine, colegio et universitate omni tempore sub predictis formis, pactis et conditionibus, et quod nullo tempore veniemus contra presentem donationem vel contra aliquid predictorum vel infradictorum, aliqua occasione, ullo iure vel modo. Sed presentem donationem et omnia suprascripta et infrascripta ratam et firmam, rata et firma habebimus et tenebimus omni tempore, et hec omnia cum omnibus nostris propriis damnis, expensis et interesse et sine damnis et expensis dicte ecclesie seu canonice et capituli ipsius et hec pro nostro dato et facto et non aliter quod nostrum datum et factum sit et inteligatur tantum si reperiretur - quod non est - nos vendidisse vel alienasse vel obligasse dictam terram et predicta iura in aliquam aliam personam et non aliter nec aliquo alio modo teneamus nec possimus in aliquo convenire. Et pro qua quidem donatione et omnibus predictis et infradictis, recepimus et recepisse confitemur a predictis dominis Electo et presbitero Zanono, nomine suprascripte[212] ecclesie seu canonice et capituli ipsius, launachil, idest lempum supertunicalium eorundem, et renuntiamus exceptioni non accepti leunachil et omnium predictorum non ita factorum et dictorum ut supra legitur. Que vero donatio et omnia suprascripta et infrascripta facta sunt presente, aprobante, affirmante et ratificante predicto Iustamonte Cavaza. Et qui ad cautellam et maiorem firmitatem fecit datum et cessionem et finem et reffutationem et pactum de non petendo et non agendo ulterius et totius sui iuris remissionem predictis dominis Electo et presbitero Zanono et aliis canonicis in ipso capitulo congregatis ut supra recipientibus nomine et vice et ad partem ipsius ecclesie seu canonice et capituli ipsius; et eis suprascripto nomine recipientibus promisit et guadiam dedit, obligando se et omnia sua bona pignore, tam ecclesiastica quam paterna, quod nullo tempore veniet contra presentem donationem nec contra aliquod predictorum vel infradictorum, aliqua occasione, ullo iure vel modo, sed presentem donationem et datum et cessionem et finem et omnia suprascripta ratam et firmam, rata et firma habebit et tenebit omni tempore cum omnibus suis propriis damnis, expensis et interesse. Et quod si in aliquo contra  fecerit vel venerit, quod predictis et eorum successoribus suprascripto nomine restituet et[213] solvet omne dispendium, damnum et interesse quod suprascripto nomine seu ipsa ecclesia seu canonica vel capitulum proinde fecerint vel sustinuerint aliquo modo cum omnibus eius propriis damnis et expensis.

Actum in predicta canonica in predicto capitulo congregato ut supra in quo erat similiter Iohannes Cassina canonicus ipsius ecclesie, presentibus Rugerio filius condam Iacobi Sicapanis et Cabrio filius quondam Crescii de Osenago civitatis Mediolani porte Horientalis notario. Et inde plures carte uno tenore fieri rogate sunt. Interfuerunt testes Berardus filius condam Loterii Cavaze et Ambrosius filius condam Falamensis Abrazaque et Barozius filius condam Stephani Guarmaxii et Guifredus filius condam Orivini Guarmasii de ipso burgo Vicomercato et Albertus filius condam  Guillielmi de Sollario qui habitat in ipsa canonica.

 

(S.T.) Ego Petrus filius quondam Nigri de Rocello civitatis Mediolani Porte Orientalis notarius tradidi et ad scribendum dedi et subscripsi.

[S.T.][214] Ego Iacobus filius Anselmi Stephanoni, civitatis Mediolani Porte Nove notarius, rogatus suprascripti ser Petri de Rocello notarii scripsi et emenda[vi][215].

 

 

 

 




  Pubblicato a stampa in “Aevum”, 76 (2002), pp. 325-368.

Desidero esprimere i miei ringraziamenti al dott. Fausto Ruggeri, archivista e bibliotecario del Capitolo Metropolitano di Milano, ai professori Giacomo Baroffio, Simona Gavinelli, Paolo Tomea e al dott. Galimberti, archivista dell'Ospedale Maggiore di Milano.

  Abbreviazioni usate:

AH                   = Analecta Hymnica Medii Aevi

Ambr.              =  Milano, Biblioteca Ambrosiana

AOM              = Milano, Archivio dell'Ospedale Maggiore

ASMi             = Archivio di Stato di Milano

    FR              = Fondo di Religione, parte antica

    Perg.           = Pergamene del Fondo di Religione

Cap. Metrop.  = Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano

[1] Cap. Metrop. II.F.2.1: AH, hrsg v. G.M. Dreves, XIVb, Leipzig 1893, 149-260.

[2] Gli estremi cronologici si ricavano da Teodoro Trivulzio, De ordinariis Sancte Mediolanensis Metropolitane Ecclesie Ambrosiane, Ambr. Trotti 271, f. 3r-v e f. 14v; C. Castiglioni, Gli Ordinari della Metropolitana attraverso i secoli, in Memorie storiche della diocesi di Milano, I, Milano 1954, 29.

[3] L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, IV, Mediolani 1741, 936 e F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II/1, Mediolani 1745, 1298b.

[4] E. Cattaneo, Ottone Visconti arcivescovo di Milano, in Raccolta di studi in memoria di Giovanni Soranzo. Contributi dell'Istituto di Storia medioevale, I, Milano 1968 (Pubbl. dell'Univ. Catt. S.C., Scienze storiche, 10), 144; G. Soldi Rondinini, Chiesa milanese e signoria viscontea (1262-1402), in Diocesi di Milano, I, Brescia 1990, 288-89; Liber notitiae sanctorum Mediolani. Manoscritto della Biblioteca capitolare di Milano, a c. di U. Monneret de Villard- M. Magistretti¸ Milano 1917, 273D. Il Cattaneo, discorrendo dell'opera di riorganizzazione della diocesi  operata dal Visconti, affianca allo Scaccabarozzi il rielaboratore del Beroldo Giovanni Boffa (v. n. 32-33), Goffedo da Bussero e Bonvesin de la Riva. I contatti dell'arciprete con il Boffa sono sufficientemente documentati e possiamo ritenere altamente probabili legami con il da Bussero: numerosi sono infatti i brani composti dallo Scaccabarozzi accolti anche nel Liber notitiae (165C, 175A, 222D, 264D-265A, 268B, 273D).  Non abbiamo invece prove dirette di una conoscenza tra Scaccabarozzi e l'autore del De magnalibus urbis Mediolani. Sui due personaggi:  G. Soldi Rondinini, Bussero, Goffredo da, in DBI, XV, Roma 1972, 558-60; G. Colombo, Goffredo da Bussero (1220-1290), in Diz. Chiesa Ambr., III, Milano 1989, 1494-95; d'A. S. Avalle, Bonvesin da la Riva, in DBI, XII (1970), 465-69; A. M. Salini, Bonvesin da la Riva, in Diz. d. Chiesa Ambr., I (1987), 451-53.

[5] La chiesa porta associato alla dedicazione alla Vergine il nome di Podone, colui che secondo la tradizione la fondò nell'871 (l'edificio attuale deriva da rifacimenti quattro, cinque e seicenteschi della chiesa romanica preesistente): M. T. Fiorio, Le chiese di Milano, Milano 1985, 80-82; S. Della Torre, S. Maria Podone, in Diz. Chiesa Ambr., IV (1990), 2051-53.

[6] I nomi dei genitori e dello zio paterno Lanterio compaiono in un documento del 1270: F. Pirola, Un inedito su Orrico Scaccabarozzi e la chiesa plebana di Vimercate, "Civiltà ambrosiana", 11 (1994), 265-74.

[7] V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, s. v. Scaccabarozzi, VI, Sala Bolognese 1981, 174 menziona, oltre a Lantelmo (Lanterio), Giordano, vicario imperiale di Federico Barbarossa, Beltramo, che fu console di Milano nel 1164 e Alberto, podestà di Como nel 1219. G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e della campagna di Milano ne' secoli bassi, II, Milano 1854, 372, 278, 580; III, 1855, 289, 304, 378, 381; IV, 1855, 75, 123, 158, 292, 309, 483, 517, 604. Sulla famiglia Scaccabarozzi: L. Fasola, Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico I. Per una storia dei rapporti dell'imperatore con le forze sociali e politiche della Lombardia, "Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken", 52 (1972), 116-217.

[8] ASMi, Perg., cart. 611 (Vimercate, S. Stefano), n° 141.

[9] Una primitiva chiesetta in onore di s. Stefano protomartire doveva esistere già nel 745, come testimonia un legato di quell'anno, ma di questa non rimane alcuna traccia. Le origini della collegiata attuale devono essere collocate nei secoli  X-XI: E. Cazzani, Storia di Vimercate, Vimercate 1975, 158-215.

[10] Almeno dal 1228 al 1252: Giulini, Memorie, IV, 308-09 e 483; ASMi, Perg., cart. 611, n° 184 (1 marzo 1250). Con lo stesso titolo è ricordato anche dal nipote in due donazioni datate 8 novembre 1270 (ASMi, Perg., cart. 613 [S. Stefano], n° 523) e 8 agosto 1276 (ASMi, Perg., cart. 613, n° 661). Il Liber primicerii (Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 3v) ricorda che l'annuale in memoria di Lanterio veniva celebrato il 4 febbraio, a carico dell'Ospedale del Brolo.

[11] Conosciuta anche come "Basilica Apostolorum", fu iniziata attorno al 382 dal vescovo Ambrogio e fu la prima tra quelle da lui erette ad essere aperta al culto con la consacrazione dell'altare nel maggio del 386, anno in cui giunsero da Roma le reliquie degli apostoli Giovanni, Andrea e Tommaso: E. Brivio, La Basilica dei Santi Apostoli e di San Nazaro Maggiore, in Chiese del centro storico di Milano, Milano 1983, 41-64; Fiorio, Le chiese, 276-80; E. Brivio,  Apostoli e Nazaro, basilica dei SS., in Diz. d. Chiesa Ambr., I , 188-91.

[12] Il primo documento in cui compare con il titolo prepositurale porta la data 26 marzo 1227 (ASMi, Perg., cart. 611, n° 181), l'ultimo è datato 11 ottobre 1234 (ASMi,  Perg., cart. 613, n° 625).

[13] Oggi Canonica d'Adda (BG): Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda, Varese-Milano 1968, 435-36.

[14] ASMi, Perg., cart. 611, n° 218.

[15] L. Fumi, L'Inquisizione Romana e lo Stato di Milano. Saggio di ricerche nell'archivio di Stato, "Arch. stor. lomb. ", s. IV, XIII/37 (1910), 49. Non è stato posssibile verificare l'esattezza della notizia riportata dal Fumi.

[16] Giulini, Memorie, IV, 483; B. Corio, Storia di Milano, I, Torino 1978, 412. Su s. Pietro martire: R. Perelli Cippo, Pietro da Verona, santo († 1252), in Diz. d. Chiesa Ambr., V (1992), 2796-99.

[17] ASMi, Perg., cart. 611, n° 160: il testo qui in Appendice I.

[18] Marcusate e Baraggia si trovano nei pressi di Vimercate: Boselli, Toponimi lombardi, Milano 1977, 170 e Olivieri, Dizionario, 69. Sabionera nel Bresciano: Olivieri, Dizionario, 481. Tresolzo frazione di Ponte S. Pietro (BG) : Olivieri, Dizionario, 589. Caponago in Brianza: Boselli, Toponimi, 73 e Olivieri, Dizionario, 141. Albaro, oggi Albarola, nel Lodigiano: Boselli, Toponimi, 20. Non mi è stato possibile identificare Rigerano.

[19] ASMi, Perg., cart. 611, n° 207.

[20] ASMi, Perg., cart. 613, n° 660.

[21] La chiesa di S. Maria in Vimercate fu edificata agli inizi del secolo XI, in prossimità del vecchio castrum o all'interno di esso. Sul lato meridionale della chiesa fu edificato il battistero e, alla fine dello stesso secolo, venne aggiunta la canonica sul lato settentrionale: Cazzani, Storia di Vimercate, 308.

[22] ASMi, Perg., cart. 612 (Vimercate, S. Stefano), n° 322 (doc. I).

[23] Les régistres d'Alexandre IV. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d'après les manuscrits originaux des archives du Vatican, ed. C. Bourel De La Roncière et al., I, Paris 1902, 334 (Bibl. des Écoles franç. d'Athènes et de Rome, 2 s.). C. Toccano, Le origini dell'Ospedale Nuovo di Milano (sec. XIII), "Studi di storia medievale e di diplomatica", 15 (1995), 40, ipotizza che lo Scaccabarozzi potesse essere preposito di S. Nazaro già nel 1252. Giulini, Memorie, IV, 483 tuttavia, ricordando che in quell'anno furono inviati al papa per chiedere la canonizzazione di Pietro da Verona alcuni esponenti del clero milanese, menziona l'ordinario Lanterio, l'abate di S. Vittore e il prevosto di S. Nazaro, senza precisarne il nome.

[24] ASMi, FR, cart. 417 (Milano, S. Nazaro Maggiore), cass. 35, car. H, n°4: B. Cereghini, Giuramento di quattro frati neo-conversi nelle mani di Orrico Scaccabarozzo, in Milano e la Lombardia in età comunale, sec. XI-XIII, Milano 1993, scheda 363.

[25] ASMi, FR, cart. 144 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 6, car. Q, n° 11; copia nel manoscritto di G. C. Della Croce, Codex diplomaticus Mediolanensis, Ambr. I 18 suss., f. 137r-148v (riprod. anast. integrale nella Biblioteca dell'Università Cattolica del S. Cuore, Milano). Il Dreves, AH XIVb, 150 ritenne erroneamente che lo Scaccabarozzi fosse Vicario Capitolare dal 1289. Predecessore di Orrico fu Azzone Ceppus de Quinque viis: Giulini, Memorie, IV, 525; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni. La Lombardia, I, Firenze 1913, 611. Soldi rondinini, Chiesa  milanese, 288-89 dichiara che lo Scaccabarozzi compare come arciprete in data 1 agosto, ma non è stato reperito alcun documento a sostegno di questa notizia.

[26] Della Croce, Codex, Ambr. I 18 suss., f. 151r; originale non reperito. La sede arcivescovile era rimasta priva di un titolare alla morte di Leone da Perego, avvenuta nel 1257, e tale rimase fino alla nomina di Ottone Visconti, nel 1262.

[27] L. Carubelli, S. Celso, in Diz. della Chiesa Ambr., II, 778-80.

[28] Anche il vescovo della città era in genere scelto tra gli Ordinari e il Capitolo Maggiore arrivò anche a considerarsi unico elettore. Tale privilegio fu ben presto contrastato dall'intervento della Santa Sede, che cercò, a partire dal sec. XIII, di riservarsi diritto esclusivo di scelta: E. Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, in Storia di Milano, IV, Milano, Treccani, 1954, 654-56 e 658-61.

[29] Della Croce, Codex, Ambr. I 18 suss., ff. 168r-171v, doc. I e II; il giorno seguente, 3 novembre, lo Scaccabarozzi trasmise l'ordine al primicerio minore, che accolse i nuovi lettori nel coro il lunedì successivo, 5 novembre: ibid., doc. III e IV. Sui lettori: Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche,  671-72.

[30] Sui custodi: Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 678-80.

[31] M. F. Baroni, Gli atti dell’arcivescovo e della curia arcivescovile. Ottone Visconti (1262-1295), Milano 2000, 10, n° X. Il testo del documento è mutilo, per cui non conosciamo il nome del vicario. Pochi mesi dopo, il 18 settembre 1267, la carica risulta assegnata ad Alberto de Basilicapetri: Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 12, n° XII.

[32] La sentenza non si trova tra le pagine del più antico codice conservato di Beroldo, l'Ambr. I 152 inf.; poiché il Boffa (v. nota seguente) dichiara di avere tratto il testo de beroldo veteri dobbiamo immaginare che con questa espressione volesse indicare un altro esemplare, oggi scomparso: G. Forzatti Golia, Le raccolte di Beroldo, in Il Duomo cuore e simbolo di Milano. IV Centenario della dedicazione (1577-1977), Milano 1977 (Archivio ambrosiano, 32), 327-28. Forzatti Golia, Le raccolte, 327, chiama l' Ambr. I 152 inf. "Beroldus vetus minor" per distinguerlo dal "vetus" citato dal Boffa.  Sia il vetus minor (ante 1140, con aggiunte), sia il  novus (ante 1269, con aggiunte) dipendono dal vetus perduto, di cui non sono semplici copie, ma vere e proprie rielaborazioni.

[33] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 10, n° X. Oltre a Giovanni Boffa conosciamo il nome di un altro dei collaboratori dello Scaccabarozzi, Benno della Strada, di Desio, notaio, chierico e lettore della Chiesa Milanese. Benno, su richiesta dell'arciprete, trascrisse una copia della Bolla con cui Ottone Visconti istituì le Stazioni liturgiche per la Quaresima e la Settimana Santa il 27 febbraio 1284: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 158, n° CXCII.

[34] Ed. Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 10, n° X; Forzatti Golia, Le raccolte, 339.

[35] La copia fu effettuata il 22 novembre 1268: Forzatti Golia, Le raccolte, 338-39 e 351-52. Sul cimiliarca: Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 681-82.

[36] La sottoscrizione del Boffa è stata cancellata con inchiostro blu, sotto il quale è possibile riconoscere il signum tabellionatus e alcune parole: la formula usata deve essere identica a quella di f.  370v: Forzatti Golia, Le raccolte, 339 e 352.

[37] Forzatti Golia, Le raccolte, 333-44. P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel medioevo,  Milano 1993 (Pubbl. dell'Univ. Catt. S.C., Bibliotheca erudita, 6), 98, n. 95 non esclude che anche il catalogo degli arcivescovi milanesi contenuto nel Beroldus novus, fino all'inizio della vita di Ottone, sia stato scritto come il resto del codice entro il 1269.

[38] P. Tomea, Tradizione, 97-98.

[39] Mentre gli altri documenti relativi all’operato del Capitolo Maggiore fanno esplicito riferimento solo all’arciprete e agli ordinari, senza sottolineare ulteriori distinzioni all’interno degli stessi, il testo di questa costituzione mette in rilievo il ruolo dell’arcidiacono, forse in ragione dei suoi speciali poteri al riguardo: l’arcidiacono era infatti prefetto della disciplina e superiore delle scuole di canto e lettere (Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 662).

[40] Il testo di questa costituzione capitolare (11 luglio 1273): E. Cattaneo, Gli Statuti del Venerando Capitolo del Duomo di Milano, “Ambrosius”, 30 (1954), 296.

[41] Cattaneo, Ottone Visconti, 159-63.

[42] Forzatti, Le raccolte, 339, 354-55. Cattaneo, Ottone Visconti, 159-163 riconduce questa "serrata del capitolo" a un preciso disegno dell'arcivescovo.

[43] Borghetto Lodigiano: Boselli, Toponomi, 47. Panizzago è una sua frazione: Olivieri, Dizionario, 403.

[44] Camicia con regesto in ASMi, FR, cart. 182 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 78, car. M11, n°  11; originale in ASMi, Perg., cart. 377 (Milano, Capitolo Maggiore), 162a.

[45] Tutte località nel Lodigiano: Orio Litta, Olivieri, Dizionario, 391 e Boselli, Toponomi, 202; Vipizolano, oggi Pizzolano, Boselli, Toponomi, 216; Graffignana, Olivieri, Dizionario, 266 e Boselli, Toponomi, 142; San Colombano al Lambro, Boselli, Toponomi, 248.

[46]ASMi, FR, cart. 182, cass.  78, car. M11, n° 12: E. Mercatili Indelicato, Per una storia degli Umiliati nella diocesi di Lodi, in Sulle tracce degli Umiliati, a c. di M.P. Alberzoni et al., Milano 1997 (Pubbl. dell'Univ. Catt. S. C., Bibliotheca erudita, 13), 428-29. Il documento è edito in M. F. Baroni, Gli atti del comune di Milano nel sec. XIII, III, Alessandria 1992, 916-20.

[47] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 13 (19 marzo 1264): Mercatili Indelicato, Per una storia, 429-30. Vigarolo è oggi una frazione di Borghetto Lodigiano: Olivieri, Dizionario, 577.

[48] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car.  M11, n° 14 (19 marzo 1264): Mercatili Indelicato, Per una storia, 430. Fossato alto è Fossadolto, oggi Ognissanti, località di Borghetto Lodigiano: il nome viene dal titolo Ognissanti di un convento di Umiliati ivi esistito dal 1203 al 1314; Olivieri, Dizionario, 234 e Boselli, Toponomi, 128 e 199.

[49] Rispettivamente ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car.  M11, ni 13 e 14: Mercatili Indelicato, Per una storia, 430-31.

[50] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car.  M11, n° 17 (doc. I): Mercatili Indelicato, Per una storia, 433-34; il testo, ibid., 487-88.

[51] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 17 (doc. II): ed. in MERCATILI INDELICATO, Per una storia, 489-90.

[52] La chiesa di S. Giorgio di Legnano era stata unita a quella di S. Primo di Milano in Pusterla Nuova, nella quale si erano trasferiti anche i canonici della prima: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 80, n° CIV, nota.

[53] Archivio del Cap. Metrop. di Milano, C.7.121. Il documento presenta lungo tutto il margine destro danni che impediscono una comprensione più precisa del testo. Mutila è anche la data: sono leggibili solo l’anno e il giorno. Da un documento stilato alla fine di febbraio del 1278 apprendiamo che la questione relativa al debito contratto dalla chiesa di S. Giorgio e Primo con Andrea Mazale, nonostante i provvedimenti presi dal Capitolo Metropolitano dieci anni prima non era ancora giunta a soluzione (ASMi, FR, cart. 144 [Milano, Capitolo Maggiore], cass. 6, car. Q, n° 14). I beni e il giuspatronato della chiesa erano stati uniti al Capitolo Maggiore per volere dell’arcivescovo in data 16 dicembre 1277 (Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 80, n° CIV; Soldi Rondinini, Chiesa milanese, 294) e in seguito a tale provvedimento gli Ordinari avevano rilevato anche il debito residuo di £. 413 di terzuoli nei confronti di Gabrio Mazale. L’arciprete e il capitolo cercarono di comporre la lite mediante la cessione a Gabrio di un terreno con edifici ma, nonostante il tentativo di raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti, la contesa si protrasse ancora a lungo, giungendo a composizione l’8 giugno 1285, quando gli Ordinari e Gabrio si impegnarono ad abbandonare ogni motivo di discordia. (ASMi, FR, cart. 144, cass. 6, car. Q, n° 15)

[54] ASMi, FR., cart. 166 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 46, car. P5, n° 2. 

[55] ASMi, FR., cart. 166, cass. 46, car. P5, n° 9 (doc. I).  La gestione dei beni posseduti dal capitolo in questa zona della diocesi doveva essere piuttosto problematica e diede adito a parecchie contese. Le iterate resistenze dei massari e delle autorità locali a consegnare quanto dovuto alla Chiesa milanese portarono ad una serie di interventi da parte del comune di Milano, dietro richiesta dell’arciprete e del Capitolo. Nel maggio 1283 Pietro Botto, servitore del comune, si era recato a Tradate su petizione della Chiesa Maggiore per ordinare ai massari della chiesa di presentarsi all’assessore o al procuratore della chiesa per ottenere l’investitura delle terre pertinenti alla chiesa di S. Bartolomeo al Bosco (i beni di questa canonica erano stati concessi agli Ordinari da Ottone Visconti nel 1277: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 78-79, ni  CII e CIII) e per ordinare al comune la consegna di quanto dovuto dai debitori: l’atto con il quale Pietro Botto riferì della missione porta la data 21 maggio. Le richieste avanzate non furono soddisfatte e massari e consoli di Tradate vennero multati dal comune di Milano il 22 maggio (BARONI, Gli atti del comune, III, 279, n° CCLXVIII, 280, n° CCLXIX e 281, n° CCLXXX). La contesa  si estese al territorio di Venegono Inferiore e si protrasse a lungo negli anni seguenti, almeno fino al 1289 (BARONI, Gli atti del comune, III, 317, n° CCCXII, 334, n° CCCXXIII, 335, n° CCCXXXIV, 358, n° CCCVIII, 419, n° CCCXCIV, 468, n° CDXXXI, 472, n° CDXXXIV, 504, n° CDLXXI e 505, n° CDLXXII).

[56] ASMi, FR., cart. 164 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 44, car. H5, n° 1.  Salvano era una cascina di Palazzolo sull’Oglio (BS): Olivieri, Dizionario, 484.

[57] Giulini, Memorie, IV, 555, 585. Toccano, Le origini, 25-42; non esiste alcun documento sull'anno di nascita dell'Ospedale: Galvano Fiamma, Manipulus florum sive historia mediolanensis ab origine ad annum circiter MDCCXXXVI, in RIS, XI, Mediolani 1727, 692, ne fissa gli inizi  al 1262 e questa data è stata generalmente accolta dalla tradizione storiografica.

[58] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 14, n° XVII; P. Pecchiai, L'Ospedale Maggiore di Milano nella storia e nell'arte, Milano 1927, 13.

[59] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 14, n° XVII.

[60] C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, Monasterii 1913, 415.

[61] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 13, n° XV. La lettera dell'arcivescovo di Ravenna è nell'  Archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano (AOM), Diplomi, n° 501. Ottone Visconti confermò nuovamente l'indulgenza ai benefattori dell'Ospedale il 7 marzo 1280: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 109, n° CXXXVI e 111, n° CXXXVIII (22 giugno 1280, lettera uguale alla precedente).  

[62] AOM, Diplomi, n° 502. Il sigillo dello Scaccabarozzi è conservato in un sacchettino di seta (foto in Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, tav. XII); un'immagine del sigillo di Orrico e di quello dello zio Lanterio si trova in Storia di Milano, XII, 555: esso reca la figura di un carro, emblema parlante, ibid., 558.

[63] AOM, Aggregazioni, Ospedale Nuovo, cart. 64. Un atto del 25 gennaio 1276 testimonia l'acquisto di un terreno in località Mirazzano del valore di £ 538 e mezza di terzuoli: il documento ricorda che lo Scaccabarozzi contribuì personalmente alla spesa consegnando al rettore dell'ospedale £ 200 di terzuoli per il sostentamento dei poveri e per l'ampliamento dell'ente. Il 28 agosto 1277 il magister dell'ospedale acquistò una casa in Porta Romana del valore di £ 150 di terzuoli, 100 delle quali furono pagate dall'arciprete. Con il suo contributo fu inoltre possibile acquistare altri terreni nella parrocchia di S. Andrea al muro rotto (21 maggio 1279) e a Mirazzano (20 marzo 1281): Toccano, Le origini, 39.

[64] AOM, Aggregazioni, Ospedale Nuovo, cart. 63; Toccano, Le origini, 39. Il documento è edito in Baroni, Gli atti del comune, III, 555, n° DXXVII. Toccano, Le origini, 40 mette in rapporto le motivazioni spirituali che animavano l'impegno caritativo dell'arciprete con la sua vicinanza agli Ordini mendicanti, attivi nel sostenere ed amministrare enti assistenziali e nel diffondere la devozione alla Madonna, cui il nuovo ospedale era intitolato.

[65] Nel testo della donazione sono ricordate tre donazioni precedenti effettuate in data 8 novembre 1270, 25 agosto 1277 e 29 settembre 1283: i documenti corrispondenti non sono stati per ora rinvenuti.

[66] Toccano, Le origini, 31. Nota obituaria di donna Buona in Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 432r: ed. in Giulini, Memorie, IV, 681.

[67] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 246, n° CCLXXXII; Toccano, Le origini, 41, con notizie su Pietro Villano.

[68] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 247, n° CCLXXXIII.

[69] Giulini, Memorie, IV, 612, 665, 666, 669, 706; A. Paravicini Bagliani, Casati, Conte, in DBI, XXI (1978), 227-29; M.P. Alberzoni, Casati, Conte, in Diz. della Chiesa Ambr., II, 727-28; Die Mittelalterlichen Grabmäler in Rom und Latium vom 13. bis zum 15. Jahrhundert, II, bearb. v. J. Garms et al., Wien 1994, 37-41.

[70] Giulini, Memorie, IV, 666. Il Casati morì a Roma il 15 aprile 1288 (nota obituaria in Beroldus, Cap. Metrop., II.D.2.28, f. 430r, ed. in Giulini, Memorie, IV, 706). Nella cattedrale milanese venivano celebrate tre memorie annuali in suo suffragio. La prima, secondo le disposizioni da lui dettate, era celebrata a carico dell'arcidiacono il 4 novembre (Arch. del Cap. Metrop. di Milano, B.5.48, non datata; Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 438v; Liber primicerii, Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 2v), la seconda ricorreva il primo venerdì di quaresima ed era celebrata dai lettori (Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 428r e Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 2v), la terza il 15 aprile, giorno anniversario della sua morte (Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 430r e Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 2v).

[71] Cap. Metrop., II.F.2.1, ff. 127r-134v (AH, XIVb, 178-79; 233-36; 258-59). La lettera di dedica che accompagnava l'Ufficio è conservata, priva di data, a f. 134v del codice (AH, XIVb, 158-159; nella trascrizione è omessa una riga): in essa troviamo esplicito riferimento alle funzioni del Triduo pasquale - “me vestrum in omnibus et per omnia devotum semper vobis et vestris orationibus recommendo, presertim eo tempore quo Unigeniti filii Dei passionem et mortem recolitis missarum solennia celebrantes”- e ciò rende plausibile l’ipotesi che sia stata scritta in prossimità del 12 aprile, in quanto la Pasqua nel 1281 cadeva il giorno 13: A. Cappelli, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Milano 1998, 80.

[72] Marzio e Filippino erano figli rispettivamente di Ottone e Manfredo, fratelli di Conte: F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, IV, Milano 1875-85 (rist. anast.), s. v. Casati, tav. II.

[73] ASMi, FR,  cart. 150 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 22, car. E2, n° 3; il testamento è edito in A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980 (Miscellanea della Società romana di storia patria, 25), 471-79.

[74] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 4, doc. I e II.

[75] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 4, doc. III e IV.

[76] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 4, doc. V.

[77] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 2. Il lascito è ricordato da V. Longoni,    Casatenovo, in Diz. d. Chiesa Ambr., II, 723: la chiesa, secondo la testimonianza di atti monzesi del 1227, era genericamente individuata come “ecclesia de Caxate”.

[78] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 2 ; pur essendo una pergamena distinta porta la stessa segnatura della precedente. 

[79] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 1. V. Longoni-G. Colombo,  Missaglia, pieve, in Diz. d. Chiesa Ambr., IV, 2261-68: nel 1242 era preposito di Missaglia Ruggero della Torre e dalla pieve proveniva anche Leone da Perego.

[80] Copia parziale del documento in Della Croce, Codex, Ambr. I 19 suss., f. 210r, originale non reperito. La trascrizione è seguita dalla nota: “In eodem textu pergamene subsuta est alia in qua nominatur ille archipresbyter Mediolani Orricus Scacabarosius, et bona controversa in loco Cixnuscolo Asinario, ubi dicitur Caraghasca sub annum 1282, 16 octubris. Ita Sormanus”. Cixnuscolo Asinario era il nome dell'attuale Cernusco sul Naviglio: Boselli, Toponimi, 96 e Olivieri, Dizionario, 170.

[81] Ambr. P 165 sup., ff. 22r-29r (AH L, 617-23). Per il convento Domus nova  e il preposito Michele: R. Crotti Pasi, Gli Umiliati a Pavia nei secoli XII e XIII, in Sulle tracce degli Umiliati, 317-42; G. Tiraboschi, Vetera Humiliatorum monumenta, II, Mediolani 1767, 3.

[82] Ambr. P 165 sup., f. 29r; il testo della lettera è stato pubblicato in AH, L, 617.

[83] Eubel, Hierarchia, I, 322.

[84] Crotti Pasi, Gli Umiliati a Pavia, 324.

[85] ASMi, Perg., cart. 655, 277a  (Pavia, S. Maria di Nazareth), la pergamena, non numerata, contiene cinque documenti: i primi tre portano la data 17 ottobre 1287, gli ultimi due 12 novembre 1287: Crotti Pasi, Gli Umiliati a Pavia, 325-26. Sulla chiesa pavese di S. Maria di Nazareth, poi monastero femminile: G. Forzatti Golia, Gli ordini religiosi della diocesi di Pavia nel Medioevo, "Bollett. d. società pavese di storia patria", n.s., 41 (1989), 21-23.

[86] Baroni, Gli atti del comune, II, 512, n° CDLXX.

[87] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 12, n° XIV.

[88] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 141, n° CLXXVIII.

[89] Il nome di Orrico Scaccabarozzi non è accompagnato da nessun titolo ecclesiastico e questo rende dubbia la sua identificazione. Un omonimo filius quondam Roaxii Scachabarozii, compare infatti in un atto del 1281: Baroni, Gli atti del comune, IV (1997), 295, n° CCCXXII. Il trattato di pace menziona però, dopo lo Scaccabarozzi e sempre senza indicarne il titolo canonicale, Pietro Prealoni, arciprete dei decumani, e Corrado Grasso, ordinario, e la scelta dell' ordine potrebbe non essere casuale.

[90] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 189, n° CCXXX. Per le vicende seguite al rientro in patria di Ottone Visconti: G. Franceschini, La signoria viscontea, in Storia di Milano, IV, 332-345.

[91] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 241, n° CCLXXV.

[92] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, rispettivamente 254, n° CCXCI e  255, n° CCXCII.

[93] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 281, n° CCCXVI.

[94] Baroni, Gli atti del comune, III, 581, n° DXLVII.

[95] B. Corio, Storia di Milano, I, 544-45; Cattaneo, Ottone Visconti, 156-58; Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 300, n° CCCXXX.

[96] A. Tamborini, La Messa Ambrosiana per la Terra Santa, "Ambrosius", 9 (1933), 97-100, con edizione dei testi.

[97] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 309, n° CCCXL.

[98] ASMi, FR, cart. 160 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 39, car. I4, n° 1.

[99] Località del Milanese. Per Carugate: Olivieri, Dizionario, 147 e Boselli, Toponimi, 147; per Bussero: Olivieri, Dizionario, 117 e Boselli, Toponimi, 59; per Rogoredo Olivieri, Dizionario, 472 e Boselli, Toponimi, 241; per Robecco sul Naviglio: Olivieri, Dizionario, 471 e Boselli, Toponimi, 240-41.

[100] ASMi, Perg., cart. 613, n° 567.

[101] ASMi, Perg., cart. 611, n° 237 (doc. I).

[102] ASMi, Perg., cart. 613, n° 523: ed. Pirola, Un inedito, 265-74.

[103] ASMi, Perg., cart. 613, n° 530: il testo qui in App. II.

[104] ASMi, Perg., cart. 611, n° 220 (doc. IV).

[105] Cap. Metrop., II.F.2.1, ff. 59r-66v (AH, XIVb, 173-74; 207-09; 251).

[106] Un'altare in onore delle sante fu edificato nella chiesa di S. Maria: v. nota 117.

[107] ASMi, Perg.  cart. 613, n° 661: il testo qui in App. III. La vigna donata era stata affittata una settimana prima a Zanebello Aicardi di Vimercate, dietro il pagamento di metà del vino ricavato dalla stessa e di dodici staia e un quarto di mistura di segale e miglio (ASMi, Perg,  cart. 613, n° 664, doc. II) e il fitto concordato venne ceduto lo stesso 8 agosto 1276 al preposito Petrazio de Opreno e al priore Zanone Fideli (ASMi, Perg.,  cart. 613, n° 663). Le ufficiature citate in Cap. Metrop., II.F.2.1, rispettivamente ai ff.  7v-14v (AH, XIVb, 163-64; 188-89; 245-46), ff. 23r-29v (AH, XIVb, 168-69; 192-95; 247) e ff. 1r-7v (AH, XIVb, 163; 183-86; 245). Gli Uffici composti dallo Scaccabarozzi si aggiungevano a quelli celebrati dai canonici di S. Stefano nel corso dell'anno liturgico, senza sovrapporsi ad altri uffici preesistenti. Le festività interessate, infatti, non sono documentate dai quattro antifonari coevi (sec. XIII2) in uso presso la stessa canonica e tuttora conservati a Vimercate. Sugli antifonari di Vimercate: Huglo, Fonti, 48, 224-25, 228 (manca nell'inventario da lui compilato il codice D, rivenuto in seguito);

L. G. MAuri, Gli Antifonari di Vimercate (sec. XIII), 2 voll., tesi di laurea, Pontificio Istituto Ambr. di Musica Sacra, a.a. 1992-93, relatore prof. N. Ghiglione. L'Antifonario D, f. 230v, contiene l'inno Columba Christi unica (AH, XIVb, 174-75), composto da Scaccabarozzi.

[108] ASMi, Perg., cart. 612, n° 322 (doc. II, segue il testamento di Guido) e copia in cart. 611, n° 220.

[109] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 145, n° CLXXXIV.

[110] ASMi, Perg., cart. 612, n° 355.

[111] ASMi, Perg., cart. 611, n° 220.

[112] ASMi, Perg.,  cart. 613, ni 645 e 550.

[113] Eubel, Hierarchia, I, 67.

[114] Le solenni cerimonie sono ricordate da una nota apposta in calce al f. 226r del Corale D, pars aestiva conservato presso l’archivio plebano di Vimercate: Cazzani, Storia, 175-77; a p. 175 è riprodotta una fotografia b/n del f. 226r in cui la nota risulta ben leggibile. Alla luce dei documenti prodotti la presenza dello Scaccabarozzi non sorprende, ma aveva a suo tempo incuriosito il Cazzani, che nel compilare la sua storia si era chiesto se questi fosse a quella data già membro del capitolo o fosse stato accolto tra i canonici di S. Stefano proprio in quella occasione.

[115] ASMi, Perg.,  cart. 612, n° 305.

[116] ASMi, Perg., cart. 611, n° 209.

[117] ASMi, Perg.,  cart. 611, n° 193.

[118] ASMi, Perg.,  cart. 611, n° 172.

[119] ASMi, Perg., cart. 612, n° 314.

[120] ASMi, Perg., cart. 611, n° 168.

[121] M. P. Alberzoni, Francescanesimo a Milano nel Duecento, Milano 1991, 83. Giulini, Memorie, IV, 784  informa che il 17 aprile 1297 si tenne una riunione degli Ordinari, nella quale compare in qualità di arciprete della Metropolitana Roberto Visconti e da questo deduce che lo Scaccabarozzi doveva essere morto. Il dato deve però essere corretto, perché Roberto Visconti risulta arciprete già l'anno precedente, come testimonia una carta datata 10 gennaio 1296, parzialmente trascritta in Della Croce, Codex, Ambr. I 20 suss.; f. 180r: "querebatur coram domino Roberto Vicecomite archipresbitero Maioris Ecclesie Mediolanensis, ac tunc vicario domini archiepiscopi Mediolanensis". Il Liber primicerii, f. 4r e 128r ricorda un annuale “in perpetuum condam domini Heurici (sic) Scachabaroziis archipresbiteri ecclesie Mediolanensis, quod fieri debet per dominos ordinarios offitiales et clerum in ecclesia maiori” il giorno 29 agosto: il compenso per gli officianti è a carico dell'Ospedale Nuovo.

[122] Giulini, Memorie, IV, 784. Il Giulini afferma che la tomba si trovava allora in un piccolo cortile vicino al refettorio del convento, dal quale venne nuovamente spostata quando il convento fu distrutto. V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai nostri giorni, IV, Milano 1890, 71, n° 81.

[123] MURATORI, Antiquitates, IV, 936.

[124] AH, XIVb, 150.

[125] La missa non comprende parti in canto quindi non compare nell'edizione Dreves del Liber Officiorum. I testi delle orazioni sono editi in TAMBORINI, La Messa, 99.

[126] L'Ufficio per s. Ulderico venne pubblicato dal Dreves qualche anno dopo: AH, L, 617-23. Trascrizione del testo dell'Ufficio e della melodia, con commento: K. Schlager- T. Wohnhaas, Ein Ulrichsoffizium aus Mailand, "Jahrbuch des Vereins für Augsburger Bistumgeschichte e.V.", 16 (1982), 122-158. L'Argelati, Bibliotheca, II/1, 1298 ricorda, sulla scorta di Tristano Calco, una Vita di s. Pietro martire, che rimane sconosciuta. A. Tamborini, Il Corpus Domini a Milano, Roma 1935, 19 menziona tre codici contenenti opere dello Scaccabarozzi: l’Ambr. P 165 sup. e due manoscritti appartenenti alla Biblioteca del Capitolo Metropolitano di Milano, n° 18 (l’attuale II.F.2.1) e n° 19 (non ancora identificato).

[127] Il campo scrittorio è di mm. 215x135 nei ff. 1-134 (fasc. 1-17), di mm. 215x145 nei ff. 134-150 (fasc. 18-19).

[128] La distinzione delle tre mani, evidentissima, era stata segnalata da M. Huglo, Fonti e paleografia del canto ambrosiano, Milano 1956 (Archivio ambrosiano, 7), 78 che riteneva autografa la prima parte (ff. 1-134v) copie posteriori la seconda ( ff. 135-l50v) e la terza (ff. 151-163). Stessa opinione manifesta N. Ghiglione, Scaccabarozzi, Orrico († 1293), in Diz. d. Chiesa Ambr., V (1992), 3237-38, che attribuisce all'autore stesso i ff. 1-134 e colloca le due sezioni seguenti rispettivamente ai primi decenni del secolo XIV e in pieno Trecento.

[129] A partire da f. 119r la scrittura appare più grande, anche se probabilmente si tratta dello stesso copista che lavora in momenti successivi.

[130] La stesura delle tre sezioni che compongono il codice è stata effettuata verosimilmente in momenti diversi, ma non ritengo necessario abbassare la datazione di quest'ultima parte.

[131] AOM, Diplomi, n° 400; ed. in Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 241, n° CCLXXV.

[132] Huglo, Fonti, 78. La grafia quadrata è del tutto estranea alle abitudini milanesi, mentre il suo impiego è vivamente raccomandato da alcune "Regulae" per copiare codici liturgico-musicali in uso presso i Frati Minori, risalenti verosimilmente ad una data anteriore al 1256: A. Ziino, "Secundum consuetudinem Romanae Ecclesiae". Tradizione ed innovazione, contenuto e struttura nei libri liturgico-musicali tra XIII e XV secolo, in La biblioteca musicale Laurence K.J. Feininger,  Trento 1985, 59-61. Per una trascrizione complessiva della parte testuale e musicale del manoscritto: A. De Salvatore, L'opera musicale e letteraria di Orrico Scaccabarozzi, tesi di dottorato, Roma, Pontif. Ist. di Musica Sacra, a.a. 1999-2000, relatore prof. N. Ghiglione; il solo Officium s. Galdini nel volume pubblicato a Roma nel 2001 con lo stesso titolo.

[133] Nell'edizione Dreves sono stati separati in tre diverse sezioni inni, uffici e messe: nel riferimento da noi indicato il primo numero di pagina si riferisce all'inno o agli inni presenti nell'ufficio, il secondo ai testi dell'ufficio (responsori e antifone), il terzo ai canti della messa. In AH mancano i testi delle orazioni e dei salmi, che nel codice sono sempre indicati.

[134] P. E. Bruning, Missa S. P. N. Francisci in liturgia ambrosiana, "Archivum Franciscanum Historicum", 20 (1927), 41-48: 46 per il prefazio.

[135] La sequenza, opera di s. Tommaso d'Aquino, è l'unico brano di altro autore all'interno del manoscritto.  I versi della settima strofa della sequenza: "Sumit unus, sumunt mille / quantum isti, tantum ille / nec sumptus consumitur" sono inseriti dallo Scaccabarozzi nel transitorium  delle messe in onore di Tutti i Santi (AH, XIVb, 253) e dei ss. Apostoli (AH, XIVb, 256). La ripresa di questi versi dell'Aquinate era stata già segnalata da J. Szöverffy, Some features of Origo Scaccabarozzi's hymns, "Aevum", 29 (1955), 306-07, che riconosceva un influsso della sequenza anche nel confractorium della Messa per s. Perpetua (AH XIVb, 258). Benché manchino testimonianze precise al proposito, Tamborini, Il Corpus Domini, 20 ipotizza che Scaccabarozzi abbia composto un’Ufficiatura per la solennità del Corpus Domini destinata alla devozione privata; tale Ufficiatura sarebbe stata parzialmente accolta nel Messale di Roberto Visconti (Ambr. C 170 inf.).

[136] Archivio del Cap. Metrop., Fondo Capitolo Maggiore, cart. 86, fasc. 17; F. Ruggeri, La donazione della biblioteca di mons. Gaetano Oppizzoni al Capitolo Metropolitano di Milano in documenti inediti, "Aevum", 64 (1990), 445-59. Si trattò di una donazione cospicua, oltre quattromila volumi, valutati all'epoca 30.000 lire austriache, che ancora oggi costituisce parte considerevole dela Biblioteca Capitolare.

[137] Ruggeri, La donazione, 454-59, n.i 3, 15, 30, 37, 55.

[138] Dreves, AH, XIVb, 151.

[139] Huglo, Fonti, 78.

[140] Argelati, Bibliotheca, II, 1298b.

[141] Muratori, Antiquitates,  IV, dissert. 57, 936.

[142] L'epitaffio trasmesso dal Muratori contiene un riferimento a s. Nazario. Nel Liber Officiorum, così come è giunto fino a noi, non si trova alcuna ufficiatura in onore del santo. La reale entità dell'opera poetica di Orrico Scaccabarozzi ci è completamente ignota, non avendo a disposizione testimonianze sufficientemente vicine al periodo di attività dell'autore e in numero tale da permetterci verifiche al riguardo, per cui l'ipotesi di una perdita non dovrebbe creare particolari difficoltà.

[143] La traslazione del manoscritto è ricordata anche da Giulini, Memorie, IV, 664: "Torneremo dunque alle cose ecclesiastiche e prenderemo a trattare di un codice della biblioteca metropolitana. Il signor Muratori lo ha veduto ed esaminato; ma di poi il signor Argelati dice di non averlo più ritrovato, ed anch'io non ho potuto rinvenirlo."

[144] Archivio del Capitolo Metropolitano, Registro 5, Indice dei libri capitolari posteriore al 1783.

[145] Archivio del Capitolo Metropolitano, Fondo Capitolo Maggiore, cart. 86, fasc. 4, Index librorum Bibliothecae Venerandi Capitoli ecclesiae Metropolitanae Mediolani, f. 24r: "Francisci Picolpassi Archiepiscopi Mediolanensis constitutiones ex pergameno manuscripto."

[146] R. Cipriani, Codici miniati dell'Ambrosiana, Milano 1968 (Fontes ambrosiani, 40), 103-104; Inventario Ceruti dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, IV, Trezzano sul Naviglio 1978 (Fontes Ambrosiani, 60), 474; M. Navoni-C. Pasini, Martirologio milanese, Milano 1996.

[147] Pasini-Navoni, Martirologio, 33-34.

[148] Riproduzione della miniatura: Storia di Milano, IV, 606.

[149] AH, XIVb, 151.

[150] Huglo, Fonti, 78 e P. O. Tonetti  OFM, L'Ufficio ritmico di San Francesco d'Assisi di fra Giuliano da Spira, "Riv. internaz. di musica sacra", 2 (1982), 370-72.

[151] Huglo, Fonti, 78.

[152] La vicinanza dell'arciprete ai Francescani è testimoniata eloquentemente dal testo del suo epitaffio, riportato a p. 22. Ricordiamo inoltre che lo Scaccabarozzi fu anche erroneamente ascritto all'ordine domenicano: J. Quétif-J. Échard, Scriptores Ordinis Praedicatorum recensiti notisque criticis illustrati, I, Lutetiae Parisiorum 1719, 139a. L'attribuzione all'ordine fu causata probabilmente da un'errata interpretazione delle fonti citate, dalle quali si deduce solo che l'arciprete fu contemporaneo di s. Pietro martire da Verona (T. CALCO, Historiae patriae libri XX, Mediolani 1627; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, 170).

[153] I francescani erano giunti a Milano già nel 1224 e qui iniziarono a costruirsi un convento nei pressi di S. Vittore all'Olmo, favoriti dall'arcivescovo Enrico di Settala (1215-1230) che aveva conosciuto personalmente s. Francesco a Damiata d'Egitto nel 1219, durante la quinta crociata. Cresciuti di numero, ottennero di insediarsi presso la basilica dei SS. Nabore e Felice, che fu poi loro assegnata nel 1256, in forza della bolla "Licet ea" di papa Alessandro IV. La basilica naboriana venne ingrandita e chiamata S. Francesco Grande. La chiesa, che sorgeva dietro la basilica di S. Ambrogio, nell'area oggi occupata dalla Caserma della Polizia, fu soppressa nel 1798: M. P. ALBERZONI, Francescani, in Diz. d. Chiesa Ambr., II, 1266-69; A. MOSCONI, Lombardia francescana, Milano 1990, 22. Grazie al ritrovamento dei resti di s. Barnaba durante i lavori destinati a congiungere la basilica naboriana e la chiesa di s. Francesco, i  Minori ebbero la posssibilità di portare a compimento il proprio inserimento nella città, impadronendosi anche della sua storia: Tomea, Tradizione, 443. Su Enrico di Settala : M. P. Alberzoni, Henri de Settala, in Dict. d'histoire et géographie ecclésiastiques, XIII, Paris 1990, 1227-30. Anche i domenicani raggiunsero rapidamente Milano: il primo documento che attesti il loro insediamento in S. Eustorgio porta la data 15 febbraio 1220. Con l'istituzione dell'Inquisizione romana nel 1232, il convento ne divenne la prima sede in Lombardia. Nel 1296, quando Ottone Visconti dispose che un lettore tenesse regolare lezione di teologia nella cattedrale affidò l'incarico ai domenicani: A. M. CACCIN, Domenicani, in Diz. d. Chiesa ambr., II, 1062-68.

[154] Un primo confronto con le orazioni presenti in libri liturgici ambrosiani coevi e di età precedente rafforza l'ipotesi che anche questi testi siano frutto della creatività dell'arciprete.

[155] In tre messe troviamo anche l'antifona ante Evangelium: santi Apostoli, f. 108r (AH, XIVb, 256), s. Margherita, f. 116v (AH, XIVb, 257) e s. Eugenia, ff. 140v-141r (AH, XIVb, 259).

[156] Anna, f. 29v (solo un responsorio: AH, XIVb, 195); Assunzione di Maria, f. 43r (solo un responsorio: AH, XIVb, 201); Maurilio, ff. 57v-58r (antifona in coro: AH, XIVb, 206); Eugenia, f. 142v (antifona in coro e responsorio: AH, XIVb, 239); Giovanni vescovo, f. 150r (antifona in coro: AH, XIVb, 242).

[157] Il Dreves, AH, XIVb, 151-54, segnalò che le melodie degli inni si incontrano anche in libri liturgici ambrosiani di età più tarda e ritenne che lo Scaccabarozzi avesse attinto al patrimonio tradizionale della chiesa ambrosiana.

[158] L'unico studio sulle fonti dei carmi composti dallo Scaccabarozzi si deve a Szöverffy, Some features, 301-43. Szöverffy individua relazioni con la tradizione innologica, con il culto popolare e le leggende dei santi. La sua attenzione si concentra soprattutto sul rapporto tra i dati biografici dei santi dedicatari presenti negli inni e le fonti agiografiche, individuando alcuni punti di contatto con la Legenda Aurea.

[159] AH, XIVb, 158-59.

[160] AH, L, 617.

[161] Si confrontino i dati da noi presentati con la frequenza con cui vengono riutilizzati i brani negli  Uffici trasmessi dal Manuale ambrosianum ex codice saec. XI olim in usum canonicae Vallis Travaliae, a c. di M. Magistretti, II, Milano 1905 (Monumenta veteris liturgiae ambrosianae, 3).

[162] Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 21v (AH, XIVb, 192).

[163] Cap. Metrop. II.F.2.1, ff. 20v-21r (AH, XIVb, 246).

[164] P. BORELLA, Il card. Federico Borromeo per gli studi liturgici e la riforma dei libri ambrosiani, "Ambrosius", 7 (1931), 328, n. 63 ricorda che il Dozio dichiarò che le infiltrazioni di brani provenienti dall'opera dello Scaccabarozzi, nei confronti della quale esprime un giudizio molto severo, furono eliminate da "coloro che attesero alla ristaurazione del messale e dell'officio ambrosiano, a' tempi del cardinale Federico Borromeo". Le prime indagini sulla tradizione dei testi dell'arciprete, in particolare le orazioni, nei libri liturgici posteriori ha rilevato una situazione molto diversa e non priva di interesse: 24 dei 168 testi di orazioni presenti nel Liber Officiorum sono attestati nel Missale ambrosianum novissime Joseph cardinalis Puteobonelli archiepiscopi auctoritate recognitum, Milano 1751, e nel Breviarium ambrosianum del 1857. Sono gli incunaboli a offrire una prima testimonianza del favore che le orazioni continuavano a godere a distanza di due secoli dalla loro composizione.  Il Breviarium ambrosianum curato da Pietro Casola e stampato a Milano da Antonio Zarotto nel 1490 contiene le orazioni ai Vespri di s. Galdino (con alcune parti dell'Ufficio composto da Scaccabarozzi), s. Anna (solo la prima), s. Perpetua (I e II), Maurilio (I e II) e s. Lucia (II e III); le orazioni per s. Galdino e la prima orazione ai Vespri per le ss. undicimila vergini martiri si trovano anche in un breviario del 1472: Cap. Metrop.,  2G-3-23. Nel Missale ambrosianum del 1475 (Antonio Zarotto: IGI 6542) troviamo le orazioni per s. Galdino, s. Barnaba (solo il prefazio), s. Anna, s. Perpetua, s. Maurilio, s. Sofia, s. Orsola, Ognissanti (solo prefazio), s. Francesco (solo prefazio), s. Eustachio e s. Margherita. Il messale conserva anche i canti composti dallo Scaccabarozzi per le messe in onore di s. Orsola e s. Maurilio. Tomea, Tradizione,  59, n. 14 segnala l'inno Mediolani civitas / age festiva gaudia (AH, XIVb, 163), composto dallo Scaccabarozzi in onore di s. Barnaba, nel Breviarium ambrosianum  del 1487 (IGI 2066) e nel Milano, Arch. Cap. della Basilica di S. Ambrogio, M 26 (f. 165r), copiato nel 1422 dal prete Giovanni da Velate.

[165] Liber notitiae, 110B.

[166] Muratori, Antiquitates, IV, 936.

[167] Huglo, Fonti, 78.

[168] Tamborini, La Messa, 98.

[169] ASMi, Perg., cart. 613, n° 530.

[170] ASMi, Perg., cart. 613, n° 661.

[171] Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 134v (AH, XIVb, 158-59).

[172] Ambr. P 165 sup., f. 29r (AH, L, 617)

[173] Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 142v.

[174] Ficta staria XVIII e quanto segue è collegato con una linea alla riga precedente (pertice XII)

[175] Pergamena mutila.

[176] Probabilmente da integrare Mediolanensis: la parola mancante si trovava sulla parte del documento danneggiata.

[177] Pergamena mutila.

[178] Pergamena mutila.

[179] Pergamena mutila.

[180] Segue not biffato: ripetizione della parola precedente. Il notaio si è accorto dell'errore e ha interrotto la scrittura della lettera  t, lasciandola priva del tratto orizzontale, poi ha biffato le tre lettere.

[181] Neutro singolare, nom. sallentium, psallentium, canto processionale costituito da una serie di antifone: E. Moneta Caglio, Il Sallenzio, "Ambrosius", 62 (1986), 548-51.

[182] Dopo predictus è scritto prepositos, corretto in prepositum, poi biffato.

[183] Corretto sull'errato cappellanus.

[184] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro.

[185] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro.

[186] Segue qui interfuerunt et fecerint: anticipazione, biffata e racchiusa tra segni di espunzione (apici).

[187] Ci aspetteremmo non fieret, che troviamo invece più avanti per un probabile errore nella copiatura del testo.

[188] Offitium non corretto sull'originario offitium, tramite l'aggiunta di un titulus sopra u e la correzione di m in no con titulus.

[189] Aggiunto nell'interlinea.

[190] O corretto su i.

[191] Segue disputarent, biffato.

[192] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro.

[193] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro.

[194] Espunto.

[195] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro.

[196] R corretto su ç.

[197] Aggiunto nell'interlinea.

[198] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro.

[199] Foro nella pergamena.

[200] Foro nella pergamena.

[201] A sero corretto nell'interlinea sopra in parte biffato ed espunto.

[202] Fiant corretto in fiat.

[203] Segue o biffata ed espunta.

[204] Patroui corretto in patrui.

[205] Secondo e aggiunto nell'interlinea.

[206] Ripetizione.

[207] Prima l espunta.

[208] Segue u biffata.

[209] Segue terram, espunto.

[210] Corretto da deseruimus.

[211] Segue congratis, biffato ed espunto.

[212] Segue seu cano biffato, anticipazione.

[213] Segue et, ripetizione.

[214] Lacerazione nella pergamena.

[215] Lacerazione nella pergamena.

© Federica Peruzzo 2007. Tutti i diritti riservati.