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Federica Peruzzo Orrico Scaccabarozzi: un arciprete poeta nella
Milano del XIII secolo Orrico Scaccabarozzi, arciprete della Chiesa milanese dal 1261 al 1293 circa, collaboratore dell'arcivescovo Ottone Visconti, attento alle realtà dei nuovi Ordini religiosi, manifestò il proprio amore per la tradizione liturgica ambrosiana componendo Uffici ritmici in onore della Vergine Maria e di alcuni santi, conservati in un codice allestito dall’autore (Milano, Cap. Metrop. II.F.2.1). Da documenti di archivi di Milano se ne ricostruisce la biografia e si datano alcune sue poesie. 1. La vita Nel
1893 Guido Maria Dreves pubblicò sotto il titolo complessivo di Origo
Scaccabarozzi's Liber Officiorum una raccolta di Ufficiature ritmiche in onore di santi tràdita da un manoscritto
conservato nella Biblioteca del venerando Capitolo Metropolitano di Milano[1]. Nella concisa
introduzione ai testi lo studioso non nascose la propria soddisfazione per la
scoperta: le numerose rubriche presenti all'interno del codice permettevano
infatti di attribuire con assoluta certezza l'intero corpus poetico ad
un unico autore, Orrico Scaccabarozzi, arciprete della Chiesa Maggiore di
Milano dal 1261 alla morte, avvenuta presumibilmente nel 1293[2]. Il Dreves lamentò il
fatto che, nonostante il ruolo di primo piano occupato dallo Scaccabarozzi
all'interno della gerarchia ecclesiastica della città, fosse possibile
conoscere poco della sua vita e raccolse le scarse notizie biografiche che
potevano essere desunte dal codice o dalle compilazioni del Muratori e dell'Argelati[3]. Anche in età più recente
gli studiosi di storia milanese hanno ricordato la figura dello Scaccabarozzi
soprattutto per il ruolo da lui ricoperto in un periodo particolarmente
delicato per la Chiesa milanese, legato alla lunga vacanza della sede
arcivescovile che seguì la morte di Leone da Perego e all'ancor più lungo
esilio del successore designato Ottone Visconti. Proprio tracciando la figura
dell'arcivescovo Ottone, il Cattaneo ricorda come egli, nell'opera di
ricostruzione della diocesi, si sia servito di ottimi collaboratori, primo fra
tutti lo Scaccabarozzi, "ille qui dignus esset fieri papa" secondo la
voce dell'autore del Liber Notitiae Sanctorum Mediolani[4]. Un contributo sostanziale alla ricostruzione della
vita dell'arciprete viene dalle pergamene provenienti dall'Archivio del
Capitolo Maggiore del Duomo di Milano e dall'Archivio di S. Stefano in
Vimercate, ora presso l'Archivio di Stato di Milano. In esse è conservato un
discreto numero di documenti che testimoniano la sua attività quale guida del
Capitolo Maggiore e alcune sue disposizioni personali, oppure consentono
semplicemente di registrare la sua presenza a Milano e a Vimercate.
Raccogliendo i dati contenuti in questi e alcuni altri documenti si possono
quindi fissare con esattezza o buona approssimazione le tappe della sua
carriera ecclesiastica, gettando qualche luce sull'opera di un uomo che seppe
agire con decisione nel tutelare gli interessi del Capitolo Metropolitano,
intervenne con fermezza in materia di disciplina ecclesiastica e non mancò di
attenzione nei confronti dei bisognosi, guadagnandosi la stima del suo
arcivescovo e dei pontefici. Figlio di Algisio delle Cinque vie, della parrocchia
di S. Maria Podone[5],
e di Pietra di Ostiollo, Orrico nacque, probabilmente a Milano, agli inizi del
Duecento[6]. La famiglia, di antica e
provata nobiltà, annoverava tra i suoi avi personaggi che avevano ricoperto
importanti incarichi politici in città e nelle vicinanze[7]. Dei genitori di Orrico
possediamo scarse notizie, sappiamo solo che il 2 febbraio 1212 Algisio fu
nominato procuratore nella prebenda vimercatese[8] dal fratello Lanterio,
canonico di S. Stefano in Vimercate[9]. Lanterio dovette avere
parte fondamentale nella formazione culturale e religiosa del nipote, che più
tardi ne avrebbe seguito le orme: ordinario della Metropolitana[10] e canonico di S. Nazaro
in Brolo[11],
fu prevosto di S. Stefano in Vimercate dal 1227 al 1234[12]. Il 28 novembre di
quell'anno il capitolo si riunì e i canonici, con i cappellani della chiesa,
nominarono il prevosto di Pontirolo[13], magister Albrico
de Opreno, magister Uberto Tagliacarro, Guglielmo Ellene, Azzone
Guarmasio e il presbitero Guiberto di Carugate messi sindaci e procuratori
perché si recassero dall'arcivescovo e chiedessero di confermare l'elezione di
Guglielmo di Goldaniga a prevosto della canonica di S. Stefano[14]. La carica non era però
rimasta vacante per la morte di Lanterio, che risulta tra i canonici presenti
alla nomina di messi: questi aveva dovuto rinunciare al suo incarico per essere
incorso in scomunica per eresia[15], ma rientrò nella chiesa
e nel 1252 fu inviato dai milanesi come legato al papa per chiedere la
canonizzazione di fra Pietro da Verona[16], ucciso insieme ad un
compagno in territorio milanese. Tra i membri del capitolo riunito, ricordati
nel documento, compare per la prima volta anche Orrico Scaccabarozzi. Non siamo
in grado di stabilire con precisione la data del suo ingresso tra i canonici di
S. Stefano, ma possediamo un'interessante cartula prebendae[17],
priva di indicazioni cronologiche, che conserva l'elenco dei terreni che
facevano parte della sua prebenda, permettendo di conoscere l'entità dei
possedimenti legati al suo titolo canonicale: terreni con vigne in Vimercate,
Marcusate, Barazia, Sabionera, Soltina, Tresolzo, Caponago, Albaro, Rigerano[18], per un totale di circa
97 pertiche e 43 tavole, oltre a fitti da riscuotersi in vino, cereali e
capponi. Il 22 marzo 1239, nell'abitazione di Lanterio presso
la canonica di Vimercate, il capitolo si riunì per accogliere undici nuovi
chierici, tra i quali incontriamo un altro membro della famiglia Scaccabarozzi,
Beltramo, fratello di Orrico; nel corso della stessa seduta quest'ultimo fu
ricevuto tra i canonici come rappresentante di Visconte Bernareggi, nobile
vimercatese la cui candidatura era stata avanzata dallo stesso arcivescovo[19]. Qualche mese dopo, il 6
novembre, il preposito Guglielmo di Goldaniga, a nome della chiesa di S.
Stefano, investì Martino Maguzzano di un terreno con vigna e Orrico è nominato
tra i canonici "presenti e approvanti"[20]. Dieci anni più tardi, il 29 novembre 1249, fu nominato
dal fratello Guido, colpito da malattia, erede universale insieme a Beltramo.
Guido stabilì inoltre che ogni anno fossero pagate alla chiesa di S. Maria in
Vimercate[21]
dieci staia di biada di segale e miglio, quattro delle quali fossero
distribuite in pane ai poveri e sei trattenute per le celebrazioni annue in
suffragio del defunto[22]. A partire da questa data i documenti provenienti
dall'archivio di S. Stefano non nominano Orrico per diversi anni, durante i
quali egli cominciò la sua ascesa agli onori ecclesiastici nella città di
Milano. Il 25 febbraio 1256 era prevosto della chiesa di S. Nazaro in Brolo,
titolare di altri benefici e cappellano papale: lo testimonia una lettera di
papa Alessandro IV che lo autorizzava, nonostante il divieto posto dalle
Costituzioni del Concilio generale e di papa Celestino IV, ad assumere "aliam
dignitatem vel personatum sive officium in Mediolanensi provincia"[23]. Come preposito di S.
Nazaro, il 22 gennaio 1268, ricevette, presso l'altare del santo nella chiesa
omonima, il giuramento di quattro conversi dell'ospedale di S. Nazaro che
sorgeva nei pressi della basilica[24]. Dal 1261 alla morte Orrico Scaccabarozzi fu archipresbyter
Ecclesie Mediolanensis. La sua
elezione avvenne prima del 14 ottobre[25]: nell'atto, rogato in
quella data, che attesta uno scambio di beni tra i canonici di S. Giorgio in
Legnano e Raimondo, Napoleone ed Erreco della Torre, compare insignito della
dignità archipresbiteriale e come Vicario generale del capitolo sede vacante.
Gli stessi titoli sono a lui
attribuiti in un documento datato 3 dicembre 1261, che attesta un provvedimento
di Pagano Mora "subdelegatus a domino Orrico Scacabarocio sancte
Mediolanensis ecclesie archipresbitero et Capituli sede vacante vicario
generali"[26]
nei confronti dei monaci di S. Celso[27]. Nel 1286 lo Scaccabarozzi era anche cappellano di S.
Maria Podone: il titolo compare nel Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 142v, in una
rubrica al termine dell'Ufficiatura in onore di s. Eugenia: Millesimo ducentesimo octuagesimo sexto, ultimo die
mensis iunii, die dominico. Ego Orricus Scacabarosius, Sancte Mediolanensis
Ecclesie archipresbiter et prepositus ecclesie Sancti Nazari in Brolio et
capellanus ecclesie Sancte Marie Pedonis, dono pro remedio anime mee ipsi
ecclesie Sancte Marie Pedonis ad honorem sancte virginis Eugenie cuius festum
in ipsa ecclesia celebratur, presentem librum, in quo sunt passio ipsius beate
Eugenie et officium festivitatis ipsius quod ego compilavi tam in dictamine
quam in cantu. Ora pro me, sancta Eugenia. 1.1 Scaccabarozzi arciprete Benché siano scarse le carte che permettano di
comprendere quali fossero i poteri ordinari e straordinari del Capitolo
Maggiore, sappiamo che nei casi di sede vacante questo assunse sempre parte dei
poteri dell'arcivescovo[28]. Importante dovette
quindi essere il ruolo giocato dagli Ordinari, guidati dall'arciprete
Scaccabarozzi, anche nei primi anni dell'episcopato visconteo, durante i quali
essi esercitarono un controllo costante sulla gerarchia e la disciplina
ecclesiastica. Tra i diritti del Capitolo rientrava l'elezione di
nuovi lettori, per questo motivo, rimasti vacanti sei posti nel collegio per la
morte dei titolari, gli Ordinari e l'arciprete si riunirono il 2 novembre 1263
ed elessero come nuovi lettori il chierico Omodeo de Uglono, Giustamonte
Cavazza a nome di Beltramo di Apiano, Giacomo detto Puscha, Giovanni de Glaxate
e Anrico Fexiano. L'arciprete Scaccabarozzi, secondo la volontà espressa dagli
Ordinari, li investì della carica di lettori "cum libro uno quem in suis
tenet manibus, ad honorem Dei et Beate Virginis Marie". Dopo l'investitura
i membri del capitolo concedettero all'arciprete facoltà di ordinare al
primicerio minore di installare i nuovi eletti negli scanni del coro loro
deputati e di riceverli nel collegio[29]. Nel 1267 sorse una controversia tra i custodi maggiori
e minori della cattedrale[30]. La contesa venne risolta
dal vicario dell’arcivescovo[31], che si pronunciò in
favore dei primi, e la sentenza fu approvata in data 5 giugno dal custode
minore Ambrogio di Vimercate: per ordine dello Scaccabarozzi furono eseguite
due copie del testo della stessa. La prima fu stesa dal notaio Beltramo di
Giovanni de Castronovo, lettore della chiesa milanese, sulle pagine di un
codice di Beroldus oggi perduto[32]; da questo codice
Giovanni Boffa, rettore e beneficiale della chiesa di S. Vito[33] la trascrisse nella copia
del Beroldus, nota come Beroldus novus[34], conservata nella
Biblioteca del Capitolo Metropolitano (1269 ca.). Il Boffa, sempre "de
mandato domini Orrici Scacabarotii archipresbiteri" trascrisse dal Beroldus
perduto nel novus anche una sentenza emessa il 16 giugno 1206 circa
una contesa tra l'arcivescovo e il cimiliarca[35] e un decreto dei custodi
della Chiesa milanese, riguardante i beni dei custodi defunti[36]. Il nuovo codice
contenente le opere beroldiane, altri testi liturgici, narrativi e documentari
fu compilato nei primi anni dell'episcopato di Ottone, del quale contiene anche
una biografia[37].
Forse fu proprio lo Scaccabarozzi a commissionare, in un periodo così difficile
per la città e per la chiesa milanese, la copia di un testo che poteva essere
considerato autorevole testimonianza di una tradizione a cui richiamarsi[38]. La lontananza forzata di
Ottone Visconti dalla propria sede arcivescovile sottraeva infatti la chiesa ambrosiana
al diretto controllo episcopale e contribuiva ad acuire una situazione di
degrado che doveva essersi fatta critica anche all’interno della gerarchia
ecclesiastica, se gli Ordinari venivano meno ai loro obblighi di officianti.
L’arciprete Scaccabarozzi, l’arcidiacono Conte Casati[39] e i membri del Capitolo
Metropolitano stabilirono perciò che gli ordinari dovessero in matutinis, missis, vesperis, letaniis in dicta
ecclesia Mediolanensis et extra ipsam ecclesiam pro tempore celebrandi vices et
hebdomadas suas scilicet tres singulis hebdomadis personaliter per se vel per
alios socios et choordinarios suos dicere et facere. Riservarono inoltre all’arciprete, arcidiacono e
capitolo stessi piena autorità di infliggere le pene che ritenessero opportune
agli inadempienti. Inoltre gli Ordinari non avrebbero avuto diritto a uno
stallo nel coro, alla scelta delle prebende, non avrebbero avuto voce in
capitolo e non sarebbero stati ammessi alle riunioni dello stesso e alle
distribuzioni quotidiane prima di aver ricevuto almeno il suddiaconato[40]. Simili provvedimenti
appaiono ben comprensibili se consideriamo i danni provocati alla vita religiosa
della città dal perdurare di correnti ereticali e dai dissidi che travagliavano
il clero milanese. Senza entrare nella questione relativa alla Matricula delle
famiglie nobili[41],
i cui membri avrebbero avuto diritto all'elettorato passivo del Capitolo
Maggiore, ricordiamo che in questi anni si rileva un'effettiva tendenza da
parte degli Ordinari a precludere l'accesso al Capitolo ad esponenti di
famiglie non nobili: lo testimonia una formula di giuramento che gli Ordinari
dovevano prestare prima di entrare in possesso di una prebenda, trasmessa dallo
stesso Beroldus novus[42], nella quale si ribadisce
l'obbligo di osservare le consuetudini e gli statuti della Chiesa milanese e la
necessità, per poter accedere al Capitolo, di appartenere a nobile famiglia. * Fin dai primi anni del proprio mandato il nuovo
arciprete cercò di provvedere al riordino delle finanze del capitolo,
attraverso una serie di azioni volte al controllo dei beni posseduti dal
capitolo stesso e al recupero dei crediti insoluti. Per questo motivo ordinò la
ricognizione e consegna dei beni situati nei territori di Paninsaco e Borghetto[43] del vescovato di Lodi,
che venne eseguita dal vicario di Martino della Torre, allora podestà di Lodi,
ed è testimoniata da un documento datato 9 giugno 1262[44]. L'anno successivo,
sempre dietro richiesta dell'arciprete, Bassiano de Falce, servitore del comune
di Lodi, e Giacomo da Monza, servitore del comune di Milano, si recarono
"in locis de Orio et de Vipizolano et de Burgeto et de Graffignana et de
Sancto Collumbano[45], episcopatus et
districtus de Laude" e nelle località della diocesi nelle quali si
trovavano possedimenti della chiesa milanese per costituire una commissione
locale con il compito di determinare, misurare e consegnare tutti i beni e i
diritti spettanti al Capitolo metropolitano. L'instrumentum consignationis porta
la data 14 ottobre 1263 ed è seguito da un documento redatto lo stesso giorno
in cui Orrico Scaccabarozzi vietava a Guinizus di tenere porto e navi sul fiume Lambro,
presso Graffignana, nel luogo in cui si trovavano un porto e un ponte di
proprietà della Chiesa milanese[46]. Nel 1264 Bassiano de
Falce si recò a Borghetto - ancora su richiesta dell'arciprete - per
determinare, misurare e consegnare i beni e i diritti spettanti agli Ordinari
nei territori di Borghetto e Vigarolo[47]. Un provvedimento simile
fu preso per i beni siti in loco de Fossato alto48]: l'atto che registrava i
possedimenti e i diritti del capitolo e
la carta consignationis furono stilati il 26 marzo 1264[49]. Il 31 maggio dello stesso anno gli ordinari della
Chiesa milanese, detentori della metà del diritto di patronato, conferirono
all'arciprete Orrico facoltà di eleggere il beneficiale della chiesa di S. Bartolomeo
di Fossadolto, in diocesi di Lodi, la cui sede era rimasta vacante per la morte
del titolare[50].
L'arciprete avrebbe avuto inoltre licenza di presentare il prescelto, in
accordo con gli altri patroni della chiesa, al vescovo di Lodi per la conferma
dell'investitura. Il 10 giugno seguente Orrico Scaccabarozzi, rappresentante
del Capitolo Metropolitano, e frate Martino della Domus Omnium Sanctorum,
rappresentante degli altri patroni della chiesa di S. Bartolomeo, ne elessero
beneficiale il chierico Giovannino, figlio di Uberto Madoni[51]. Nel Il 10 marzo 1282 lo Scaccabarozzi investì, a nome degli Ordinari, Tibaldo Conte, canonico di Castelseprio, della quarta parte della decima di Tradate, dietro il pagamento annuo di tre moggia di fave, tre di frumento, sei di segale, cinque di miglio e tre di panico[54]. Il 5 giugno dell'anno successivo, sempre a nome del Capitolo Metropolitano, l'arciprete investì Billiano Pusterla di un prato in Tradate, dietro il pagamento annuo di 11 lire imperiali[55]. Il 25 giugno 1284 “de mandato domini Honrici
Scacabarozii dicte ecclesie archipresbiteri” gli Ordinari investirono Citella
Covreno di parte di una vigna sita nel territorio di Salvano[56]. 1.3
La fondazione dell'Ospedale Nuovo Orrico Scaccabarozzi dedicò parte considerevole delle
sue attenzioni a coloro che godevano di sorte meno fortunata: poveri, orfani,
malati e pellegrini. In favore di costoro egli diede il proprio appoggio
spirituale ed economico alla fondazione di un ospedale, chiamato Ospedale Nuovo
o spedale di Donna Buona, dal nome della benefattrice che affiancò
l'arciprete[57]. Gli Statuti della nuova istituzione furono fissati il
15 ottobre 1268 dall'arcivescovo Ottone Visconti, chiamato dagli stessi
fondatori a dirimere una questione sorta tra le parti[58]. L'ospedale, eretto in
onore della Vergine Maria, fu sottoposto alla Regola agostiniana e affidato
all'amministrazione di un magister, mentre un collegio di tredici decani
ebbe il compito di sorvegliare l'operato dei conversi e delle converse. Questi
dovevano assistere gli ospiti e accogliere nell'ospedale i malati privi di
mezzi e gli orfani trovati in città; particolare attenzione era inoltre
dedicata ai pellegrini. In caso di discordia tra il magister e i decani,
l'arcivescovo avocò a sé diritto di giudizio inappellabile. Una posizione di
particolare privilegio è riservata dagli Statuti alla religiosa mulier
donna Buona, cuius studio dictum hospitalem suscepit initium et incrementum: in dicto hospitali, dum vixit, remaneat decana et
pauperum egrotantium et expositorum infantium et hospitalitatis procuratrix, et
bona mobilia que sibi de elimosinis vel oblationibus fidelium conferri
contigerit magistro vel cellarario hospitalis ipsius vel alii assignare minime
teneantur, set ea expendere fideliter in usum pauperum egrotantium et
expositorum infantium et hospitalitatis, prout Dominus sibi duxerit
inspirandum. In caso di morte della fondatrice, Ottone Visconti
proibì l'elezione di un successore, affidando l'incarico di supremo controllo a
Orrico Scaccabarozzi qui in inventione ipsius hospitalis initiator extitit
et promotor, per cuius bonam operationem et exercitium et presertim ex verbo
predicationis ipsius in quo laudabiliter est instructus multa bona eidem
hospitali hactenus pervenerunt et pervenire, fatiente Domino, poterunt in
futuro[59]. Il ruolo di initiator et promotor che lo
Scaccabarozzi ebbe nella vita dell'ospedale è testimoniato da una serie di
documenti che rivelano la sua sollecitudine nei confronti del nuovo ente.
L'ospedale, nova plantatio, doveva trovarsi ad affrontare alcune
difficoltà finanziarie e l'autorità ecclesiastica intervenne per cercare di
porre rimedio alla situazione. Il 12 gennaio Donna Buona morì nel 1284[66] e possiamo immaginare che
Orrico sia subentrato al suo posto, secondo la volontà di Ottone. Non
possediamo alcuna testimonianza relativa a questo periodo che permetta di
conoscere l'opera svolta dall'arciprete all'interno dell'ospedale, tuttavia
egli doveva godere di una certa autorità presso i decani. Quando il magister
Vincenzo Lazzaroni morì, i frati dell'ospedale e i decani riuniti per
provvedere alla nomina di un successore concedettero piena facoltà di scelta a
Orrico e a Pietro Villano, preposito della chiesa di Corbetta[67]. I due incaricati
elessero, il 29 luglio 1288, Belloto Martini di Paderno, che il 3 agosto
successivo fu confermato all'arcivescovo e solennemente investito della carica
di rettore[68]. Durante l'arcipretura di Orrico Scaccabarozzi, fu
arcidiacono della Chiesa Milanese Conte Casati[69]. Sotto il pontificato di
Innocenzo IV intraprese la carriera curiale che lo portò a diventare
"advocatus": in tale veste accompagnò Gregorio X al II Concilio di
Lione. Divenne poi cappellano papale di Niccolò III ed esplicò un'importante attività
giuridica in qualità di ‘auditor’; fu inoltre membro della commissione
incaricata dell'esame e revisione della Regola francescana. La sua carriera
ecclesiastica culminò con la nomina a cardinale titulo sanctorum Petri et
Marcellini, il 12 aprile 1281, ma egli mantenne sempre anche il titolo di
arcidiacono milanese[70]. Quando Conte Casati
ricevette la porpora cardinalizia o negli anni seguenti, Orrico offrì come
omaggio all’amico un ufficio da lui composto more romano, in onore dei
santi martiri[71].
Il dono dell'arciprete è probabilmente segno della continuità di una
consuetudine tra i due ecclesiastici che si era stabilita in virtù della comune
appartenenza al Capitolo maggiore. Pochi anni prima, Orrico aveva inoltre ricevuto in
cattedrale un giuramento solenne da parte dei nipoti di Conte, Marzio e
Filippino[72].
Il 16 settembre 1270 il Casati aveva dettato un primo testamento, in cui aveva
nominato i suoi nipoti Marzio e Filippino eredi universali ed esecutori
testamentari e disposto che fossero restituite le usure alla cui restituzione
era tenuto personalmente, per conto del padre Giordano, dello zio Ruggero o di
altri e stabilito che Marzio e Filippino o chiunque fosse giunto in possesso
dei suoi beni non ne potesse godere fino alla restituzione delle predette
usure. L’arcidiacono fissò con minuzia le clausole che avrebbero regolato il
passaggio dei beni ai suoi eredi e ai loro legittimi discendenti: nel caso in
cui entrambi fossero morti senza eredi legittimi sarebbero dovute pervenire al
Capitolo Metropolitano, ai lettori e agli ospedali milanesi in parti uguali.
Conte proibì ai nipoti di alienare, obbligare, trasferire ad altri la parte che
spettava alla chiesa milanese e di ricevere denaro a usura: se alla sua morte
fossero stati trovati colpevoli di tale reato, sarebbero stati privati - e con
essi i loro discendenti - di ogni diritto sull’eredità, che sarebbe passata
direttamente al Capitolo, ai lettori e agli ospedali di Milano, compresi
l'Ospedale Nuovo di S. Maria e l'Ospedale dei lebbrosi[73]. Il Capitolo
Metropolitano cercò quindi di tutelare i propri interessi chiedendo a Marzio e
Filippino una garanzia circa le disposizioni testamentarie dello zio. Per
questo motivo, il 2 agosto 1276, essi
giurarono sui Vangeli, davanti all'arciprete Orrico Scaccabarozzi, che non
avrebbero prestato denaro o altro a usura e avrebbero restituito quanto avevano
ricevuto o sapevano essere stato ricevuto ingiustamente dai rispettivi padri,
Ottone e Manfredo, e che simile giuramento sarebbe stato prestato dai loro
eredi[74]. Essi giurarono inoltre
che avrebbero rispettato le volontà testamentarie dello zio[75] e le donazioni da lui
disposte[76]
a favore dell’arcidiaconato milanese, della sacrestia della chiesa di Milano,
delle chiese di S. Giorgio in Casate[77] e S. Faustino in Marisio[78], della canonica di
Missaglia[79]
e della congregazione dei lettori della chiesa di Milano. 1.5
Scaccabarozzi e gli Umiliati La
discrezione e la prudenza dell’arciprete, tanto apprezzate da Ottone Visconti,
non erano note solo entro i confini della diocesi milanese. Papa Martino IV gli
affidò l’incarico di sanare una contesa sorta tra i frati Umiliati del convento
Domus nova di Milano e Bonaccorso, Zersono Ferrario e Germanello
Marchisio[80].
Pochi mesi dopo, il 16 ottobre, il nostro arciprete dovette occuparsi di beni
controversi a Cernusco sul Naviglio. I rapporti dello Scaccabarozzi con gli
Umiliati sono testimoniati anche dalla composizione di un’Ufficiatura in onore
di s. Olderico, effettuata dietro richiesta di fra Michele, preposito della Domus
nova umiliata di Borgo Ticino pavese[81]: ce ne informa lo stesso
arciprete nella lettera, rivolta al committente e datata 23 giugno 1282, che
accompagnava l’Ufficio[82]. Ricordiamo che una
chiesa in onore del santo era stata fondata nell’Oltreticino da Rainerio de
Sancto Naçario, vescovo di Maina in Grecia[83]; con atto del 16 dicembre
1267 questi aveva costituito eredi dei propri beni la chiesa stessa e l’ordo
seu mansio degli Umiliati di Domus nova de Ultra Ticinum: tra le
clausole del testamento fu posto l’obbligo agli Umiliati di tenere tre
sacerdoti nella cappella che garantissero l’ufficiatura della stessa. Il
testamento indicava anche i nomi dei frati prescelti, tra i quali lo stesso
Michele, esecutore testamentario[84]. Non è da escludere che
proprio a causa di quest'obbligo fra Michele avesse deciso di chiedere un
Ufficio in onore del santo. Lo Scaccabarozzi si occupò ancora della Domus
nova di Borgo Ticino nell'ottobre e novembre del 1287, quando il pontefice
lo incaricò di comporre una causa tra la Domus e i monaci di S. Pietro
in Ciel d'Oro: i documenti non ci hanno trasmesso l'oggetto della contesa,
tuttavia essa doveva essersi protratta per un lungo periodo o si annunciava di
difficile soluzione poiché lo Scaccabarozzi desiderando "parcere laboribus
et expensis ipsarum partium" affidò l'escussione dei testimoni ad un uomo
di sua fiducia, Corrado de Betana, preposito della Chiesa Maggiore di Pavia[85]. *** Numerosi
altri documenti vedono Orrico Scaccabarozzi presente in qualità di testimone o
di esecutore delle volontà del proprio arcivescovo. Il
26 gennaio 1267 Orrico presenziò al giuramento prestato nel palazzo del comune
dal nuovo console Bartolomeo de Grecis, che promise, in conformità all’operato
del proprio predecessore, di obbedire ai mandati del papa e della chiesa romana[86]. Il 22 giugno fu
nuovamente presente, in qualità di testimone, alla stesura di un “rescriptum”
di papa Clemente IV[87], allora a Viterbo, fatta
eseguire dal vicario di Ottone, Bonifacio arciprete di Vico. Il
23 maggio1283 Ottone concedette alle monache di S. Caterina Vecchia di
costruire una chiesa in un terreno di loro proprietà: il mese successivo Orrico
Scaccabarozzi pose la prima pietra e tracciò il perimetro del cimitero[88]. Lo
Scaccabarozzi[89]
fu ancora a fianco del proprio arcivescovo il 3 aprile 1286, quando venne
stipulato il trattato di pace tra Milano e Como[90]con il quale i due Comuni
si impegnarono a sospendere le azioni militari, seguite all'abbandono da parte
di Ottone Visconti della lega ghibellina. Il
18 gennaio 1288 lo Scaccabarozzi sottoscrisse come testimone una concessione di
Ottone Visconti, con la quale l'arcivescovo consentiva ai frati dell'ospedale
del Brolo di costruire un oratorio con altare e di provvedere per un sacerdote
che la officiasse[91]. Il
19 novembre Nel
1291 assistette all'investitura solenne di Fazio Ferrario abate di S. Ambrogio[93] e il 5 novembre fu tra i
testimoni presenti alla donazione di un terreno all'Ospedale Nuovo, da parte di
Antonio Carnixio, ordinario della chiesa milanese[94]. Orrico
partecipò probabilmente anche al Concilio provinciale convocato da Ottone
Visconti il 27 novembre di quell'anno, su invito del pontefice Niccolò IV.
L'aggravarsi della situazione dei cristiani d'oltremare dopo la caduta di
Tolemaide aveva reso urgente un intervento militare in Terra Santa e per questo
motivo il papa aveva richiesto la mobilitazione di tutto il clero. Le
deliberazioni del concilio milanese furono raccolte il giorno 29 novembre e,
tra gli altri provvedimenti, si stabilì anche che a partire dal giorno
successivo fosse introdotta nelle messe speciale orazione[95]. Il Tamborini[96] pensò che le orazioni
inserite nella liturgia quotidiana per volere del Concilio provinciale fossero
state composte dallo Scaccabarozzi; il codice metropolitano che conserva
l'opera poetica dell'arciprete contiene infatti a f. 58r una Missa pro Terra
Sancta, ovvero la serie completa di orazioni per una messa ambrosiana il
cui contenuto presenta un legame strettissimo con gli eventi che abbiamo
ricordato: in esse si invoca il perdono divino sul popolo che offre le proprie
persone e i propri beni in soccorso della Terra Santa e si implora benigna
accoglienza presso Dio per queste offerte e la salvezza eterna per coloro che
si accingono a liberare la terra su cui mosse i suoi passi terreni il
Salvatore. L'anno
successivo Il
2 giugno 1293, Orrico Scaccabarozzi e gli Ordinari investirono Lanfranco di Rho
di un sedimen sive hospitio in Pusterla degli Azi, presso il ponte della
S. Trinità, dietro la pensione annua di £ 10 di Terzuoli[98]. 1.6
Scaccabarozzi canonico di S. Stefano in Vimercate Gli
impegni legati alla carica di arciprete non impedirono allo Scaccabarozzi di
rimanere membro del capitolo di Vimercate e di essere presente alle riunioni
dello stesso. Dopo un silenzio durato poco più di un decennio i documenti
provenienti dall'archivio di S. Stefano ricordano nuovamente Orrico tra i
canonici. Il 10 maggio L’8
novembre 1270 Orrico legò alla chiesa quattro lire e mezza di denari a lui
dovuti come fitto annuo da Guglielmo di Tegniono per il terreno di cui era
stato investito il 12 gennaio 1265[102]. Lo Scaccabarozzi
dispose che dopo la sua morte tale cifra fosse pagata al suo
"familiaris" Giustamonte Cavazza, il quale avrebbe provveduto a
distribuirla ai poveri e ai custodi incaricati di suonare le campane nel giorno
anniversario della sua morte e in quello anniversario dello zio Lanterio.
Stabilì inoltre le modalità con cui doveva essere celebrato il proprio suffragio
annuale: il preposito, i canonici, i cappellani e i custodi della chiesa e i
rettori e beneficiali della pieve riuniti nella chiesa di S. Stefano avrebbero
dovuto cantare i tre notturni con salmi, responsori, lezioni e antifone; si
sarebbero poi recati processionalmente, al canto di antifone, alla chiesa di S.
Maria fino al cimitero dei canonici e qui avrebbero terminato l’ufficio con il
canto delle litanie; avrebbero quindi celebrato la messa per i defunti con
diacono e suddiacono, durante la quale il sacerdote avrebbe recitato la prima
orazione a suffragio di Orrico, la seconda pro anima Lanteri e la terza pro
anima Petre de Hostiollo, madre dell’arciprete. Il
21 dicembre 1274 Orrico, desiderando onorare Dio, Altri
tre uffici ritmici composti dallo stesso Scaccabarozzi sono nominati in un
legato di due anni posteriore: con esso Orrico, in data 8 agosto 1276, donò
alla chiesa di Vimercate un terreno con vigna giacente in località Costa de
Tresolzo e dispose che i proventi della
stessa venissero distribuiti annualmente, dopo la sua morte ai canonici,
cappellani e custodi della chiesa, sotto l’obbligo di recita delle ufficiature
da lui composte per le vigilie e feste dei santi Barnaba, Anna e Galdino[107]. Le condizioni poste per
il godimento dei beni e le modalità secondo le quali dovevano essere celebrati
gli Uffici sono le stesse del legato precedente. Anche questo documento
consente di fissare un terminus ante quem per la compilazione delle tre
Ufficiature in esso citate: Orrico dichiara che i tre uffici sono stati da lui
composti noviter, termine che potrebbe riferirsi sia all'originalità
della sua opera, sia al fatto che si tratti di lavori recenti. Il
5 maggio 1279 Orrico effettuò con il capitolo di S. Stefano in Vimercate uno
scambio di beni: il preposito Obizzone de Bernadigio e i canonici liberarono le
terre che Guido aveva lasciato in eredità ai fratelli da ogni fitto dovuto alla
chiesa, prelevando le dieci staia di mistura che spettavano alla canonica
secondo le ultime volontà di questi dal fitto percepito da Orrico per un
terreno in località Camerada[108]. Il
31 agosto 1283 legò alla chiesa di S. Stefano di Vimercate alcune terre che
possedeva in Desio e Omate, perché fosse istituita una cappellania a ricordo
del suo nome[109].
Le terre avrebbero costituito un beneficio da assegnare ad un sacerdote che non
fosse già in possesso di una prebenda; nel momento in cui titolare avesse
ottenuto un altro beneficio, la cappellania sarebbe stata considerata vacante e
il capitolo di Vimercate avrebbe provveduto a eleggere un successore. Se il
capitolo non fosse giunto ad un accordo circa l'elezione entro tre mesi, il
diritto di elezione sarebbe passato al Capitolo Metropolitano e i proventi del
terreno nel periodo di vacanza sarebbero stati assegnati ai poveri
dell'Ospedale Nuovo di S. Maria di Milano. Il titolare del beneficio avrebbe
servito i divini uffici nella chiesa di S. Stefano e celebrato tre volte alla
settimana la messa per i defunti all'altare di S. Sofia nella chiesa di S.
Maria in Vimercate, recitando tre orazioni per l'anima di Orrico, di Lanterio
Scaccabarozzi e di Giustamonte Cavazza, canonico di Vimercate e familiare
dell'arciprete. Altri
documenti attestano la presenza dello Scaccabarozzi nel Capitolo di Vimercate.
Nel 1265, il 26 gennaio, assistette all’investitura di Gandolfo Formento e
Giacomo suo figlio di un terreno, effettuata da Guglielmo di Goldaniga voluntate
capituli[110].
Due anni dopo, in data 12 gennaio, acquistò a titolo personale da Guglielmo de
Temono un terreno di undici pertiche, con viti e alberi, giacente in Vimercate
in località “al prato del fu Pietro Alamanni”, altrimenti detta “alle fornaci”
e lo cedette a titolo di livello allo stesso Guglielmo[111]. E' presente inoltre
alla riunione del 5 aprile Il
13 febbraio 1274 Orrico, presenziando alla seduta che si tenne in quel giorno,
diede il suo assenso all’investitura di un terreno effettuata dal preposito
Pietro de Opreno a favore di Boldo de Boldi di Rozenello[115]. Il
3 luglio 1274 assistette alla stesura del documento con il quale il canonico
Manfredo Cavazza stabilì un legato in favore della chiesa di S. Stefano per la
celebrazione delle sue esequie[116]. L'
8 agosto 1276 il capitolo di S. Stefano si riunì per provvedere alle necessità
dell’ospedale di S. Maria ad Morgulam, gravato da molti debiti. I
canonici, tra cui lo Scaccabarozzi, stabilirono all’unanimità che il predetto
ospedale non dovesse accogliere altri frati finché il numero dei frati e
conversi presenti non fosse sceso ad otto o meno e che analogo comportamento
fosse da tenersi nei confronti delle monache e converse[117]. Il capitolo stabilì
inoltre che i fitti e i proventi di due appezzamenti di terreno, siti nel
territorio del borgo, fossero destinati all’acquisto di paramenti, ornamenti,
vasi ed altri utensili per la chiesa e la sacrestia[118]. L'
11 aprile 1277 il preposito Obizzone Bernareggi, preposito di S. Stefano, i
presbiteri Zanone Fedeli, Orrico Scaccabarozzi, Manfredo Cavazza, Pietro
Corrente, Petrazzo de Opreno e i canonici Marchisio Ferrario, Ambrogio Umano,
Giovanni Cassina e Lodorengo de Lambro investirono Filippo di Villanova di un
terreno sito in Rozenello, in località ad Molliam[119]. Nel
1290 Orrico era ancora canonico di Vimercate: un documento di quell'anno
contiene un elenco di pegni depositati a nome del capitolo e tra essi sono
ricordate coppe di sua proprietà[120]. *** L'ultimo
documento in cui compare Orrico Scaccabarozzi porta la data 2 giugno 1293;
l'arciprete morì probabilmente entro l'anno e venne tumolato in S. Francesco
Grande[121].
La
sua tomba fu vista dal Giulini, che ne diede una particolareggiata descrizione,
accompagnata da un disegno[122]: Vi
si mira al di sopra scolpita a basso rilievo l'immagine di un ecclesiastico col
capo scoperto [...]. Sotto al coperchio dell'arca vi si legge la seguente
iscrizione, da cui si raccoglie che dieci anni prima Olrico Scaccabarozzo aveva
fabbricate le scuole ai frati Minori, de' quali era molto divoto, ed avea loro
fatto molti altri beneficj spirituali e temporali: IN
ISTO SEPVLCHRO IACET R. P. D. HENRICVS SCACCABAROZZVS ARCHIPRESBYTER MAIORIS
ECCLESIAE MEDIOLANI QVI FVIT MAGNVS DEVOTVS ORDINIS MINORVM ET ISTIVS CONVENTVS BENEFACTOR NOBIS
CONSTRVXIT ET MVLTA ALIA TAM SPIRITVALIA QVAM TEMPORALIA
VT PIVS PATER CONCESSIT. Sotto
alla iscrizione poi v'è una croce nel mezzo, e due insegne gentilizie ai lati.
Nell'arma posta a destra si vedono tre fasce per lungo; e nell'altra a sinistra
un carro di due ruote, con riparo assai alto all'intorno formato di vimini, e
con alcuni raggi o merli al di sopra. Simili carri da noi chiamansi Barozzi, o
Barozze, e da tal voce ha preso il cognome verisimilmente la famiglia degli
Scaccabarozzi, che ha voluto uno di que' carri nella sua insegna. Mi hanno
raccontato alcuni religiosi di quel convento, che quando fu trasportata la
descritta arca, fu anche aperta, e dentro di essa oltre il corpo del nostro
arciprete, vi si sono ritrovati alcuni altri corpi con armature di ferro,
probabilmente di militi della stessa nobil famiglia […]. Il
coperchio dell'arca portava scolpita l'effige dell'ecclesiastico,
contraddistinta dalle insegne proprie della dignità archipresbiteriale. Un
altro epitaffio è ricordato dal Muratori[123]: Orricus
dictus cognomine Scaccabarozus, Mediolanensis tunc Archipresbyter urbis, arca
de petra jaceo qui clausus in ista, sanctorum studui cum cantu scribere laudes
nomina sunt quorum: Nazarius atque Sophia et Marcellinus, Petrus, Maurilius,
Anna, etc. Il
Muratori afferma che l'epigrafe si trovava nel manoscritto che contiene gli
Uffici scritti da Scaccabarozzi, ma l'assenza della stessa dall'unico codice
noto, il Cap. Metrop. II.F.2.1, fece ipotizzare al Dreves l'esistenza di un
altro testimone forse perduto[124]. Orrico
Scaccabarozzi è autore di diciannove Ufficiature ritmiche per feste di santi,
due Uffici dedicati alla Vergine Maria e destinati alle solennità
dell'Assunzione e della Natività, una Missa pro Terra Sancta[125] composta delle
sole orazioni per il celebrante e prefazio, dodici inni, antifone e responsori,
probabilmente primi lavori in vista di opere cui l'arciprete intendeva
dedicarsi e che non furono portate a compimento o che non ci sono pervenute.
Tutti i testi sono conservati dal codice metropolitano II.F.2.1, tranne
l'Ufficio in onore di s. Olderico, trasmesso da un manoscritto della Biblioteca
Ambrosiana, il codice miscellaneo P 165 sup[126]. 2.1
I manoscritti 1] Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano, II.F.2.1, sec. XIII2 area milanese.
Membr., ff. I-162-I, ff. 1- Sono
riconoscibili le mani di tre copisti[128]: A (ff. 1-134v), gotica
italiana del secolo XIII estremamente regolare, in inchiostro bruno chiaro[129]; B (ff. 135-150v) gotica
italiana dello stesso periodo, in inchiostro nero, vergata con una penna dalla
punta particolarmente larga; C (ff. 151-162r), gotica italiana, in inchiostro
nero, ancora sec. XIII[130], più angolosa rispetto
alle precedenti. Il
fascicolo 14 (ff. 109-110) è aggiunto e non è stato compilato dal copista A, la
grafia sembra piuttosto da accostare a quella della mano C (ff. 151-162),
cronologicamente vicina. Si
incontra frequentemente nel manoscritto una scrittura più corsiva sempre della
stessa mano (= A?), che interviene nei margini e nei fogli lasciati bianchi dal
lavoro di compilazione (tav. I). La tipologia delle aggiunte è estremamente
varia: si va da semplici nota bene o croci apposti nei margini laterali a veri
e propri testi. Sono presenti inoltre rinvii interni e annotazioni che hanno
tutto l'aspetto di progetti redazionali. Il confronto con una sottoscrizione
apposta dallo Scaccabarozzi, come
testimone, a un diploma di Ottone Visconti conferma l'ipotesi che queste
aggiunte siano autografe[131] (tav. II). Tutti i
fascicoli che compongono attualmente il codice devono quindi essere stati
compilati prima della sua morte ed essere stati in suo possesso. La
prima sezione del manoscritto (fasc. 1-12, mano A) sembra essere stata
concepita come una compilazione unitaria; doveva presentare originariamente una
sola intestazione iniziale, di cui si conserva traccia nel margine superiore di
f. lv, e l'explicit di f. 102v: "Explicit liber officiorum quem
compillavit dominus Orricus Scacabarocius sancte Mediolanensis ecclesie
archipresbiter et prepositus basilice apostolorum seu ecclesie sancti Naçarii
in Brolio Mediolani". I fascicoli 13-17 (A), 18-19 (B) e 20 (C) contengono
ciascuno l'Ufficio per una sola festività.
Notazione
musicale ambrosiana a punti collegati ai ff. 1-134 (stessa mano del testo).
Tetragramma con linea del Do in giallo e linea del Fa in rosso, chiave di Do e
di Fa, il Si bemolle è segnalato da una linea rossa, custos sempre indicato. L'ultimo
fascicolo (mano C) presenta una grafia musicale perfettamente quadrata, su
tetragramma a linee rosse[132]. 1] ff. 1r-7v, Officium s.
Galdini (AH XIVb, 163; 183-186; 245)[133] 2] ff. 7v-14r, Officium
s. Barnabae (AH XIVb, 163; 186-189; 245-246) 3] f. 14v, Hymnus s.
Barnabae (AH XIVb, 164) 4] f. 14v, Hymnus s.
Iohannis apostoli et evangelistae (AH XIVb, 164), Alius hymnus in eodem festo (AH XIVb, 164) 5] f. 14v, Hymnus de s. Thecla (AH XIVb,
165) 6] f. 15r, Hymnus s. Mathei apostoli et
evangelistae (AH XIVb, 166) 7] f. 15r-v, In s. Petro martyre, hymnus (AH
XIVb, 166) antiphona ad Magnificat (AH XIVb, 154), responsorium
(AH XIVb, 155) 8] f. 15v, Hymnus s. Margaritae (AH XIVb,
167), Prefatio de s. Margarita
(inedito) 9]
f. 15v, In ss. Nabore et Felice antiphonae (tre, di cui solo la prima
edita in AH XIVb, 156) 10] f. 15v, In s. Victore
antiphona (inedita) 11] ff. 16r-22v, Officium
ss. Naboris
et Felicis (AH XIVb, 167-68; 189-92; 246-47) 12] ff. 23r-29v, Officium
s. Annae (AH XIVb, 168-69; 192-95; 247) 13] ff. 29v-35v, Officium
s. Perpetuae (AH XIVb, 169; 195-97; 248) 14] ff. 35v-43r, Officium
Assumptionis Beatae Mariae Virginis (AH XIVb, 170; 198-200; 248-49) 15] ff. 43v-50r, Officium
Nativitatis Beatae Mariae Virginis (AH XIVb, 170- 71; 201-203; 249-50) 16] f. 50v, Hymnus in
Annuntiatione sanctae Mariae (AH XIVb, 171) 17] f. 50v, Hymnus s. Quirici (AH XIVb,
171) 18]
f. 50v, In ss. Nabore et Felice antiphona (AH XIVb, 156, è la
stessa che compariva, senza melodia, a f. 15v) 19] ff. 51r-58r, Officium
s. Maurilii (AH XIVb, 172-73; 204-206; 250-51) 20]
f. 58r-v, Missa pro Terra Sancta (Tamborini,
La Messa, 99) 21]
f. 58v, In s. Nazario, in vesperis, antiphona in choro (AH XIVb,
156) 22]
f. 59v, Prefatio in s. Francisco[134] 23] ff. 59r-66v, Officium
s.Sophiae (AH XIVb, 173-74; 207-209; 251) 24] ff. 66v-73v, Officium
sanctarum undecim milium virginum (AH XIVb, 174; 210-12; 251-52) 25] ff. 73v-81v, Officium
omnium sanctorum (AH XIVb, 174-75; 213-16; 252- 53) 26] ff. 82r-90r, Officium
Beati Eustachii (AH XIVb, 175; 216-19; 254) 27] ff. 90r-95v, Officium
s. Clementis (AH XIVb, 175-76; 219-22; 254-55) 28] ff. 95v-102r, Officium
beatae Luciae (AH XIVb, 176; 222-25; 255-56) 29]
f. 102v, Responsorium s. Petri et Pauli (AH XIVb, 226, dove è
applicato ai ss. Marcellino e Pietro) 30]
f. 102v, In s. Laurentio antiphona (inedita) 31] f. 102v, In ss. undecim
milibus virginibus responsorium (inedito) 32]
f. 102v, <In festo Ascensionis> antiphona (inedita) 33] f. 102v, In s.
Gaudentio responsorium et antiphona (Liber notitiae, 150B) 34]
f. 102v, In s. Maria Magdalena, responsorium (Liber notitiae,
237A) 35] f. 102v, In omnibus
sanctis, antiphona (AH XIVb, 228), hymnus (AH XIVb, 253) 36] ff. 103r-108v, Officium
omnium Apostolorum (AH XIVb, 225-28; 256), f. 109r, Hymnum "Apostolorum
omnium" (AH XIVb, 176), f. 109r-v, Officium
omnium Apostolorum: orationes (inedite) 37] f. 110r, Lauda Syon
salvatorem[135] (AH XIVb, L 584) 38] ff. 111r-117v, Officium
beatae Margarite (AH XIVb,
167; 228-30; 257) 39] f. 117v-118r, In s.
Quirico, ad vesperum, antiphona (AH XIVb, 157) hymnus (AH XIVb, 171), responsorium
(AH XIVb, 157) 40] f. 118r, In ss. Petro
et Paulo, ad Vesperum, ant. in choro (inedita) 41] f. 118v, Hymnus s.
Cristofori (AH XIVb, 177) 42] ff. 119r-124v, Officium
s. Silvestri (AH XIVb, 177; 231-33; 258) 43]
f. 124v, In ss. Nabore et Felice, antiphona in choro (AH XIVb,
156) 44]
ff. 125r-126r, I due fogli contengono
stesure di prova di brani che sono poi in parte confluiti nell'Officium
omnium Apostolorum di ff. 103r-108v (sono editi solo i testi accolti nella
redazione definitiva). 45]
f. 126v, Gloria Patri 46]
f. 126v, <In s. Iohannis archiepiscopi> responsorium (variante di AH XIVb, 239) 47]
f. 126v, In s. Margarita antiphonae (inedite) 48]
f. 126v, Sequentia omnium sanctorum (AH XIVb, 253) 49]
ff. 127r-134v, Officium sanctorum martirum Marcellini et Petri (AH XIVb,
178- 233-36; 258-9) 50] f. 134v, Epistola domino Comiti Casati (AH
XIVb, 158-59) 51] ff. 135r-142v, Officium
sanctae Eugeniae (AH XIVb, 179; 136-39; 159-60) 52] f. 142v, Ymnus s. Bernardi (AH XIVb,
179-80) 53]
ff. 143r-150r, Officium s. Iohannis archiepiscopi Mediolanensis (AH XIVb, 180; 239-42; 260) 54]
f. 150v, Antiphona (solennità non identificata, inedita) 55]
f. 150v, In s. Laurentio antiphonae (inedite) 56]
ff. 151r-162r, Officium beatae Ursulae ("more romano", si veda
AH XIVb, 174; 210-12; 251-52) 57]
f. 162v, In beata Virgine Maria, antiphona (inedita) Il manoscritto fece il suo ingresso nella Biblioteca del Venerando
Capitolo del Duomo di Milano nel 1850. Il codice apparteneva alla biblioteca di
mons. Gaetano Oppizzoni, donata alla Biblioteca Capitolare dopo la sua morte[136]. Dal Catalogo de'
libri acquistati dal fu monsignor arciprete Oppizzoni apprendiamo che il
manoscritto era stato acquistato in data 23 gennaio 1823 "da donna M.a
Arrigoni nata Manzoni, erede del fu mons. Antonio Manzoni, suo fratello"
insieme ad altri cinque volumi[137]. Nel
"Catalogo" il codice è registrato come Orricci Scaccabarotti
Liturgica, e lo stesso titolo compare sul tassello che troviamo sul dorso
della cassetta in cui il manoscritto è conservato. Il Dreves consultò il
manoscritto presso l'abitazione di mons. Angelo Meraviglia Mantegazza, allora
Vicario Generale per la Diocesi di Milano, e afferma che in quel periodo il
codice portava Quasi nulla siamo in grado di sapere di ciò che accadde nel periodo che
separa la stesura del codice dal 1823, anno in cui entrò a far parte della
collezione di mons. Oppizzoni. Sempre il Dreves riporta alcune informazioni
tratte dall'Argelati[140] tra cui un passo del
Muratori secondo il quale il codice si trovava allora nella Biblioteca del
Capitolo Metropolitano. Questi, nella Dissertazione sul rito ambrosiano[141], si sofferma a trattare
dell'opera dello Scaccabarozzi ed afferma: Postremo tandem loco monebo Ambrosianum Officium multa debere Orrico,
sive Olrico Scaccabarozzio, qui in ejusdem Metropolitanae Bibliothecae
Codice appellatur ecclesie majoris Mediolanensis archipresbyter et
praepositus Basilicae Apostolorum, sive Sancti Nazarii in Brolio Mediolani.
Is enim anno 1280, uti ex eodem Codice constat, multa officia sanctorum tam
in dictamine, quam in cantu compilavit. Leguntur ibi eadem officia, ut ex
ipsius auctoris epitaphium, nempe: Orricus
dictus cognomine Scaccabarozzus Mediolanensis tunc archipresbyter Urbis, arca
de petra jaceo qui clausus in ista, sanctorum studui cum cantu scribere laudes,
nomina sunt quorum Nazarius atque Sophia et Marcellinus, Petrus, Maurilius,
Anna, etc. Poco più avanti il Muratori menziona una lettera a Conte Casati e un
ritratto dell'autore, contenuti nello stesso manoscritto. La lettera al
cardinale Casati non oppone alcuna difficoltà, ma Dreves, non trovando
all'interno del codice che stava consultando né l'epitaffio che il Muratori
dice avervi letto, né il ritratto dello Scaccabarozzi, pensò che all'epoca
dovesse esistere un altro testimone della medesima opera. Un ritratto di Orrico
che potrebbe corrispondere alla descrizione datane nelle Antiquitates si
trova in un fascicolo dell'Ambr. P 165 sup, ma dell'epitaffio e della data
1280, riferita sempre dal Muratori, ancora nessuna traccia. Potemmo ipotizzare
la perdita di uno dei fascicoli che componevano allora il Liber, sul quale
dovevano trovarsi i due dati che non hanno riscontro tra quelli attualmente
noti[142]. Non si tratta certo di
un'eventualità remota, soprattutto nel caso in cui il manoscritto sia stato
trasferito da un luogo a un altro. L'Argelati lamenta del resto l'impossibilità
di consultare il manoscritto translatus alio loco, e aggiunge alcuni
dati interessanti: Officia sanctorum, ex codice Bibliothecae Metropolitanae olim sign. B num. Non è nota la fonte da cui trasse questa segnatura, che non appartiene
alla Biblioteca Capitolare, ma somiglia a segnature della Biblioteca
Ambrosiana. La Biblioteca del Capitolo conserva ancora alcuni antichi inventari
e in essi abbiamo provato a cercare il nostro Liber. Un'indice
posteriore al 1783[144] non registra nulla che
possa essere avvicinato all'opera di Scaccabarozzi e conferma quindi quanto
affermava l'Argelati. Un'indizio più interessante viene però dall'Index
librorum compilato nella seconda metà del Cinquecento da Alessandro
Maggiolini[145]:
vi sono registrate le Costitutiones che dovevano essere rilegate con il Liber
Officiorum, se la notizia data da Argelati nel passo citato sopra è
attendibile. 2] Milano, Biblioteca Ambrosiana, P 165 sup., misc. sec. XIII-XV, membr. ff. II-41-II. Il codice è fattizio, composto da sei unità
mutile, provenienti da manoscritti di diverso argomento ed epoca[146], delle quali la seconda
contiene l'Ufficio per s. Olderico, composto dallo Scaccabarozzi. ff. 1r-21v <Martirologio milanese>
, acefalo ff. 22r-29v <Orrico
Scaccabarozzi, Officium beati Odelrici> Incipit offitium
beati Odelrici quod compillavit dominus Orricus Scacabarotius Mediolanensis
Ecclesie arcipresbiter tam in dictamine quam in cantu. f. 30r-v <Ugo
da San Caro, Expositio regulae beati Augustini> Incipit
expositio regule beati Augustini episcopi edita a venerabili doctore Ugone
cardinali de ordine fratrum predicatorum. ff. 31-35 <Pontificale (frammenti)> ff. 36-39 <Antiphonarium ambrosianum
(frammento)> ff. 40-41 <Sacramentarium ambrosianum
(frammento: messa per il vescovo locale)> Fascicolo
24 (ff. 22-29)[147], mm. 277 x 185 (215 x
145), rigatura a piombo, 52 righe per foglio; il numero di linee di testo per
foglio è legato all'alternarsi di brani con melodia e testi privi di musica;
notazione musicale ambrosiana a punti collegati, tetragramma con linea del Do
in giallo e linea del Fa in rosso, chiave di Do e di Fa, custos sempre
indicato. Il fascicolo presenta le stesse caratteristiche dei fascicoli 13-17
del codice Metropolitano e la sua realizzazione è da attribuirsi al copista A.
Anche nei margini di questi fogli è possibile riconoscere la mano dello
Scaccabarozzi. L'ultimo foglio del fascicolo è ornato da un suo ritratto, in
cui è raffigurato nell'atto di offrire a s. Odelrico la propria opera[148]. Legatura
ottocentesca in pergamena su cartone, cornice impressa in oro con motivi
vegetali. Rimane ignota la provenienta dei frammenti che compongono il codice. 2.2
Le Ufficiature ritmiche Presentando
le composizioni dello Scaccabarozzi, Dreves affrontò alcune delle questioni
relative alla composizione del Liber: non precisò il periodo in cui
poteva essere collocata l'attività poetica dell'arciprete, ma intuì che gli
Uffici dovevano essere destinati a chiese particolari[149]. A sostegno della sua
opinione basterebbe ricordare che l'uso delle Ufficiature ritmiche era del
tutto estraneo alla tradizione ambrosiana, mentre le stesse godevano di
particolare favore presso gli Ordini mendicanti[150]. Proprio per questo
motivo Huglo pensò che lo Scaccabarozzi avesse ricevuto suggerimento alla
propria opera dai Frati minori[151], con i quali intrattenne
sempre rapporti cordiali[152]. La vicinanza
all'ambiente dei nuovi Ordini, presenti da tempo anche nella città di Milano[153], poté influire sulla
scelta di un genere non tradizionale, ma le motivazioni che spinsero
l'arciprete ad impugnare la penna per cantare le lodi della Vergine e dei santi
andranno indagate caso per caso. Gli
Uffici sono composti secondo la struttura tipica della Liturgia delle Ore
ambrosiana e comprendono antifone, responsori con relativi versetti, inni e
orazioni[154]
per le ore canoniche di Vespro, Vigilie, Mattutino. La stessa osservazione può
essere estesa alle Messe, in cui sia i canti, sia le orazioni presentano le
rubriche tipiche del rito ambrosiano: ingressa, oratio super populum,
psalmellus, versus in alleluia, post Evangelium[155], oratio super
sindonem, offerenda, oratio super oblatam, prefatio, confractio,
transitorium, oratio post comunionem. Alcune festività hanno
anche le parti proprie dei Secondi Vespri[156]. Tutti i testi poetici
(antifone, responsori, inni e canti per la messa) sono accompagnati da melodia,
che Scaccabarozzi dichiara sempre originale: "composui tam in dictamine
quam in cantu"[157]. Nelle sue composizioni,
non solo negli inni, per i quali rappresentava una scelta a dir poco obbligata,
Orrico mostra di prediligere il verso di otto sillabe, con cadenza
proparossitona o parossitona. Impiegato in brani di dimensioni variabili - si
va dai 3 versi di alcune antifone ai 12 del transitorio della messa per s.
Maurilio- è talvolta alternato a versi di sette e nove sillabe, raramente a
versi di lunghezza inferiore o superiore; frequente è anche lo schema che vede
alternati versi di sette e sei sillabe, con cadenza rispettivamente
proparossitona e parossitona. I versi di otto sillabe parossitoni compaiono
generalmente in unione a versi di altro tipo, principalmente versi della
medesima lunghezza a cadenza proparossitona. I
brani sono composti prendendo come riferimento le leggende dei santi e le passiones
dei martiri[158], come l'autore stesso
spiega nelle due lettere rivolte a Conte Casati e al preposito Michele. Nella
prima gioca con il proprio cognome, vedendo in esso un segno della vocazione di
scrittore spirituale - il baroccio da scaricare è in questo caso "birotam
scripture duorum testamentorum, scilicet veteris ac novi"- ed elenca le
fonti cui ha attinto per comporre il libello che offre all'amico: oltre ai
testi sacri i libri dei padri e la leggenda dei santi Marcellino e Pietro che,
dichiara, "spoliavi, ex ipsis velud spolia decerpens auctoritates seu
earum sententias congruas materie de qua fueram tractaturus, nec non de ipsa
legenda quam plurima assummens notis digna, que ad commendationem ipsorum
martirum facere non inmerito videbantur"[159]. Scrivendo a Michele,
Orrico afferma di essersi impegnato nella composizione dell'Ufficio per
s.Olderico confidando nella misericordia di Dio più che nelle proprie forze e
cercando nella leggenda del santo poche cose tra le molte che lo rendono
venerabile e intrecciandole nella "ystoria" che gli è stata
commissionata[160].
Talvolta Scaccabarozzi non compone ex novo i brani per una nuova
Ufficiatura, ma riutilizza versi suoi, già impiegati in un altro ufficio. I
brani che maggiormente si prestano ad essere impiegati in diverse solennità
sono naturalmente quelli il cui contenuto presenta meno legami coi dati
biografici del santo cui è dedicato l'Ufficio. Si tratta di invocazioni,
richieste di intercessione e aiuto, brani che invitano a celebrare solennemente
la festa di un santo; un gruppo nutrito è composto da testi in cui i santi
dedicatari vengono presentati con attributi piuttosto generici, come militi,
che le più atroci sofferenze non possono costringere a rinnegare la propria
fede, e ai quali Cristo garantisce la vittoria, accogliendoli nel regno dei
cieli. Un altro fattore che può favorire il passaggio di testi tra Ufficiature
diverse è costituito dalla presenza di tratti comuni o affinità nelle vicende
biografiche dei santi dedicatari: evidenti punti di contatto presentano ad
esempio gli Uffici per s. Eugenia e s. Margherita, entrambe vergini e martiri,
o gli Uffici per s. Galdino, s. Silvestro, s. Giovanni vescovo e s. Olderico,
vescovi e confessori. Alcuni testi vengono riutilizzati integralmente per una
seconda solennità, senza alcuna modifica e conservando la stessa funzione che
avevano nell'Ufficiatura di origine: sette sono antifone generiche e due
responsori con relativo versus; nei rimanenti ventiquattro casi ci
troviamo di fronte a un invitatorio, tre antifone ad crucem, un'antifona
in choro, un graduale (e relativo versus), un'offerenda,
due confractiones, tre transitoria e undici antifone che precedono i cantici di
vespro, mattutino e lodi (Magnificat, Benedictus, Benedicite,
Laudate). Si tratta nel complesso di testi tematicamente condizionati
dalla posizione che occupano, per la vicinanza di un cantico, o dall'azione
liturgica che accompagnano: offerta, frazione, comunione. Non è esclusa inoltre
la possibilità di impiegare lo stesso testo all'interno del medesimo Ufficio in
ore canoniche diverse, uso ampiamente documentato dai libri liturgici
ambrosiani, ma al quale lo Scaccabarozzi ricorre solo di rado: nell'Officium
sanctae Sophyae et filiarum eius otto delle dodici antifone ad
Psallentium compaiono già a Vespro, Vigilia e addirittura nello stesso
mattutino, la psallenda in baptisterio che segue il canto del Magnificat
torna anche dopo il Salmo 116 (Laudate) e il versus del resp.
cum infantibus è riutilizzato come versus in alleluia. Lo stesso
fenomeno compare, in misura ancora più ridotta, nell'Ufficio per s. Barnaba,
dove incontriamo la stessa antifona a Vespro e Mattutino (ad Psallentium) [161]. Gli
Uffici in onore dei santi Nabore e Felice, Pietro e Marcellino e Olderico sono
invece composti secondo il rito romano e presentano quindi una divisione delle
Ore canoniche leggermente diversa: Vespro, Mattutino (costituito dal salmo
invitatorio con relativa antifona e inno), Primo notturno, Secondo notturno,
Terzo notturno, Lodi, Secondi vespri. I canti della messa hanno le rubriche: introitus,
graduale (o responsorium graduale), alleluia, offerenda,
communio; mentre le orazioni sono indicate con oratio (senza
alcuna specificazione indica la prima orazione del celebrante e corrisponde
alla super populum ambrosiana), secreta o secretella
(orazione sulle offerte) e post comunionem. La scelta di comporre
secondo il rito romano, che potrebbe apparire strana da parte di un esponente
della chiesa milanese, è pienamente giustificata dalla destinazione di questi
Uffici: l'Ufficio in onore dei martiri Pietro e Marcellino è composto dallo
Scaccabarozzi come omaggio al cardinale Conte Casati, ormai personaggio della
curia romana, quello per s. Olderico è scritto per gli Umiliati pavesi. Nessuna
indicazione precisa possediamo invece per l'Ufficiatura in onore dei santi
Nabore e Felice, ma uno spunto può venire dai testi della prima antifona ai
secondi Vespri "Gaudeant fratres Minores/ crucifixi zelatores/ hospites
facti sanctorum/ martyrum et confessorum"[162] e del graduale della
messa "Data sanctorum corpora/ sunt martirum martiribus/ minoribus
divinitus/ custodienda fratribus/ dure vite martirium/ libenter amplexantibus/
ut servi Cristi humiles/ honorent sibi similes"[163]. I Francescani milanesi
divennero hospites sanctorum martyrum et confessorum nel 1256, quando fu
loro affidata la basilica dei Ss. Nabore e Felice, in cui erano custodite le
reliquie dei martiri, chiesa che, ingrandita,
mutò poi il suo nome in S. Francesco Grande e nella quale fu sepolto lo
stesso Scaccabarozzi. Potremmo immaginare che in questa importante circostanza
essi abbiano chiesto all'arciprete di comporre un Ufficio che celebrasse
l'evento o che Orrico abbia loro offerto
una sua opera pensata per l'occasione. Anche i Frati Minori, come gli Umiliati,
conservavano la liturgia romana all'interno della diocesi milanese e la
struttura dell'ufficio si conforma alla loro tradizione. L'Ufficiatura in onore
di s. Orsola e delle undicimila vergini martiri è presente in doppia redazione,
more ambrosiano ai ff. 66v-73v e more romano ai ff. 151r-162r.
Reliquie delle sante undicimila vergini martiri erano state riposte nel 1272
dal vescovo di Accia Imerio Mariani nell'altare di S. Maria di Vimercate e la
cerimonia potrebbe avere offerto all'arciprete che vi prese parte uno spunto a
comporre. Più difficile è invece capire per quale motivo l'Ufficio sia stato
rielaborato secondo i due riti. Un suggerimento potrebbe venire dalle
caratteristiche paleografiche del fascicolo che trasmette la versione
"romana": l'uso della grafia musicale quadrata, del tutto sconosciuta
alla tradizione milanese, potrebbe orientare verso una realizzazione
francescana del fascicolo che, collocato originariamente in un'altra raccolta,
sarebbe poi stato rilegato insieme ai rimanenti. Anche questo fascicolo
conserva tracce autografe dello Scaccabarozzi. Per
quanto riguarda le rimanenti Ufficiature possiamo osservare che lo
Scaccabarozzi scelse come soggetto per la propria poesia santi che, pur
venerati a Milano, non appartenevano al canone del santorale ambrosiano. La
cattedrale milanese, custode di un rito antico e venerabile di cui particolare
depositario era il Capitolo Metropolitano, non aveva certamente bisogno di
nuove composizioni per solennità entrate da tempo nel calendario liturgico o
per feste di santi il cui culto aveva radici remote nella storia della chiesa
ambrosiana. Diverso poteva essere il caso di feste di nuova istituzione e
questo spiegherebbe anche perché alcune composizioni dell'arciprete siano
entrate nei libri liturgici ufficiali e vi siano rimaste a lungo, alcune fino
ai nostri giorni, nonostante i continui tentativi di riforma[164]. Abbiamo
visto come quattro ufficiature - s. Sofia, s. Galdino, s. Barnaba e s. Anna-
siano ricordate tra le condizioni poste dall'arciprete in due suoi legati alla
chiesa di S. Stefano di Vimercate, mentre altre due, quelle per i ss.
Marcellino e Pietro e per s. Olderico sono accompagnate da lettere dell'autore
che permettono di conoscere il motivo per cui furono composte. Un'ultima
indicazione proviene dalla rubrica del Codice Metropolitano in cui lo
Scaccabarozzi dichiara la propria volontà di offrire il libello in onore di s.
Eugenia alla chiesa di S. Maria Podone, dove la santa era tenuta in particolare
venerazione[165].
Per quanto riguarda le altre Ufficiature non possediamo informazioni precise,
ma potremmo immaginare che anche in questi casi l'arciprete operasse in
risposta ad esigenze precise e le motivazioni che lo portarono a concepire ogni
singola opera potrebbero quindi essere cercate nei particolari della vita
dell'autore. Il
Liber non può essere considerato una raccolta organica, concepita
secondo un disegno unitario: ciascuna delle Ufficiature ritmiche contenute nel
codice metropolitano, come anche quella conservata dall'Ambr. P 165 sup.,
devono essere considerate opere autonome, realizzate in momenti distinti e
successivamente raccolte nel manoscritto che le conserva. Le indicazioni
fornite dalle rubriche del manoscritto, pur nella loro esiguità, hanno permesso
agli studiosi di collocare la composizione delle Ufficiature in un periodo
compreso tra gli anni ottanta e novanta del secolo XIII, nell'ultimo decennio
di vita dell'autore. Il Muratori pensò al 1280, stando a quanto indicato nel
manoscritto stesso[166], e lasciandosi guidare
dalla rubrica di f. 135v Huglo[167] ritenne che alcuni dei
canti dovessero essere stati composti nel 1286, mentre al periodo 1281-1288 fa
riferimento Tamborini[168]. Se i dati provenienti
dalle epistole dell'arciprete si inserivano pienamente all'interno del decennio
proposto, quasi a confermarlo, il riferimento ad alcuni di questi Uffici nei
testi delle donazioni effettuate dallo Scaccabarozzi a favore della chiesa di
S. Stefano in Vimercate permettono di rivedere in modo significativo la
cronologia del Liber Officiorum, ampliando notevolmente il periodo in
cui dev'essere collocata l'attività poetica dell'arciprete. Accostando
tutte le informazioni in nostro possesso otteniamo cinque riferimenti
cronologici, nel seguente ordine: ante 21 dicembre 1274 composizione dell'Ufficio per s.
Sofia[169] ante 8 agosto 1276 composizione degli Uffici per s.
Barnaba, s. Anna e s. Galdino[170] circa 12 aprile 1281 composizione dell'Ufficio per i ss.
Marcellino e Pietro[171] ante 23 giugno 1282 composizione dell'Ufficio per s.
Olderico[172] ante 1286 composizione dell'Ufficio per s. Eugenia[173]. Il
1256, anno in cui la basilica naboriana passò ai Francescani, può esser
considerato terminus post quem per la composizione dell'Ufficio in onore
dei martiri Nabore e Felice. L'opera dello Scaccabarozzi non verrebbe quindi a
concentrarsi in un periodo limitato della maturità dell'arciprete, ma si
distenderebbe in modo più ampio lungo l'arco della sua vita. Le altre
Ufficiature presenti nel codice metropolitano non offrono purtroppo appigli che
permettano di formulare più che ipotesi di lavoro. L'abitudine dello
Scaccabarozzi di reimpiegare materiale già composto in nuovi Uffici, insieme
alla tendenza a lasciare tracce di questo lavoro sui margini del manoscritto,
permette di riconoscere una rete di rapporti interni tra le composizioni e
potrebbe rendere possibile la ricostruzione di una cronologia relativa. Appendice I Cartula prebendae domini Onrici Scacabarotii La cartula contiene
l'elenco dei terreni che costituiscono la prebenda di Orrico Scaccabarozzi,
canonico di S. Stefano in Vimercate. Milano, Archivio di Stato, Perg., cart. 611, n° 160: non datata, copia del sec. XIII1; mm. 230 x 150, non rigato, la pergamena presenta alcuni fori dovuti alla concia. Nel verso, di mano del sec. XVII: “secolo XIII”, cui segue, di mano del sec. XIX: “ n. 160. Nota bonorum Prebendae domini Scacabarotii”. In
nomine Domini. Cartule prebende domini Onrici Scacabarotii. In
primis petia I terre que dicitur in clauso Salomon pertice XIII et facit staria
XIII sicali et panici per medietatem Regordus Reguzus. Item
pertice X terre in Marcusate quam vendidit Marcadus de Morgula pro libris
XVIIII et solidis XVII, et cui est a mane et a monte Manfredi de Merate, a
meridie via, a sero in se reservatum in parte heredum Martini de Raporta. Item
in Barazia petie II terre cum vitibus intus. Item
in Barazia pertice V terre. Item
in Sabionera pertice IX terre cum vitibus, cui est a mane Iacobi de Gradi et in
parte Guillelmi de Gera, a meridie Frugerii Paste et in parte Zanebelli
Rustigi, a sero Iacobi de Meda, a monte Scotti de Belusco. Item
in Sabionera pertice I et medium cum vitibus, cui est a mane et a monte via, a
meridie Suzonis de Belusco, a sero Berardi Pizapochi. Item
in Barazia petia I cum vitibus pertice XII cui est a mane et a meridie Mafei de
Leuco, a sero Orentis de Pissina, a monte via. Item
in Soltina pertice VI cum vitibus modio I et medium vini Bezonus Currens. Item
in Soltina pertice III et tabule XVIII. Item
in Soltina pertice VI et tabule I. Item
in Tresolzo pertice V et tabule XV in Albarotis staria XVIII et caponus I. Item
in territorio de Belusco super vallem de Amezago pertice VIIII cum vitibus. Item
in Caponago ad Boschetum petia I cum vitibus et est pertice XII. Item
in Albaro petia I pertice V et tabule IX, ficta staria XVIII et medium vinum et
caponi II et ova XII[174]. Item
ad Rigeranum petia I pertice IIII et medium.
II 1274 dicembre 21 Donazione di Orrico Scaccabarozzi al Capitolo della
chiesa di Vimercate, in onore delle sante Sofia e figlie Orrico
Scaccabarozzi dona alla chiesa di S. Stefano in Vimercate una vigna sita nel
territorio dello stesso borgo, in località Cerredo e dispone che i proventi
della stessa vengano distribuiti annualmente nel giorno di S. Sofia, dopo la
sua morte, ai canonici, cappellani e custodi della chiesa, dietro l'obbligo
della recita dell'Ufficiatura composta dallo stesso Scaccabarozzi in onore di
s. Sofia e delle figlie Fede, Speranza e Carità. Milano, Archivio di Stato, Perg., cart. 613, n° 530, copia coeva; mm. 580 x 560, rigato a piombo; la pergamena è danneggiata lungo il margine sinistro e presenta una mutilazione nell'angolo superiore destro. I danni rendono necessaria l'integrazione di alcune lettere o sillabe, ma non ostacolano la lettura del documento. Nel margine destro alcune croci tracciate in inchiostro bruno. Sul verso, di mano del sec. XVI: “legatum domini Orici Schachabarozii”, cui segue di mano del sec. XVII: “In Ceredo […]” e di mano del sec. XIX: “n. 530 1274 21 decembris. Instrumentum donationis unius petiae terrae sitae in Territorio Vicomercati ubi dicitur in Ceredo factae Ecclesiae S. Stephani Vicomercati a d. Orico Scacabarotio Archipresbitero Mediolanensis Ecclesiae, Praeposito S. Nazarii in Brolio Mediolani ac Canonico dictae Ecclesiae S. Stephani Vicomercati cum oneribus, ut in hoc instrumento recepitum per Honricum et Gulielmum Fratres de Hostiolo Mediolani Notarios”. (S.T.)
In nomine Domini. Anno a nativitate eiusdem millesimo ducentesimo septuagesimo
quarto, die veneris vigesimo primo decembris, indictione tertia. In
canonica Mediolani, presentibus Guidone de Concessa can[o]nico[175] ecclesie de Pontirollo
et Alcherio, filio quondam domini Arderici de Osa, et presbitero Guilielmo
benefitiali ecclesie sancti Vicentii ad Setaram et Guilielmo Scarpa custode
Ecclesie Mediolanensis et Giramo de Carugo clerico, testibus rogatis, et
presentibus Honrico et Guilielmo fratribus, dictis de Ostiollo, notariis. Venerabilis
et discretus vir dominus Orricus Scacabarozius, filius quondam domini Alghisii
Scacabarozii archipresbiter […][176] ecclesie, prepositus
ecclesie Sancti Nazarii in Brollio Mediolani ac canonicus ecclesie Sancti
Stephani de Vicomercato Mediolanensis diocesis, cupiens predictam ecclesiam de
Vicomercato reverenter honorari ad honorem De[i][177], Genitricis eius et
beatarum Sophie, Fidei, Spei et Caritatis filiarum eius et martirum, reservatis
in se fructibus infrascripte vinee donec vixerit, remitens singulas causas
ingratitudinis a presenti die et hora, f[…][178] et facit donationem
inter vivos, sub infrascriptis pactis et conditionibus et alias non erat
donaturus, in Iustamontem Cavazam canonicum ipsius ecclesie recipientem suo
nomine et nomine ipsius ecclesie et capituli eiusdem et prepositi et
canonicorum ipsius et per eum dictis preposito, canonicis et capitulo et
ecclesie de Vicomercato: nominative de petia una vinee iacente in territorio dicti burgi ubi dicitur
in Cerredo et est perticae [...][179] vel id circa, cui est a
mane dicte ecclesie de Vicomercato, a meridie via, a sero et a monte Hospitalis
Sancti Iohannis de Vicomercato; quam petiam vinee idem dominus archipresbiter
emit a domina Gieroviso relicta quondam Pizi Currentis et a Belforte, dicto
Rubeo, filio ipsius quondam Pizi, ut constat per publicum instrumentum traditum
et subscriptum per Lombardum filium quondam Leonis de Leuco de burgo Vicomercato
notarium[180]
ac missum regis et scriptum per Bonum filium dicti Lombardi millesimo
ducentesimo septuagesimo quarto, die dominico vigesimo octavo die octubris,
indictione tertia, tali pacto et conditione et alias idem donator non erat
donaturus, quod prepositus et canonici ipsius ecclesie et capellani constituti
in capellaniis dominorum quondam Azonis Gualmaxii ipsius ecclesie canonici et
Guilielmi de Goldaniga ipsius ecclesie prepositi et Arecordi Aicardi Arzuffi et
custodes ipsius ecclesie, qui pro
temporibus fuerint in dicta ecclesia et in capellaniis predictis, teneantur et
debeant post obitum ipsius donatoris, omni anno cellebrare festum sancte Sophie
et sanctarum Fidei, Spei et Caritatis martirum et virginum, filiarum eius,
ultimo die septembris, et facere in ipso festo offitium compilatum ab ipso
domino Orrico archipresbitero tam in prosa quam in cantu ad honorem predictarum
sanctarum, secundum ordinem infrascriptum, videlicet: quod in vigiliis ipsarum
sanctarum fiant vespere et vigilie, in festo autem sequenti die fiat matutinum
et, cantata hora tertia in ecclesia Sancti Stephani ipsius burgi, fiat
salentium[181]
ab ipsa ecclesia Sancti Stephani processionaliter ad ecclesiam Sancte Marie
ipsius burgi et in ipsa ecclesia Sancte Marie ad altare Beate Virginis sive ad
altare sancte Sophie, si altare ad honorem ipsius fuerit hedifficatum in dicta
ecclesia, celebretur missa cum diacono et subdiacono, per predictos[182] prepositum, canonicos,
capellanos[183]
et custodes ipsius ecclesie et in
omnibus predictis vesperis, vigiliis, matutinis, salentio et missa cantetur et
dicatur per seriem offitium dictatum et compillatum ab ipso domino
archipresbitero, quod sic incipit: "ad vesperum lucernarium o glorio[s]a[184] femina et cetera".
Hoc acto et dicto per pactum, quod fructus ipsius vinee perveniant et pervenire
debeant in illum vel illos qui fuerint electi per prepositum et capitulum
ipsius ecclesie ad dispensandum annualia ipsius ecclesie, [s]tatuens[185] et ordinans dictus
donator quod de fructibus ipsius terre fiant quatuor partes semper, prima
quarum dividatur inter prepositum, canonicos, capellanos et custodes[186] predictos tantum
qui interfuerint et fecerint predictum
officium in predictis vesperis. Nam si contingeret aliquo casu quod dicte
vespere non fierent per eos, tunc dicta pars perveniat in secrestiam (sic)
ipsius ecclesie ad emendum oleum quod ardi debeat in cicindellis ipsius
ecclesie Sancte Marie. Secunda pars distribuatur per predictos distributores
annualium inter predictos prepositum, canonicos, capellanos et custodes qui
interfuerint et fecerint predictum offitium ad vigilias; et si predictum
offitium ad vigilias non fieret per eos, tunc predicta secunda pars veniat in
predictam secrestiam ad emendum oleum ardendum ut supra. Tertia vero pars per
eosdem distributores inter predictos qui interfuerint et fecerint dictum
offitium in dicto matutino; et si dictum offitium in matutino predicto, aliquo
casu veniente[187],
tunc illa pars que distribuenda foret, si officium non[188] fieret, veniat in
predictam secrestiam ad emendum oleum ardendum in predictis cicindellis ut
supra. Ultima vero pars dividatur[189] inter predictos[190] per dictos distributores
qui interfuerint et fecerint predictum offitium in hora tertia et in sallentio
et missa predictis, quod si predictum offitium aliquo casu non cantaretur sive
non fieret in predictis hora tertia, salentio processionaliter et missa, tunc
ista ultima pars deveniat in secrestiam predictam ad emendum oleum ut supra.
Item statuit et ordinat quod dicti prepositus et canonici non possint nec
debeant ipsam terram vendere vel alienare, nec eam vel fructus ipsius dividere
in prebendas singulares ipsius ecclesie, et si dividerent in prebendas
singulares vel[191] deputarent prebende
singulari vel prebendis, statuit et ordinat quod ipsi fructus deveniant et
pervenire debeant in capitulum Ecclesie Mediolani quam diu remanebunt divisi,
ita quod liceat […][192] capitulo vel sindico
ipsius, sua propia auctoritate, accipere dictos fructus donec divisi remanebunt
et eos disponere in utilitatem ecclesie. Item statuit et ordinat quod cantata
et cellebrata missa vadant pre[dicti][193] prepositus, canonici,
capellani et custodes ad cimiterium canonicorum ipsius ecclesie et ibi dicant
tres orationes: [et][194] unam pro anima ipsius
donatoris, aliam pro anima quondam domini Lanterii Scacabarozii pa[tr]ui[195] ipsius domini
archipresbiteri, olim ipsius ecclesie prepositi, et tertiam pro omnibus
deffunctis. Eo tenore quod dececom (?) dictus Iustamons, nomine ipsius
ecclesie, sive dicta ecclesia habeat,
teneat et titulo donationis possideat dictam petiam terre cum vitibus et de ea
faciat quicquid facere voluerit sine contradictione ipsius donatoris vel
alicuius alterius persone, cedendo, dando atque mandando dictus donator eidem
Iustamonti et per eum dicte ecclesie et capitulo ipsius omnes attiones,
rationes, exceptiones, replicationes, retentiones, usus et deffensiones utiles
et directas, reales et personales atque ypotecharias[196] et omnia iura sibi
competentes et competentia modis omnibus, in ipsa et pro ipsa petia terre et
contra datores et fideiussores ipsius et contra quascumque personas et res
occaxione ipsius vinee, constituens dictus donator se tenere et possidere
dictam petiam vinee nomine ipsius Iustamontis et dicte ecclesie, quibus dominio
et possessioni idem donator renuntians, dominium et possessionem predictam in
predictum Iustamontem, nomine ipsius ecclesie et per eum, in dictam ecclesiam
transfert, dat et relinquit et eum nomine predicto sive dictam ecclesiam suum
missum[197]
et procuratorem in rem predictam facit et constituit et eum per omnia in suum
locum posuit et ponit; pro qua donatione dictus donator confitetur recepisse et
habuisse a dicto Iustamonte lempum supertunicalis sui, quia sic statuit sua bona voluntas. (S.T.)
Ego Honricus filius quondam domini Azonis de Hostiolo, civis Mediolanensis, pro
notario imperiali auctoritate, predictis interfui et subscripsi. (S.T.)
Ego Guilielmus dictus de Hostiolo, Mediolanensis civis, imperiali auctoritate
notarius, predictis pro notario interfui et subscripsi. (S.T.)
Ego Marcus dictus de Ostiolo, Mediolanensis civis, imperiali auctoritate
notarius, predictis omnibus interfui publicavi et rogatus tradidi et ad
scribendum dedi et subscripsi. (S.T.)[198] Ego Iacobus Carbonus,
notarius civitatis Mediolani Porte Vercelline scripsi. III 1276 agosto 8 Donazione di Orrico Scaccabarozzi al Capitolo della
chiesa di Vimercate in onore dei santi Barnaba, Galdino e Anna madre di Maria Orrico
Scaccabarozzi dona alla chiesa di S. Stefano in Vimercate una vigna sita nel
territorio dello stesso borgo, in località Costa de Tresolzo e dispone che i
proventi della stessa vengano distribuiti annualmente nei giorni di s. Barnaba,
s. Anna e s. Galdino, dopo la sua morte, ai canonici, cappellani e custodi
della chiesa, dietro l'obbligo della recita delle Ufficiature composte dallo
stesso Scaccabarozzi in onore dei santi Barnaba, Anna e Galdino. Milano, Archivio di Stato, Perg., cart. 613, n° 661; copia coeva; mm. 800 x 580, rigato a piombo. La pergamena presenta una lieve mutilazione nel margine inferiore, che interessa il signum tabellionatus del notaio Giacomo del fu Anselmo Stefanoni, alcuni fori dovuti alla concia e due fori in prossimità del margine superiore sinistro che rendono necessaria l'integrazione di alcune lettere. Sul verso, di mano del sec. XVI: “Donatio unius petie vinee in Vicomercato”; di mano del sec. XVII: “1658 […] eis que dicuntur in hoc instrumento nulla amplius extat memoria”, cui segue, di mano coeva “ in […]”; di mano del sec. XIX: “ n. 661 1276. 8. Augusti. Donatio unius petiae terrae perticae 6 tabulae 3 sitae in territorio Vicomercati ubi dicitur in Tresolzio facta Venerabili Capitulo Ecclesiae Collegiatae S. Stephani Vicomercati a d. Orrico Scacabarotio filio d. Algisii Archipresbitero S. Mediolanensis Ecclesiae, Praepostito Ecclesiae S. Nazarii in Brolio Mediolani et Canonico dictae Ecclesiae S. Stephani cum onere celebrandi pre[..] annis diem festum S. Barnabae Apostoli, S. Annae et S. Galdini rogatum a Petro de Rocello Notario”. Copia della fine del sec. XVIII in G. C. Della Croce, Codex diplomaticus mediolanensis, Ambr. I 19 suss., ff. 113r-116r. Le parti del testo sottolineate
sono sottolineate anche nel documento, in inchiostro bruno. (S.T.)
In nomine Domini. Millesimo ducentesimo septuagesimo sesto, die sabati octavo
die augusti, indictione quarta. In canonica ecclesie Sancti Stephani de
Vicomercato, in Capitulo illius ecclesie seu Canonice ibi more solito pro hoc
spetialiter negotio [per]agendo[199] [con]vocato[200] et colecto, in quo
aderant domini Petratius de Opreno canonicus et electus in prepositum
illius ecclesie, presbiter Zanonus Fidelis, prior presbiter dicte ecclesie,
presbiter Manfredus Cavaza, presbiter
Petrus Currens, Iustamons Cavaza, Bevulcus de Valle, Lodorengus de Lambro,
Iohanes Cassina, Ambroxius Humanus, Marchixius Ferrarius, et Petrus de Turri
omnes canonici dicte ecclesie, seu canonice Sancti Stephani de Vicomercato. Nos
in Dei nomine Orricus Scachabarozius, filius quondam domini Algisii
Scachabarozii, Sancte Mediolanensis Ecclesie archipresbiter et prepositus
Sancti Nazarii in Brolio ac canonicus ecclesie Sancti Stephani de Vicomercato,
cupiens beatum Barnabam apostolum et beatam Annam, matrem sancte Marie
virginis, et beatum Galdinum confessorem, archiepiscopum Mediolani, honorare,
et in ipsis sanctis Deum honorare, reservatis semper in nos donec viscerimus (sic)
fructibus et redditibus infrascripte petie vinee, donamus pure et mere et
inrevocabiliter inter vivos, singulas causas ingratitudinis a presenti die et
hora remittens, sub infradictis pactis et conditionibus, et alyas non donaturi,
predictis dominis Petratio, Electo, et presbitero Zanono, et aliis prenominatis
canonicis in eodem capitulo congregatis ut predictum est nomine et vice, et ad partem ipsius ecclesie seu canonice et
capituli ipsius ecclesie et ipsius ecclesie, petiam unam vinee, seu
terre cum vitibus arborum supra, iacentem in terretorio burgi de Vicomercato,
ubi dicitur subtus Costam de Tresolzo, et est pertice sex et tabule
tres, et pedes decem et medium, cui coheret a mane Pagani filii condam
Alcherii Alicochi in parte Iacobi Aicardi qui et alio nomine dicitur Latera, a
meridie Iacobi Andree, a sero[201] consuevit esse Zanebelli
filii condam Becherii Aicardi et modo est dicte ecclesie seu canonice de
Vicomercato, a monte Stephani sive Petri Ferrarii. Quam petiam terre dictus
Zanebellus filius condam Becharii Aicardi de suprascripto burgo dedit et
vendidit et pro deffensione et evictione eiusdem terre promisit predicto
Iustamonti Cavaze ipsius ecclesie canonico, recipienti nostro nomine et ad
nostram partem et utilitatem, fatienda et restituenda datis inde fideiussoribus
Recordo Arzuffi de Aicardo et Inglesco
filio condam Airoldi de Airoldis de dicto burgo et Belforte filio condam
Germani Currentis de Vicomercato, custode predicte ecclesie seu canonice Sancti
Stephani, qui se constituerunt principales debitores, deffensores et
emendatores quilibet in solidum predicto Iustamonti, nostro nomine et ad
nostram partem recipienti. Et pretium cuius petie terre dictus Iustamons,
nostro nomine et de nostris propriis denariis, dicto Zanebello dedit et soluit
sicut per omnia dictus Iustamons ibi protestabatur et asserebat et ut plenius
constat per instrumentum ipsius venditionis factum hoc anno, die veneris ultimo
die iullii, indictione quarta, traditum et scriptum per Petrum de Rocello civitatis
Mediolani, Porte Orientalis notarium. Item de ipso instrumento et de omnibus
iuribus et actionibus et rationibus et ingressibus et regressibus ipsius petie
terre seu et nobis in ea et pro ea petia terre et eius occasione et per
predictum instrumentum venditionis et pro omnibus promissionibus et
obligationibus et iuribus in eo instrumento expositis, factis vel contentis et
eorum occasione, et quolibet iure et modo pertinentibus seu acquisitis, facimus
simili modo et sub eisdem conditionibus similiter donationem predictis,
suprascripto nomine ut supra, talli pacto et conditione, et alyas non
eramus donaturi, videlicet: quod prepositus et canonici illius ecclesie et
capellani, constituti in capellaniis in eadem ecclesia constitutis per condam
dominum Azonem Guarmasium ipsius ecclesie canonicum et per condam dominum
Guilelmum de Goldanica ipsius ecclesie prepositum et per Recordum filium
quondam Ambrosii Arzuffi de Aicardis de burgo Vicomercato, et alii
capellani qui de cetero constituti fuerint in capellaniis in ipsa canonica
Sancti Stephani, qui pro temporibus fuerint in ipsa canonica et in capellaniis
tam factis quam futuris in ipsa canonica, et custodes illius ecclesie teneantur
et debeant post obitum nostrum omni anno celebrare festum sancti Barnabe
apostoli, sub ista forma et secundum ordinem infrascriptum, videlicet: quod
in vigilia illius festivitatis per eos fiant vespere et vigilie, in festo autem
sequenti die fiat matutinum et, cantata hora tertia in ecclesia Sancte Marie
dicti burgi, fiat processio ab ipsa ecclesia ad ecclesiam Sancti Stephani
illius burgi, in cuius choro et ad cuius altare fiant predicte vespere et
vigilie in festo; et celebretur missa cum diacono et subdiacono; et in
predictis vesperis et vigiliis et matutino et processione et missa fatiant
offitium per nos noviter compilatum de ipso beato Barnaba tam in dictamine quam
in cantu. Item teneantur omnes predicti post obitum nostrum omni anno celebrare
festum sancte Anne matris sancte Marie Virginis, sequenti die proximo
post festum sancti Cristophori, sub ista forma et secundum ordinem
infrascriptum, videlicet: quod in vigilia ipsius fiant vespera et vigilie in
choro ecclesie Sancte Marie illius burgi, in festo autem sequenti die fiat[202] matutinum in choro
ipsius ecclesie et, cantata hora tertie in ecclesia Sancti Stephani illius
burgi, fiat processio ab ipsa ecclesia ad ecclesiam predictam Sancte Marie; et
celebretur missa ad altare ipsius ecclesie cum diacono et subdiacono; et in
predictis vesperis et vigiliis et matutino et processione et missa fatiant
offitium per nos noviter compillatum de ipsa sancta Anna tam in dictamine quam
in cantu. Item similiter teneantur et debeant omnes predicti in omni anno post
obitum nostrum celebrare festum sancti Galdini confessoris sub ista
forma et secundum ordinem infrascriptum, videlicet quod in vigilia ipsius fiant
vespere et vigilie, et in festo, sequenti die, fiat[203] matutinum in choro
Sancte Marie dicti burgi et, cantata hora tertia in ecclesia Sancti Stephani
dicti burgi, fiat processio ab ipsa ecclesia ad ecclesiam Sancte Marie et
celebretur missa ad altare ipsius cum diacono et subdiacono, et in predictis
vesperis et vigiliis et matutino et processione et missa fiat offitium per nos
noviter compillatum de ipso beato confessore, tam in dictamine quam in cantu.
Et in quolibet autem festo predicto, cantata missa, veniant omnes predicti in
cimitorium (sic) canonicorum ipsius ecclesie et, cantato responsorio De
profundis cum uno Miserere, dicant tres orationes, primam pro anima
nostra, secundam pro anima condam domini Lanterii patrui[204] nostrui, ordinarii
Mediolanensis Ecclesie et prepositi dicte ecclesie de Vicomercato, tertiam pro
omnibus defunctis. Eo acto et dicto expressim, quod ficta et fructus et
redditus et proventus ipsius petie vinee perveniant et pervenire debeant in
illos vel illum qui electi fuerint per prepositum seu capitulum dicte ecclesie
ad dispensandum annualia illius ecclesie; et quod de predictis fictis et
fructibus et redditibus fiant tres partes annuatim, prima quarum dividatur in
tres partes, quarum prima iterum dividatur inter prepositum et canonicos et
capellanos et custodes tantum qui interfuerint et fecerint dictum offitium in vespere
et vigiliis sancti Barnabe; et si non fieret dictum offitium in predictis
vesperis et vigiliis, deveniat ista pars in utilitate sacrestie illius
ecclesie. Secunda pars dividatur inter predictos tantum qui fecerint offitium
predictum in matutino festi predicti, quod si non fieret, deveniat ipsa pars in
utilitate dicte sacrestie. Tertia pars dividatur inter predictos qui fecerint
dictum offitium in processione et missa predicti festi: quod si non fieret,
deveniat illa pars in utilitate dicte sacrastie. Seconda (sic) pars
dividatur in tres partes, prima quarum dividatur inter predictos qui fecerint
offitium predictum in vesperis et vigiliis sancte Anne, quod si non fieret
deveniat[205]
deveniat[206]
illa pars in utilitate dicte sacrastie; seconda pars dividatur inter predictos
qui fecerint dictum offitium in matutino dicte sancte: quod si non fieret,
deveveniat (sic) ipsa pars in utilitate dicte sacrastie. Tertia pars
dividatur inter predictos tantum qui fecerint dictum offitium in processione et
missa in festo dicte sancte Anne: quod si non fieret deveniat illa pars in
uti[l]litate[207]
dicte sacrastie. Tertia pars dividatur similiter in tres partes, prima quarum
dividatur inter predictos tantum qui fecerint dictum offitium in vesperis et
vigiliis sancti Galdini: quod si non fieret, deveniat illa in utilitate dicte
sacrastie. Seconda pars dividatur tantum inter predictos qui fecerint dictum
offitium in matutino in ipso festo sancti Galdini: quod si non fieret, deveniat
illa pars in utilitate dicte sacrastie. Tertia pars dividatur inter predictos
tantum qui fecerint dictum offitium processionis et misse in eodem festo sancti
Galdini: quod si non fieret, deveniat illa pars in utilitate dicte sacrastie. Eo
iterum acto et dicto expressim, alyas non donaturi, quod dicti
prepositus et capitulum non debeant nec possint predictam terram in toto vel in
parte vendere vel alienare nec eam terram vel fructus ipsius[208] dividere in prebendas singulares
ipsius ecclesie vel alios usus deputare et si contra fecerint, deveniat illa
petia vinee in capitulum ecclesie Mediolanensis cum predictis oneribus. Eo
tenore quod de cetero predicti canonici suprascripto nomine et ipsa ecclesia
seu canonica et capitulum et eorum successores debeant habere, tenere et
possidere dictam petiam terre cum predictis iuribus sub predictis conditionibus
et modis et formis et exinde facere cum predictis iuribus omnibus quicquid eis
utile fuerit et voluerint iure et titulo donationis ut supra. Reservatis semper fictis
et fructibus ipsius, quamdiu viscerimus, nos donator in nos tantum sine
alicuius contradictione sub predictis formis et modis et conditionibus,
preterea cedimus, damus atque mandamus predictis dominis Electo et presbitero
Zanono et capitulo suprascripto nomine omnia iura omnesque actiones, rationes,
exceptiones, replicationes, retentiones, deffensiones utiles, directas, reales,
personales, ypotecharias et omnia iura nobis in ipsa petia terre et pro ea et
eius occasione per predictam venditionem et instrumentum ipsius et pro omnibus
promissionibus et obligationibus et iuribus in eo instrumento expositis seu
factis et contentis et quolibet iure et modo predictorum occasione pertinentia
et pertinentes contra predictos venditorem et fideiussores et quemlibet eorum
in solidum et adversus eorum vel alicuius eorum heredes et res et bona et
contra quascumque personas et res. Et volentes pleno iure omne dominium et
omnem possesionem et quasi predicte petie terre et suprascriptorum iurium
omnium, reservatis semper quamdiu viscerimus tantum in nos fructibus et fictis
et redditibus ipsius terre, in predictos Electum et presbiterum Zanonum et capitulum et eorum successores suprascripto
nomine et in ipsam ecclesiam seu canonicam transferre et dare et eos
suprascripto nomine et suprascriptam ecclesiam seu canonicam et
capitulum nostro ministerio facere possesores, secondum predictos modos et
formas et conditiones constituimus nos predictam[209] petiam terre nominibus
suprascriptis tenere et possidere cum predictis iuribus omnibus; cui
dominio et possessioni et quasi ilico renuntiamus et in predictos suprascripto
nomine transferimus et deserimus[210] et eos suprascripto nomine et sub predictis modis, formis et
conditionibus procuratores in rem nostram facimus et constituimus, ita quod
proinde in locum et ius nostri pro predictis et singulis donatis et cessis ut
supra suprascripto nomine sint et succedant ipsi et eorum successores et
dicta ecclesia seu canonica et capitulum, et esse debeant pro predictis
et singulis eorum occasione, et proinde possint agere et experiri et omni iure
et retentione uti modis omnibus, sub predictis modis, formis et conditionibus
et reservatione sicut nos actenus poteramus vel possemus. Rursus promittimus
dantes guadiam et omnia nostra tam ecclesiastica quam paterna bona pignore
obligamus predictis Electo et presbitero Zanono et predictis canonicis in ipso
capitulo[211] congregatis ut supra
recipientibus nomine et ad partem predicte ecclesie et capituli ipsius, ita
quod eis et eorum successoribus suprascripto nomine, seu et ipsi
ecclesie seu canonice et capitulo ipsius, dictam terram donatam cum predictis
omnibus iuribus deffendemus et guarentabimus ab omni homine, colegio et
universitate omni tempore sub predictis formis, pactis et conditionibus, et
quod nullo tempore veniemus contra presentem donationem vel contra aliquid
predictorum vel infradictorum, aliqua occasione, ullo iure vel modo. Sed
presentem donationem et omnia suprascripta et infrascripta ratam et
firmam, rata et firma habebimus et tenebimus omni tempore, et hec omnia cum
omnibus nostris propriis damnis, expensis et interesse et sine damnis et
expensis dicte ecclesie seu canonice et capituli ipsius et hec pro nostro dato
et facto et non aliter quod nostrum datum et factum sit et inteligatur tantum
si reperiretur - quod non est - nos vendidisse vel alienasse vel obligasse
dictam terram et predicta iura in aliquam aliam personam et non aliter nec aliquo alio modo
teneamus nec possimus in aliquo convenire. Et pro qua quidem donatione et
omnibus predictis et infradictis, recepimus et recepisse confitemur a predictis
dominis Electo et presbitero Zanono, nomine suprascripte[212] ecclesie seu canonice et
capituli ipsius, launachil, idest lempum supertunicalium eorundem, et
renuntiamus exceptioni non accepti leunachil et omnium predictorum non ita
factorum et dictorum ut supra legitur. Que vero donatio et omnia suprascripta
et infrascripta facta sunt presente, aprobante, affirmante et ratificante
predicto Iustamonte Cavaza. Et qui ad cautellam et maiorem firmitatem fecit
datum et cessionem et finem et reffutationem et pactum de non petendo et non
agendo ulterius et totius sui iuris remissionem predictis dominis Electo et
presbitero Zanono et aliis canonicis in ipso capitulo congregatis ut supra
recipientibus nomine et vice et ad partem ipsius ecclesie seu canonice et
capituli ipsius; et eis suprascripto nomine recipientibus promisit et
guadiam dedit, obligando se et omnia sua bona pignore, tam ecclesiastica quam
paterna, quod nullo tempore veniet contra presentem donationem nec contra
aliquod predictorum vel infradictorum, aliqua occasione, ullo iure vel modo,
sed presentem donationem et datum et cessionem et finem et omnia suprascripta
ratam et firmam, rata et firma habebit et tenebit omni tempore cum omnibus suis
propriis damnis, expensis et interesse. Et quod si in aliquo contra fecerit vel venerit, quod predictis et eorum
successoribus suprascripto nomine restituet et[213] solvet omne dispendium, damnum
et interesse quod suprascripto nomine seu ipsa ecclesia seu canonica vel
capitulum proinde fecerint vel sustinuerint aliquo modo cum omnibus eius
propriis damnis et expensis. Actum in predicta canonica in predicto capitulo
congregato ut supra in quo erat similiter Iohannes Cassina canonicus ipsius
ecclesie, presentibus Rugerio filius condam Iacobi Sicapanis et Cabrio filius
quondam Crescii de Osenago civitatis Mediolani porte Horientalis notario. Et
inde plures carte uno tenore fieri rogate sunt. Interfuerunt testes Berardus
filius condam Loterii Cavaze et Ambrosius filius condam Falamensis Abrazaque et
Barozius filius condam Stephani Guarmaxii et Guifredus filius condam Orivini
Guarmasii de ipso burgo Vicomercato et Albertus filius condam Guillielmi de Sollario qui habitat in ipsa
canonica. (S.T.) Ego Petrus filius quondam Nigri de Rocello
civitatis Mediolani Porte Orientalis notarius tradidi et ad scribendum dedi et
subscripsi. [S.T.][214] Ego Iacobus filius
Anselmi Stephanoni, civitatis Mediolani Porte Nove notarius, rogatus
suprascripti ser Petri de Rocello notarii scripsi et emenda[vi][215]. Desidero esprimere i miei
ringraziamenti al dott. Abbreviazioni
usate: AH = Analecta Hymnica Medii Aevi Ambr. = Milano, Biblioteca Ambrosiana AOM = Milano, Archivio dell'Ospedale Maggiore ASMi = Archivio di Stato di Milano FR = Fondo di Religione, parte antica Perg. = Pergamene del Fondo di Religione Cap. Metrop. = Milano, Biblioteca del Capitolo Metropolitano [1] Cap. Metrop. II.F.2.1: AH, hrsg v. G.M. Dreves, XIVb, Leipzig 1893, 149-260. [2] Gli estremi cronologici si
ricavano da Teodoro Trivulzio, De
ordinariis Sancte Mediolanensis Metropolitane Ecclesie Ambrosiane, Ambr.
Trotti [3] L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, IV, Mediolani 1741, 936 e F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II/1, Mediolani 1745, 1298b. [4] E. Cattaneo, Ottone Visconti arcivescovo di Milano,
in Raccolta di studi in memoria di Giovanni Soranzo. Contributi
dell'Istituto di Storia medioevale, I, Milano 1968 (Pubbl. dell'Univ. Catt.
S.C., Scienze storiche, 10), 144; G.
Soldi Rondinini, Chiesa milanese e signoria viscontea (1262-1402),
in Diocesi di Milano, I, Brescia 1990, 288-89; Liber notitiae
sanctorum Mediolani. Manoscritto della Biblioteca capitolare di Milano, a
c. di U. Monneret de Villard- M.
Magistretti¸ Milano 1917, 273D. Il Cattaneo, discorrendo dell'opera di
riorganizzazione della diocesi operata
dal Visconti, affianca allo Scaccabarozzi il rielaboratore del Beroldo Giovanni
Boffa (v. n. 32-33), Goffedo da Bussero e Bonvesin de [5] La chiesa porta associato alla dedicazione alla Vergine il nome di Podone, colui che secondo la tradizione la fondò nell'871 (l'edificio attuale deriva da rifacimenti quattro, cinque e seicenteschi della chiesa romanica preesistente): M. T. Fiorio, Le chiese di Milano, Milano 1985, 80-82; S. Della Torre, S. Maria Podone, in Diz. Chiesa Ambr., IV (1990), 2051-53. [6] I nomi dei genitori e dello zio paterno Lanterio compaiono in un documento del 1270: F. Pirola, Un inedito su Orrico Scaccabarozzi e la chiesa plebana di Vimercate, "Civiltà ambrosiana", 11 (1994), 265-74. [7] V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, s.
v. Scaccabarozzi, VI, Sala Bolognese 1981, 174 menziona, oltre a
Lantelmo (Lanterio), Giordano, vicario imperiale di Federico Barbarossa,
Beltramo, che fu console di Milano nel 1164 e Alberto, podestà di Como nel [8] ASMi, Perg., cart. 611 (Vimercate, S. Stefano), n° 141. [9] Una primitiva chiesetta in onore di s. Stefano protomartire doveva esistere già nel 745, come testimonia un legato di quell'anno, ma di questa non rimane alcuna traccia. Le origini della collegiata attuale devono essere collocate nei secoli X-XI: E. Cazzani, Storia di Vimercate, Vimercate 1975, 158-215. [10] Almeno dal 1228 al 1252: Giulini, Memorie, IV, 308-09 e 483; ASMi, Perg., cart. 611, n° 184 (1 marzo 1250). Con lo stesso titolo è ricordato anche dal nipote in due donazioni datate 8 novembre 1270 (ASMi, Perg., cart. 613 [S. Stefano], n° 523) e 8 agosto 1276 (ASMi, Perg., cart. 613, n° 661). Il Liber primicerii (Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 3v) ricorda che l'annuale in memoria di Lanterio veniva celebrato il 4 febbraio, a carico dell'Ospedale del Brolo. [11] Conosciuta anche come "Basilica Apostolorum", fu iniziata attorno al 382 dal vescovo Ambrogio e fu la prima tra quelle da lui erette ad essere aperta al culto con la consacrazione dell'altare nel maggio del 386, anno in cui giunsero da Roma le reliquie degli apostoli Giovanni, Andrea e Tommaso: E. Brivio, La Basilica dei Santi Apostoli e di San Nazaro Maggiore, in Chiese del centro storico di Milano, Milano 1983, 41-64; Fiorio, Le chiese, 276-80; E. Brivio, Apostoli e Nazaro, basilica dei SS., in Diz. d. Chiesa Ambr., I , 188-91. [12] Il primo documento in cui compare con il titolo prepositurale porta la data 26 marzo 1227 (ASMi, Perg., cart. 611, n° 181), l'ultimo è datato 11 ottobre 1234 (ASMi, Perg., cart. 613, n° 625). [13] Oggi Canonica d'Adda (BG): Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda, Varese-Milano 1968, 435-36. [14] ASMi, Perg., cart. 611, n° 218. [15] L. Fumi, L'Inquisizione Romana e lo Stato di Milano. Saggio di ricerche nell'archivio di Stato, "Arch. stor. lomb. ", s. IV, XIII/37 (1910), 49. Non è stato posssibile verificare l'esattezza della notizia riportata dal Fumi. [16] Giulini, Memorie, IV, 483; B. Corio, Storia di Milano, I, Torino 1978, 412. Su s. Pietro martire: R. Perelli Cippo, Pietro da Verona, santo († 1252), in Diz. d. Chiesa Ambr., V (1992), 2796-99. [17] ASMi, Perg., cart. 611, n° 160: il testo qui in Appendice I. [18] Marcusate e Baraggia si trovano nei pressi di Vimercate: Boselli, Toponimi lombardi, Milano 1977, 170 e Olivieri, Dizionario, 69. Sabionera nel Bresciano: Olivieri, Dizionario, 481. Tresolzo frazione di Ponte S. Pietro (BG) : Olivieri, Dizionario, 589. Caponago in Brianza: Boselli, Toponimi, 73 e Olivieri, Dizionario, 141. Albaro, oggi Albarola, nel Lodigiano: Boselli, Toponimi, 20. Non mi è stato possibile identificare Rigerano. [19] ASMi, Perg., cart. 611, n° 207. [20] ASMi, Perg., cart. 613, n° 660. [21] La chiesa di S. Maria in Vimercate fu edificata agli inizi del secolo XI, in prossimità del vecchio castrum o all'interno di esso. Sul lato meridionale della chiesa fu edificato il battistero e, alla fine dello stesso secolo, venne aggiunta la canonica sul lato settentrionale: Cazzani, Storia di Vimercate, 308. [22] ASMi, Perg., cart. 612 (Vimercate, S. Stefano), n° 322 (doc. I). [23] Les régistres d'Alexandre IV. Recueil des bulles de ce pape publiées ou analysées d'après les manuscrits originaux des archives du Vatican, ed. C. Bourel De La Roncière et al., I, Paris 1902, 334 (Bibl. des Écoles franç. d'Athènes et de Rome, 2 s.). C. Toccano, Le origini dell'Ospedale Nuovo di Milano (sec. XIII), "Studi di storia medievale e di diplomatica", 15 (1995), 40, ipotizza che lo Scaccabarozzi potesse essere preposito di S. Nazaro già nel 1252. Giulini, Memorie, IV, 483 tuttavia, ricordando che in quell'anno furono inviati al papa per chiedere la canonizzazione di Pietro da Verona alcuni esponenti del clero milanese, menziona l'ordinario Lanterio, l'abate di S. Vittore e il prevosto di S. Nazaro, senza precisarne il nome. [24] ASMi, FR, cart. 417 (Milano, S. Nazaro Maggiore), cass. 35, car. H, n°4: B. Cereghini, Giuramento di quattro frati neo-conversi nelle mani di Orrico Scaccabarozzo, in Milano e la Lombardia in età comunale, sec. XI-XIII, Milano 1993, scheda 363. [25] ASMi, FR, cart. 144 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 6, car. Q, n° 11; copia nel manoscritto di G. C. Della Croce, Codex diplomaticus Mediolanensis, Ambr. I 18 suss., f. 137r-148v (riprod. anast. integrale nella Biblioteca dell'Università Cattolica del S. Cuore, Milano). Il Dreves, AH XIVb, 150 ritenne erroneamente che lo Scaccabarozzi fosse Vicario Capitolare dal 1289. Predecessore di Orrico fu Azzone Ceppus de Quinque viis: Giulini, Memorie, IV, 525; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni. La Lombardia, I, Firenze 1913, 611. Soldi rondinini, Chiesa milanese, 288-89 dichiara che lo Scaccabarozzi compare come arciprete in data 1 agosto, ma non è stato reperito alcun documento a sostegno di questa notizia. [26] Della Croce, Codex, Ambr. I 18 suss., f. 151r; originale non reperito. La sede arcivescovile era rimasta priva di un titolare alla morte di Leone da Perego, avvenuta nel 1257, e tale rimase fino alla nomina di Ottone Visconti, nel 1262. [27] L. Carubelli, S. Celso, in Diz. della Chiesa Ambr., II, 778-80. [28] Anche il vescovo della città era in genere scelto tra gli Ordinari e il Capitolo Maggiore arrivò anche a considerarsi unico elettore. Tale privilegio fu ben presto contrastato dall'intervento della Santa Sede, che cercò, a partire dal sec. XIII, di riservarsi diritto esclusivo di scelta: E. Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, in Storia di Milano, IV, Milano, Treccani, 1954, 654-56 e 658-61. [29] Della Croce, Codex, Ambr. I 18 suss., ff. 168r-171v, doc. I e II; il giorno seguente, 3 novembre, lo Scaccabarozzi trasmise l'ordine al primicerio minore, che accolse i nuovi lettori nel coro il lunedì successivo, 5 novembre: ibid., doc. III e IV. Sui lettori: Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 671-72. [30] Sui custodi: Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 678-80. [31] M. F. Baroni, Gli atti dell’arcivescovo e della curia arcivescovile. Ottone Visconti (1262-1295), Milano 2000, 10, n° X. Il testo del documento è mutilo, per cui non conosciamo il nome del vicario. Pochi mesi dopo, il 18 settembre 1267, la carica risulta assegnata ad Alberto de Basilicapetri: Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 12, n° XII. [32] La sentenza non si trova tra le pagine del più antico codice conservato di Beroldo, l'Ambr. I 152 inf.; poiché il Boffa (v. nota seguente) dichiara di avere tratto il testo de beroldo veteri dobbiamo immaginare che con questa espressione volesse indicare un altro esemplare, oggi scomparso: G. Forzatti Golia, Le raccolte di Beroldo, in Il Duomo cuore e simbolo di Milano. IV Centenario della dedicazione (1577-1977), Milano 1977 (Archivio ambrosiano, 32), 327-28. Forzatti Golia, Le raccolte, 327, chiama l' Ambr. I 152 inf. "Beroldus vetus minor" per distinguerlo dal "vetus" citato dal Boffa. Sia il vetus minor (ante 1140, con aggiunte), sia il novus (ante 1269, con aggiunte) dipendono dal vetus perduto, di cui non sono semplici copie, ma vere e proprie rielaborazioni. [33] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 10, n° X. Oltre a
Giovanni Boffa conosciamo il nome di un altro dei collaboratori dello
Scaccabarozzi, Benno della Strada, di Desio, notaio, chierico e lettore della
Chiesa Milanese. Benno, su richiesta dell'arciprete, trascrisse una copia della
Bolla con cui Ottone Visconti istituì le Stazioni liturgiche per la Quaresima e
[34] Ed. Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 10, n° X; Forzatti Golia, Le raccolte, 339. [35] La copia fu effettuata il 22 novembre 1268: Forzatti Golia, Le raccolte, 338-39 e 351-52. Sul cimiliarca: Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 681-82. [36] La sottoscrizione del Boffa è stata cancellata con inchiostro blu, sotto il quale è possibile riconoscere il signum tabellionatus e alcune parole: la formula usata deve essere identica a quella di f. 370v: Forzatti Golia, Le raccolte, 339 e 352. [37] Forzatti Golia, Le raccolte, 333-44. P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel medioevo, Milano 1993 (Pubbl. dell'Univ. Catt. S.C., Bibliotheca erudita, 6), 98, n. 95 non esclude che anche il catalogo degli arcivescovi milanesi contenuto nel Beroldus novus, fino all'inizio della vita di Ottone, sia stato scritto come il resto del codice entro il 1269. [38] P. Tomea, Tradizione, 97-98. [39] Mentre gli altri documenti relativi all’operato del Capitolo Maggiore fanno esplicito riferimento solo all’arciprete e agli ordinari, senza sottolineare ulteriori distinzioni all’interno degli stessi, il testo di questa costituzione mette in rilievo il ruolo dell’arcidiacono, forse in ragione dei suoi speciali poteri al riguardo: l’arcidiacono era infatti prefetto della disciplina e superiore delle scuole di canto e lettere (Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche, 662). [40] Il testo di questa costituzione capitolare (11 luglio 1273): E. Cattaneo, Gli Statuti del Venerando Capitolo del Duomo di Milano, “Ambrosius”, 30 (1954), 296. [41] Cattaneo, Ottone Visconti, 159-63. [42] Forzatti, Le raccolte, 339, 354-55. Cattaneo, Ottone Visconti, 159-163 riconduce questa "serrata del capitolo" a un preciso disegno dell'arcivescovo. [43] Borghetto Lodigiano: Boselli, Toponomi, 47. Panizzago è una sua frazione: Olivieri, Dizionario, 403. [44] Camicia con regesto in ASMi, FR, cart. 182 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 78, car. M11, n° 11; originale in ASMi, Perg., cart. 377 (Milano, Capitolo Maggiore), 162a. [45] Tutte località nel Lodigiano: Orio Litta, Olivieri, Dizionario, 391 e Boselli, Toponomi, 202; Vipizolano, oggi Pizzolano, Boselli, Toponomi, 216; Graffignana, Olivieri, Dizionario, 266 e Boselli, Toponomi, 142; San Colombano al Lambro, Boselli, Toponomi, 248. [46]ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 12: E. Mercatili Indelicato, Per una storia degli Umiliati nella diocesi di Lodi, in Sulle tracce degli Umiliati, a c. di M.P. Alberzoni et al., Milano 1997 (Pubbl. dell'Univ. Catt. S. C., Bibliotheca erudita, 13), 428-29. Il documento è edito in M. F. Baroni, Gli atti del comune di Milano nel sec. XIII, III, Alessandria 1992, 916-20. [47] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 13 (19 marzo 1264): Mercatili Indelicato, Per una storia, 429-30. Vigarolo è oggi una frazione di Borghetto Lodigiano: Olivieri, Dizionario, 577. [48] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 14 (19 marzo 1264): Mercatili Indelicato, Per una storia, 430. Fossato alto è Fossadolto, oggi Ognissanti, località di Borghetto Lodigiano: il nome viene dal titolo Ognissanti di un convento di Umiliati ivi esistito dal 1203 al 1314; Olivieri, Dizionario, 234 e Boselli, Toponomi, 128 e 199. [49] Rispettivamente ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, ni 13 e 14: Mercatili Indelicato, Per una storia, 430-31. [50] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 17 (doc. I): Mercatili Indelicato, Per una storia, 433-34; il testo, ibid., 487-88. [51] ASMi, FR, cart. 182, cass. 78, car. M11, n° 17 (doc. II): ed. in MERCATILI INDELICATO, Per una storia, 489-90. [52] La chiesa di S. Giorgio di Legnano era stata unita a quella di S. Primo di Milano in Pusterla Nuova, nella quale si erano trasferiti anche i canonici della prima: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 80, n° CIV, nota. [53] Archivio del Cap. Metrop. di Milano, C.7.121. Il documento presenta lungo tutto il margine destro danni che impediscono una comprensione più precisa del testo. Mutila è anche la data: sono leggibili solo l’anno e il giorno. Da un documento stilato alla fine di febbraio del 1278 apprendiamo che la questione relativa al debito contratto dalla chiesa di S. Giorgio e Primo con Andrea Mazale, nonostante i provvedimenti presi dal Capitolo Metropolitano dieci anni prima non era ancora giunta a soluzione (ASMi, FR, cart. 144 [Milano, Capitolo Maggiore], cass. 6, car. Q, n° 14). I beni e il giuspatronato della chiesa erano stati uniti al Capitolo Maggiore per volere dell’arcivescovo in data 16 dicembre 1277 (Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 80, n° CIV; Soldi Rondinini, Chiesa milanese, 294) e in seguito a tale provvedimento gli Ordinari avevano rilevato anche il debito residuo di £. 413 di terzuoli nei confronti di Gabrio Mazale. L’arciprete e il capitolo cercarono di comporre la lite mediante la cessione a Gabrio di un terreno con edifici ma, nonostante il tentativo di raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti, la contesa si protrasse ancora a lungo, giungendo a composizione l’8 giugno 1285, quando gli Ordinari e Gabrio si impegnarono ad abbandonare ogni motivo di discordia. (ASMi, FR, cart. 144, cass. 6, car. Q, n° 15) [54] ASMi, FR., cart. 166 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 46, car. P5, n° 2. [55] ASMi, FR., cart. 166, cass. 46, car. P5, n° 9 (doc. I). La gestione dei beni posseduti dal capitolo in questa zona della diocesi doveva essere piuttosto problematica e diede adito a parecchie contese. Le iterate resistenze dei massari e delle autorità locali a consegnare quanto dovuto alla Chiesa milanese portarono ad una serie di interventi da parte del comune di Milano, dietro richiesta dell’arciprete e del Capitolo. Nel maggio 1283 Pietro Botto, servitore del comune, si era recato a Tradate su petizione della Chiesa Maggiore per ordinare ai massari della chiesa di presentarsi all’assessore o al procuratore della chiesa per ottenere l’investitura delle terre pertinenti alla chiesa di S. Bartolomeo al Bosco (i beni di questa canonica erano stati concessi agli Ordinari da Ottone Visconti nel 1277: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 78-79, ni CII e CIII) e per ordinare al comune la consegna di quanto dovuto dai debitori: l’atto con il quale Pietro Botto riferì della missione porta la data 21 maggio. Le richieste avanzate non furono soddisfatte e massari e consoli di Tradate vennero multati dal comune di Milano il 22 maggio (BARONI, Gli atti del comune, III, 279, n° CCLXVIII, 280, n° CCLXIX e 281, n° CCLXXX). La contesa si estese al territorio di Venegono Inferiore e si protrasse a lungo negli anni seguenti, almeno fino al 1289 (BARONI, Gli atti del comune, III, 317, n° CCCXII, 334, n° CCCXXIII, 335, n° CCCXXXIV, 358, n° CCCVIII, 419, n° CCCXCIV, 468, n° CDXXXI, 472, n° CDXXXIV, 504, n° CDLXXI e 505, n° CDLXXII). [56] ASMi, FR., cart. 164 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 44, car. H5, n° 1. Salvano era una cascina di Palazzolo sull’Oglio (BS): Olivieri, Dizionario, 484. [57] Giulini, Memorie, IV, 555, 585. Toccano, Le origini, 25-42; non esiste alcun documento sull'anno di nascita dell'Ospedale: Galvano Fiamma, Manipulus florum sive historia mediolanensis ab origine ad annum circiter MDCCXXXVI, in RIS, XI, Mediolani 1727, 692, ne fissa gli inizi al 1262 e questa data è stata generalmente accolta dalla tradizione storiografica. [58] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 14, n° XVII; P. Pecchiai, L'Ospedale Maggiore di Milano nella storia e nell'arte, Milano 1927, 13. [59] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 14, n° XVII. [60] C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, Monasterii 1913, 415. [61] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 13, n° XV. La lettera dell'arcivescovo di Ravenna è nell' Archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano (AOM), Diplomi, n° 501. Ottone Visconti confermò nuovamente l'indulgenza ai benefattori dell'Ospedale il 7 marzo 1280: Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 109, n° CXXXVI e 111, n° CXXXVIII (22 giugno 1280, lettera uguale alla precedente). [62] AOM, Diplomi, n° 502. Il sigillo dello Scaccabarozzi è conservato in un sacchettino di seta (foto in Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, tav. XII); un'immagine del sigillo di Orrico e di quello dello zio Lanterio si trova in Storia di Milano, XII, 555: esso reca la figura di un carro, emblema parlante, ibid., 558. [63] AOM, Aggregazioni, Ospedale Nuovo, cart. 64. Un atto del 25 gennaio 1276 testimonia l'acquisto di un terreno in località Mirazzano del valore di £ 538 e mezza di terzuoli: il documento ricorda che lo Scaccabarozzi contribuì personalmente alla spesa consegnando al rettore dell'ospedale £ 200 di terzuoli per il sostentamento dei poveri e per l'ampliamento dell'ente. Il 28 agosto 1277 il magister dell'ospedale acquistò una casa in Porta Romana del valore di £ 150 di terzuoli, 100 delle quali furono pagate dall'arciprete. Con il suo contributo fu inoltre possibile acquistare altri terreni nella parrocchia di S. Andrea al muro rotto (21 maggio 1279) e a Mirazzano (20 marzo 1281): Toccano, Le origini, 39. [64] AOM, Aggregazioni, Ospedale Nuovo, cart. 63; Toccano, Le origini, 39. Il documento è edito in Baroni, Gli atti del comune, III, 555, n° DXXVII. Toccano, Le origini, 40 mette in rapporto le motivazioni spirituali che animavano l'impegno caritativo dell'arciprete con la sua vicinanza agli Ordini mendicanti, attivi nel sostenere ed amministrare enti assistenziali e nel diffondere la devozione alla Madonna, cui il nuovo ospedale era intitolato. [65] Nel testo della donazione sono ricordate tre donazioni precedenti effettuate in data 8 novembre 1270, 25 agosto 1277 e 29 settembre 1283: i documenti corrispondenti non sono stati per ora rinvenuti. [66] Toccano, Le origini, 31. Nota obituaria di donna Buona in Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 432r: ed. in Giulini, Memorie, IV, 681. [67] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 246, n° CCLXXXII; Toccano, Le origini, 41, con notizie su Pietro Villano. [68] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 247, n° CCLXXXIII. [69] Giulini, Memorie, IV, 612, 665, 666, 669, 706; A. Paravicini Bagliani, Casati, Conte, in DBI, XXI (1978), 227-29; M.P. Alberzoni, Casati, Conte, in Diz. della Chiesa Ambr., II, 727-28; Die Mittelalterlichen Grabmäler in Rom und Latium vom 13. bis zum 15. Jahrhundert, II, bearb. v. J. Garms et al., Wien 1994, 37-41. [70] Giulini, Memorie, IV, 666. Il Casati morì a Roma il 15 aprile 1288 (nota obituaria in Beroldus, Cap. Metrop., II.D.2.28, f. 430r, ed. in Giulini, Memorie, IV, 706). Nella cattedrale milanese venivano celebrate tre memorie annuali in suo suffragio. La prima, secondo le disposizioni da lui dettate, era celebrata a carico dell'arcidiacono il 4 novembre (Arch. del Cap. Metrop. di Milano, B.5.48, non datata; Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 438v; Liber primicerii, Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 2v), la seconda ricorreva il primo venerdì di quaresima ed era celebrata dai lettori (Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 428r e Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 2v), la terza il 15 aprile, giorno anniversario della sua morte (Cap. Metrop. II.D.2.28, f. 430r e Cap. Metrop. II.E.2.6, f. 2v). [71] Cap. Metrop., II.F.2.1, ff. 127r-134v (AH, XIVb, 178-79; 233-36; 258-59). La lettera di dedica che accompagnava l'Ufficio è conservata, priva di data, a f. 134v del codice (AH, XIVb, 158-159; nella trascrizione è omessa una riga): in essa troviamo esplicito riferimento alle funzioni del Triduo pasquale - “me vestrum in omnibus et per omnia devotum semper vobis et vestris orationibus recommendo, presertim eo tempore quo Unigeniti filii Dei passionem et mortem recolitis missarum solennia celebrantes”- e ciò rende plausibile l’ipotesi che sia stata scritta in prossimità del 12 aprile, in quanto la Pasqua nel 1281 cadeva il giorno 13: A. Cappelli, Cronologia, cronografia e calendario perpetuo, Milano 1998, 80. [72] Marzio e Filippino erano figli rispettivamente di Ottone e Manfredo, fratelli di Conte: F. Calvi, Famiglie notabili milanesi, IV, Milano 1875-85 (rist. anast.), s. v. Casati, tav. II. [73] ASMi, FR, cart. 150 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 22, car. E2, n° 3; il testamento è edito in A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980 (Miscellanea della Società romana di storia patria, 25), 471-79. [74] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 4, doc. I e II. [75] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 4, doc. III e IV. [76] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 4, doc. V. [77] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 2. Il lascito è ricordato da V. Longoni, Casatenovo, in Diz. d. Chiesa Ambr., II, 723: la chiesa, secondo la testimonianza di atti monzesi del 1227, era genericamente individuata come “ecclesia de Caxate”. [78] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 2 ; pur essendo una pergamena distinta porta la stessa segnatura della precedente. [79] ASMi, FR, cart. 150, cass. 22, car. E2, n° 1. V. Longoni-G. Colombo, Missaglia, pieve, in Diz. d. Chiesa Ambr., IV, 2261-68: nel 1242 era preposito di Missaglia Ruggero della Torre e dalla pieve proveniva anche Leone da Perego. [80] Copia parziale del documento in Della Croce, Codex, Ambr. I 19 suss., f. 210r, originale non reperito. La trascrizione è seguita dalla nota: “In eodem textu pergamene subsuta est alia in qua nominatur ille archipresbyter Mediolani Orricus Scacabarosius, et bona controversa in loco Cixnuscolo Asinario, ubi dicitur Caraghasca sub annum 1282, 16 octubris. Ita Sormanus”. Cixnuscolo Asinario era il nome dell'attuale Cernusco sul Naviglio: Boselli, Toponimi, 96 e Olivieri, Dizionario, 170. [81] Ambr. P 165 sup., ff. 22r-29r (AH L, 617-23). Per il convento Domus nova e il preposito Michele: R. Crotti Pasi, Gli Umiliati a Pavia nei secoli XII e XIII, in Sulle tracce degli Umiliati, 317-42; G. Tiraboschi, Vetera Humiliatorum monumenta, II, Mediolani 1767, 3. [82] Ambr. P 165 sup., f. 29r; il testo della lettera è stato pubblicato in AH, L, 617. [83] Eubel, Hierarchia, I, 322. [84] Crotti Pasi, Gli Umiliati a Pavia, 324. [85] ASMi, Perg., cart. 655, 277a (Pavia, S. Maria di Nazareth), la pergamena, non numerata, contiene cinque documenti: i primi tre portano la data 17 ottobre 1287, gli ultimi due 12 novembre 1287: Crotti Pasi, Gli Umiliati a Pavia, 325-26. Sulla chiesa pavese di S. Maria di Nazareth, poi monastero femminile: G. Forzatti Golia, Gli ordini religiosi della diocesi di Pavia nel Medioevo, "Bollett. d. società pavese di storia patria", n.s., 41 (1989), 21-23. [86] Baroni, Gli atti del comune, II, 512, n° CDLXX. [87] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 12, n° XIV. [88] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 141, n° CLXXVIII. [89] Il nome di Orrico Scaccabarozzi non è accompagnato da nessun titolo ecclesiastico e questo rende dubbia la sua identificazione. Un omonimo filius quondam Roaxii Scachabarozii, compare infatti in un atto del 1281: Baroni, Gli atti del comune, IV (1997), 295, n° CCCXXII. Il trattato di pace menziona però, dopo lo Scaccabarozzi e sempre senza indicarne il titolo canonicale, Pietro Prealoni, arciprete dei decumani, e Corrado Grasso, ordinario, e la scelta dell' ordine potrebbe non essere casuale. [90] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 189, n° CCXXX. Per le vicende seguite al rientro in patria di Ottone Visconti: G. Franceschini, La signoria viscontea, in Storia di Milano, IV, 332-345. [91] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 241, n° CCLXXV. [92] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, rispettivamente 254, n° CCXCI e 255, n° CCXCII. [93] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 281, n° CCCXVI. [94] Baroni, Gli atti del comune, III, 581, n° DXLVII. [95] B. Corio, Storia di Milano, I, 544-45; Cattaneo, Ottone Visconti, 156-58; Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 300, n° CCCXXX. [96]
A. Tamborini, [97] Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 309, n° CCCXL. [98] ASMi, FR, cart. 160 (Milano, Capitolo Maggiore), cass. 39, car. I4, n° 1. [99] Località del Milanese. Per Carugate: Olivieri, Dizionario, 147 e Boselli, Toponimi, 147; per Bussero: Olivieri, Dizionario, 117 e Boselli, Toponimi, 59; per Rogoredo Olivieri, Dizionario, 472 e Boselli, Toponimi, 241; per Robecco sul Naviglio: Olivieri, Dizionario, 471 e Boselli, Toponimi, 240-41. [100] ASMi, Perg., cart. 613, n° 567. [101] ASMi, Perg., cart. 611, n° 237 (doc. I). [102] ASMi, Perg., cart. 613, n° 523: ed. Pirola, Un inedito, 265-74. [103] ASMi, Perg., cart. 613, n° 530: il testo qui in App. II. [104] ASMi, Perg., cart. 611, n° 220 (doc. IV). [105] Cap. Metrop., II.F.2.1, ff. 59r-66v (AH, XIVb, 173-74; 207-09; 251). [106] Un'altare in onore delle sante fu edificato nella chiesa di S. Maria: v. nota 117. [107] ASMi, Perg. cart. 613, n° 661: il testo qui in App. III. La vigna donata era stata affittata una settimana prima a Zanebello Aicardi di Vimercate, dietro il pagamento di metà del vino ricavato dalla stessa e di dodici staia e un quarto di mistura di segale e miglio (ASMi, Perg, cart. 613, n° 664, doc. II) e il fitto concordato venne ceduto lo stesso 8 agosto 1276 al preposito Petrazio de Opreno e al priore Zanone Fideli (ASMi, Perg., cart. 613, n° 663). Le ufficiature citate in Cap. Metrop., II.F.2.1, rispettivamente ai ff. 7v-14v (AH, XIVb, 163-64; 188-89; 245-46), ff. 23r-29v (AH, XIVb, 168-69; 192-95; 247) e ff. 1r-7v (AH, XIVb, 163; 183-86; 245). Gli Uffici composti dallo Scaccabarozzi si aggiungevano a quelli celebrati dai canonici di S. Stefano nel corso dell'anno liturgico, senza sovrapporsi ad altri uffici preesistenti. Le festività interessate, infatti, non sono documentate dai quattro antifonari coevi (sec. XIII2) in uso presso la stessa canonica e tuttora conservati a Vimercate. Sugli antifonari di Vimercate: Huglo, Fonti, 48, 224-25, 228 (manca nell'inventario da lui compilato il codice D, rivenuto in seguito); L. G. MAuri, Gli Antifonari di Vimercate (sec. XIII), 2 voll., tesi di laurea, Pontificio Istituto Ambr. di Musica Sacra, a.a. 1992-93, relatore prof. N. Ghiglione. L'Antifonario D, f. 230v, contiene l'inno Columba Christi unica (AH, XIVb, 174-75), composto da Scaccabarozzi. [108] ASMi, Perg., cart. 612, n° 322 (doc. II, segue il testamento di Guido) e copia in cart. 611, n° 220. [109] Baroni, Gli atti dell’arcivescovo, 145, n° CLXXXIV. [110] ASMi, Perg., cart. 612, n° 355. [111] ASMi, Perg., cart. 611, n° 220. [112] ASMi, Perg., cart. 613, ni 645 e 550. [113] Eubel, Hierarchia, I, 67. [114] Le solenni cerimonie sono ricordate da una nota apposta in calce al f. 226r del Corale D, pars aestiva conservato presso l’archivio plebano di Vimercate: Cazzani, Storia, 175-77; a p. 175 è riprodotta una fotografia b/n del f. 226r in cui la nota risulta ben leggibile. Alla luce dei documenti prodotti la presenza dello Scaccabarozzi non sorprende, ma aveva a suo tempo incuriosito il Cazzani, che nel compilare la sua storia si era chiesto se questi fosse a quella data già membro del capitolo o fosse stato accolto tra i canonici di S. Stefano proprio in quella occasione. [115] ASMi, Perg., cart. 612, n° 305. [116] ASMi, Perg., cart. 611, n° 209. [117] ASMi, Perg., cart. 611, n° 193. [118] ASMi, Perg., cart. 611, n° 172. [119] ASMi, Perg., cart. 612, n° 314. [120] ASMi, Perg., cart. 611, n° 168. [121] M. P. Alberzoni, Francescanesimo a Milano nel Duecento, Milano 1991, 83. Giulini, Memorie, IV, 784 informa che il 17 aprile 1297 si tenne una riunione degli Ordinari, nella quale compare in qualità di arciprete della Metropolitana Roberto Visconti e da questo deduce che lo Scaccabarozzi doveva essere morto. Il dato deve però essere corretto, perché Roberto Visconti risulta arciprete già l'anno precedente, come testimonia una carta datata 10 gennaio 1296, parzialmente trascritta in Della Croce, Codex, Ambr. I 20 suss.; f. 180r: "querebatur coram domino Roberto Vicecomite archipresbitero Maioris Ecclesie Mediolanensis, ac tunc vicario domini archiepiscopi Mediolanensis". Il Liber primicerii, f. 4r e 128r ricorda un annuale “in perpetuum condam domini Heurici (sic) Scachabaroziis archipresbiteri ecclesie Mediolanensis, quod fieri debet per dominos ordinarios offitiales et clerum in ecclesia maiori” il giorno 29 agosto: il compenso per gli officianti è a carico dell'Ospedale Nuovo. [122] Giulini, Memorie, IV, 784. Il Giulini afferma che la tomba si trovava allora in un piccolo cortile vicino al refettorio del convento, dal quale venne nuovamente spostata quando il convento fu distrutto. V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai nostri giorni, IV, Milano 1890, 71, n° 81. [123] MURATORI, Antiquitates, IV, 936. [124] AH, XIVb, 150. [125] La missa non comprende parti in canto quindi non compare nell'edizione Dreves del Liber Officiorum. I testi delle orazioni sono editi in TAMBORINI, La Messa, 99. [126] L'Ufficio per s.
Ulderico venne pubblicato dal Dreves qualche anno dopo: AH, L, 617-23.
Trascrizione del testo dell'Ufficio e della melodia, con commento: K. Schlager- T. Wohnhaas, Ein
Ulrichsoffizium aus Mailand, "Jahrbuch des Vereins für Augsburger
Bistumgeschichte e.V.", 16 (1982), 122- [127] Il campo scrittorio è di mm. 215x135 nei ff. 1-134 (fasc. 1-17), di mm. 215x145 nei ff. 134-150 (fasc. 18-19). [128] La distinzione delle tre mani, evidentissima, era stata segnalata da M. Huglo, Fonti e paleografia del canto ambrosiano, Milano 1956 (Archivio ambrosiano, 7), 78 che riteneva autografa la prima parte (ff. 1-134v) copie posteriori la seconda ( ff. 135-l50v) e la terza (ff. 151-163). Stessa opinione manifesta N. Ghiglione, Scaccabarozzi, Orrico († 1293), in Diz. d. Chiesa Ambr., V (1992), 3237-38, che attribuisce all'autore stesso i ff. 1-134 e colloca le due sezioni seguenti rispettivamente ai primi decenni del secolo XIV e in pieno Trecento. [129] A partire da f. 119r la scrittura appare più grande, anche se probabilmente si tratta dello stesso copista che lavora in momenti successivi. [130] La stesura delle tre sezioni che compongono il codice è stata effettuata verosimilmente in momenti diversi, ma non ritengo necessario abbassare la datazione di quest'ultima parte. [131] AOM, Diplomi, n° 400; ed. in Baroni, Gli atti dell'arcivescovo, 241, n° CCLXXV. [132] Huglo, Fonti, 78. La grafia quadrata è del tutto estranea alle abitudini milanesi, mentre il suo impiego è vivamente raccomandato da alcune "Regulae" per copiare codici liturgico-musicali in uso presso i Frati Minori, risalenti verosimilmente ad una data anteriore al 1256: A. Ziino, "Secundum consuetudinem Romanae Ecclesiae". Tradizione ed innovazione, contenuto e struttura nei libri liturgico-musicali tra XIII e XV secolo, in La biblioteca musicale Laurence K.J. Feininger, Trento 1985, 59-61. Per una trascrizione complessiva della parte testuale e musicale del manoscritto: A. De Salvatore, L'opera musicale e letteraria di Orrico Scaccabarozzi, tesi di dottorato, Roma, Pontif. Ist. di Musica Sacra, a.a. 1999-2000, relatore prof. N. Ghiglione; il solo Officium s. Galdini nel volume pubblicato a Roma nel 2001 con lo stesso titolo. [133] Nell'edizione Dreves sono stati separati in tre diverse sezioni inni, uffici e messe: nel riferimento da noi indicato il primo numero di pagina si riferisce all'inno o agli inni presenti nell'ufficio, il secondo ai testi dell'ufficio (responsori e antifone), il terzo ai canti della messa. In AH mancano i testi delle orazioni e dei salmi, che nel codice sono sempre indicati. [134] P. E. Bruning, Missa S. P. N. Francisci in liturgia ambrosiana, "Archivum Franciscanum Historicum", 20 (1927), 41-48: 46 per il prefazio. [135] La sequenza, opera di s. Tommaso d'Aquino, è l'unico brano di altro autore all'interno del manoscritto. I versi della settima strofa della sequenza: "Sumit unus, sumunt mille / quantum isti, tantum ille / nec sumptus consumitur" sono inseriti dallo Scaccabarozzi nel transitorium delle messe in onore di Tutti i Santi (AH, XIVb, 253) e dei ss. Apostoli (AH, XIVb, 256). La ripresa di questi versi dell'Aquinate era stata già segnalata da J. Szöverffy, Some features of Origo Scaccabarozzi's hymns, "Aevum", 29 (1955), 306-07, che riconosceva un influsso della sequenza anche nel confractorium della Messa per s. Perpetua (AH XIVb, 258). Benché manchino testimonianze precise al proposito, Tamborini, Il Corpus Domini, 20 ipotizza che Scaccabarozzi abbia composto un’Ufficiatura per la solennità del Corpus Domini destinata alla devozione privata; tale Ufficiatura sarebbe stata parzialmente accolta nel Messale di Roberto Visconti (Ambr. C 170 inf.). [136] Archivio del Cap. Metrop., Fondo Capitolo Maggiore, cart. 86, fasc. 17; F. Ruggeri, La donazione della biblioteca di mons. Gaetano Oppizzoni al Capitolo Metropolitano di Milano in documenti inediti, "Aevum", 64 (1990), 445-59. Si trattò di una donazione cospicua, oltre quattromila volumi, valutati all'epoca 30.000 lire austriache, che ancora oggi costituisce parte considerevole dela Biblioteca Capitolare. [137] Ruggeri, La donazione, 454-59, n.i 3, 15, 30, 37, 55. [138] Dreves, AH, XIVb, 151. [139] Huglo, Fonti, 78. [140] Argelati, Bibliotheca, II, 1298b. [141] Muratori, Antiquitates, IV, dissert. 57, 936. [142] L'epitaffio trasmesso dal Muratori contiene un riferimento a s. Nazario. Nel Liber Officiorum, così come è giunto fino a noi, non si trova alcuna ufficiatura in onore del santo. La reale entità dell'opera poetica di Orrico Scaccabarozzi ci è completamente ignota, non avendo a disposizione testimonianze sufficientemente vicine al periodo di attività dell'autore e in numero tale da permetterci verifiche al riguardo, per cui l'ipotesi di una perdita non dovrebbe creare particolari difficoltà. [143] La traslazione del manoscritto è ricordata anche da Giulini, Memorie, IV, 664: "Torneremo dunque alle cose ecclesiastiche e prenderemo a trattare di un codice della biblioteca metropolitana. Il signor Muratori lo ha veduto ed esaminato; ma di poi il signor Argelati dice di non averlo più ritrovato, ed anch'io non ho potuto rinvenirlo." [144] Archivio del Capitolo Metropolitano, Registro 5, Indice dei libri capitolari posteriore al 1783. [145] Archivio del Capitolo Metropolitano, Fondo Capitolo Maggiore, cart. 86, fasc. 4, Index librorum Bibliothecae Venerandi Capitoli ecclesiae Metropolitanae Mediolani, f. 24r: "Francisci Picolpassi Archiepiscopi Mediolanensis constitutiones ex pergameno manuscripto." [146] R. Cipriani, Codici miniati dell'Ambrosiana, Milano 1968 (Fontes ambrosiani, 40), 103-104; Inventario Ceruti dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, IV, Trezzano sul Naviglio 1978 (Fontes Ambrosiani, 60), 474; M. Navoni-C. Pasini, Martirologio milanese, Milano 1996. [147] Pasini-Navoni, Martirologio, 33-34. [148] Riproduzione della miniatura: Storia di Milano, IV, 606. [149] AH, XIVb, 151. [150] Huglo, Fonti, 78 e P. O. Tonetti OFM, L'Ufficio ritmico di San Francesco d'Assisi di fra Giuliano da Spira, "Riv. internaz. di musica sacra", 2 (1982), 370-72. [151] Huglo, Fonti, 78. [152] La vicinanza dell'arciprete ai Francescani è testimoniata eloquentemente dal testo del suo epitaffio, riportato a p. 22. Ricordiamo inoltre che lo Scaccabarozzi fu anche erroneamente ascritto all'ordine domenicano: J. Quétif-J. Échard, Scriptores Ordinis Praedicatorum recensiti notisque criticis illustrati, I, Lutetiae Parisiorum 1719, 139a. L'attribuzione all'ordine fu causata probabilmente da un'errata interpretazione delle fonti citate, dalle quali si deduce solo che l'arciprete fu contemporaneo di s. Pietro martire da Verona (T. CALCO, Historiae patriae libri XX, Mediolani 1627; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, 170). [153] I francescani erano
giunti a Milano già nel 1224 e qui iniziarono a costruirsi un convento nei
pressi di S. Vittore all'Olmo, favoriti dall'arcivescovo Enrico di Settala
(1215-1230) che aveva conosciuto personalmente s. Francesco a Damiata d'Egitto
nel 1219, durante la quinta crociata. Cresciuti di numero, ottennero di
insediarsi presso la basilica dei SS. Nabore e Felice, che fu poi loro
assegnata nel [154] Un primo confronto con le orazioni presenti in libri liturgici ambrosiani coevi e di età precedente rafforza l'ipotesi che anche questi testi siano frutto della creatività dell'arciprete. [155] In tre messe troviamo anche l'antifona ante Evangelium: santi Apostoli, f. 108r (AH, XIVb, 256), s. Margherita, f. 116v (AH, XIVb, 257) e s. Eugenia, ff. 140v-141r (AH, XIVb, 259). [156] Anna, f. 29v (solo un responsorio: AH, XIVb, 195); Assunzione di Maria, f. 43r (solo un responsorio: AH, XIVb, 201); Maurilio, ff. 57v-58r (antifona in coro: AH, XIVb, 206); Eugenia, f. 142v (antifona in coro e responsorio: AH, XIVb, 239); Giovanni vescovo, f. 150r (antifona in coro: AH, XIVb, 242). [157] Il Dreves, AH, XIVb, 151-54, segnalò che le melodie degli inni si incontrano anche in libri liturgici ambrosiani di età più tarda e ritenne che lo Scaccabarozzi avesse attinto al patrimonio tradizionale della chiesa ambrosiana. [158] L'unico studio sulle
fonti dei carmi composti dallo Scaccabarozzi si deve a Szöverffy, Some features, 301-43. Szöverffy individua
relazioni con la tradizione innologica, con il culto popolare e le leggende dei
santi. La sua attenzione si concentra soprattutto sul rapporto tra i dati
biografici dei santi dedicatari presenti negli inni e le fonti agiografiche,
individuando alcuni punti di contatto con [159] AH, XIVb, 158-59. [160] AH, L, 617. [161] Si confrontino i dati da noi presentati con la frequenza con cui vengono riutilizzati i brani negli Uffici trasmessi dal Manuale ambrosianum ex codice saec. XI olim in usum canonicae Vallis Travaliae, a c. di M. Magistretti, II, Milano 1905 (Monumenta veteris liturgiae ambrosianae, 3). [162] Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 21v (AH, XIVb, 192). [163] Cap. Metrop. II.F.2.1, ff. 20v-21r (AH, XIVb, 246). [164] P. BORELLA, Il card. Federico Borromeo per gli studi liturgici e la riforma dei libri ambrosiani, "Ambrosius", 7 (1931), 328, n. 63 ricorda che il Dozio dichiarò che le infiltrazioni di brani provenienti dall'opera dello Scaccabarozzi, nei confronti della quale esprime un giudizio molto severo, furono eliminate da "coloro che attesero alla ristaurazione del messale e dell'officio ambrosiano, a' tempi del cardinale Federico Borromeo". Le prime indagini sulla tradizione dei testi dell'arciprete, in particolare le orazioni, nei libri liturgici posteriori ha rilevato una situazione molto diversa e non priva di interesse: 24 dei 168 testi di orazioni presenti nel Liber Officiorum sono attestati nel Missale ambrosianum novissime Joseph cardinalis Puteobonelli archiepiscopi auctoritate recognitum, Milano 1751, e nel Breviarium ambrosianum del 1857. Sono gli incunaboli a offrire una prima testimonianza del favore che le orazioni continuavano a godere a distanza di due secoli dalla loro composizione. Il Breviarium ambrosianum curato da Pietro Casola e stampato a Milano da Antonio Zarotto nel 1490 contiene le orazioni ai Vespri di s. Galdino (con alcune parti dell'Ufficio composto da Scaccabarozzi), s. Anna (solo la prima), s. Perpetua (I e II), Maurilio (I e II) e s. Lucia (II e III); le orazioni per s. Galdino e la prima orazione ai Vespri per le ss. undicimila vergini martiri si trovano anche in un breviario del 1472: Cap. Metrop., 2G-3-23. Nel Missale ambrosianum del 1475 (Antonio Zarotto: IGI 6542) troviamo le orazioni per s. Galdino, s. Barnaba (solo il prefazio), s. Anna, s. Perpetua, s. Maurilio, s. Sofia, s. Orsola, Ognissanti (solo prefazio), s. Francesco (solo prefazio), s. Eustachio e s. Margherita. Il messale conserva anche i canti composti dallo Scaccabarozzi per le messe in onore di s. Orsola e s. Maurilio. Tomea, Tradizione, 59, n. 14 segnala l'inno Mediolani civitas / age festiva gaudia (AH, XIVb, 163), composto dallo Scaccabarozzi in onore di s. Barnaba, nel Breviarium ambrosianum del 1487 (IGI 2066) e nel Milano, Arch. Cap. della Basilica di S. Ambrogio, M 26 (f. 165r), copiato nel 1422 dal prete Giovanni da Velate. [165] Liber notitiae, 110B. [166] Muratori, Antiquitates, IV, 936. [167] Huglo, Fonti, 78. [168] Tamborini, La Messa, 98. [169] ASMi, Perg., cart. 613, n° 530. [170] ASMi, Perg., cart. 613, n° 661. [171] Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 134v (AH, XIVb, 158-59). [172] Ambr. P 165 sup., f. 29r (AH, L, 617) [173] Cap. Metrop. II.F.2.1, f. 142v. [174] Ficta staria XVIII e quanto segue è collegato con una linea alla riga precedente (pertice XII) [175] Pergamena mutila. [176] Probabilmente da integrare Mediolanensis: la parola mancante si trovava sulla parte del documento danneggiata. [177] Pergamena mutila. [178] Pergamena mutila. [179] Pergamena mutila. [180] Segue not biffato: ripetizione della parola precedente. Il notaio si è accorto dell'errore e ha interrotto la scrittura della lettera t, lasciandola priva del tratto orizzontale, poi ha biffato le tre lettere. [181] Neutro singolare, nom. sallentium, psallentium, canto processionale costituito da una serie di antifone: E. Moneta Caglio, Il Sallenzio, "Ambrosius", 62 (1986), 548-51. [182] Dopo predictus è scritto prepositos, corretto in prepositum, poi biffato. [183] Corretto sull'errato cappellanus. [184] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro. [185] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro. [186] Segue qui interfuerunt et fecerint: anticipazione, biffata e racchiusa tra segni di espunzione (apici). [187] Ci aspetteremmo non fieret, che troviamo invece più avanti per un probabile errore nella copiatura del testo. [188] Offitium non corretto sull'originario offitium, tramite l'aggiunta di un titulus sopra u e la correzione di m in no con titulus. [189] Aggiunto nell'interlinea. [190] O corretto su i. [191] Segue disputarent, biffato. [192] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro. [193] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro. [194] Espunto. [195] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro. [196] R corretto su ç. [197] Aggiunto nell'interlinea. [198] Pergamena danneggiata lungo il margine sinistro. [199] Foro nella pergamena. [200] Foro nella pergamena. [201] A sero corretto nell'interlinea sopra in parte biffato ed espunto. [202] Fiant corretto in fiat. [203] Segue o biffata ed espunta. [204] Patroui corretto in patrui. [205] Secondo e aggiunto nell'interlinea. [206] Ripetizione. [207] Prima l espunta. [208] Segue u biffata. [209] Segue terram, espunto. [210] Corretto da deseruimus. [211] Segue congratis, biffato ed espunto. [212] Segue seu cano biffato, anticipazione. [213] Segue et, ripetizione. [214] Lacerazione nella pergamena. [215] Lacerazione nella pergamena. |
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